I registi Joel e Ethan Coen, 54 e 52 anni: Esce “A Serious Man”, l’autobiografia di Joel e Ethan
LORENZO SORIA
I fratelli Coen si sono conquistati un seguito da registi culto con 14 film che sono altrettante devastanti anatomie dei nostri tempi. Loro raccontano l’anormalità della normalità, però senza mai rivelare troppo di loro, della loro vita, del loro ambiente, delle loro aspirazioni. Anche quando rilasciano un’intervista, Joel ed Ethan, 54 e 52 anni, mostrano la loro intesa completandosi le frasi a vicenda. Ma non chiedete loro di spiegare perché hanno introdotto quel particolare personaggio. Che ogni spettatore, insomma, porti a casa quello che vuole o che può cogliere del film.
Con A Serious Man, nelle sale americane da domenica e che verrà presentato alla prossima Festa di Roma, gli autori di Non è un paese per vecchi si sono avventurati, se non nell’autobiografia, di certo nell’opera più personale della carriera. L’«uomo serio», o meglio quello che vorrebbe essere preso come tale, si chiama Larry Gopnik (l’attore è Michael Stuhlbarg), è professore di Fisica e, sul finire degli Anni Sessanta, vive in un sobborgo bene del Minnesota abitato prevalentemente da ebrei, proprio come il St. Louis Park dove sono cresciuti i fratelli Coen. La moglie l’ha lasciato per un altro uomo, il figlio pensa solo ad ascoltare i Jefferson Airplane e a farsi le canne, la figlia monopolizza il bagno, il fratello si è impossessato del divano del salotto, uno dei suoi studenti lo ricatta e ha pure un incidente d’auto. A Larry non ne va dritta una e lui, uomo razionale, non trova spiegazione. Roba da tornare alla religione e consultare il rabbino, anzi con tre. Ma Larry ottiene solo risposte evasive, come se a Dio non importasse la sua sofferenza. Insomma, un altro film dei fratelli Coen che lascia con più domande che risposte.
In film come Il grande Lebowski ci sono molti personaggi ebrei, ma questo è il vostro primo film centrato attorno a una comunità ebraica. Perché adesso? E quanto c’è di autobiografico?
Joel: «La sceneggiatura in realtà l’abbiamo buttata giù anni fa, anzi all’inizio il film doveva essere un corto su un rabbino che avevamo incontrato da adolescenti, una specie di Mago di Oz che non diceva mai una parola ma era molto carismatico. Forse con il passare degli anni la nostra gioventù ci appare più interessante».
Ethan: «Il film non è ispirato alle nostre vite, ma sicuramente all’ambiente nel quale siamo cresciuti. Ci siamo divertiti a ricrearlo con molto affetto. Ma i personaggi sono del tutto fittizi».
A Serious Man finisce con una frase: «Nessun ebreo è stato danneggiato nella realizzazione di questo film». Invece molti si sentiranno offesi…
Ethan: «Ci abbiamo messo molto affetto, ma ogni volta che fai riferimento a una particolare etnia c’è sempre qualcuno che ci vede un insulto personale».
Joel: «E comunque penso riceveremo meno lettere di protesta che per Fargo. Quelli del Minnesota l’hanno davvero odiato».
Siete cresciuti in una famiglia osservante?
Joel: «Essere ebrei, per noi, è sempre stata più un fatto etnico che religioso».
Ethan: «Mamma era molto osservante, papà la seguiva. E nessuno ha mai messo in discussione che avremmo studiato religione e che avremmo fatto il bar mitzvah, anche se noi avevamo altro per la testa».
Joel: «Nostro padre insegnava Economia all’università, ma Larry non è ispirato a lui. La figlia invece è nostra sorella Debbie, che ha passato l’adolescenza chiusa in bagno a lavarsi i capelli!».
Dopo A Serious Man cosa farete?
Joel: «Stiamo adattando The Yiddish Policemen’s Union di Michael Chabon. E poi rifaremo Il Grinta».
Il western con John Wayne?
Ethan: «Sì, con Jeff Bridges al posto di Wayne. Qualcuno sicuramente ci accuserà di lesa maestà».
Joel: «Non era un gran film, ma il libro di Charles Portis è bellissimo. E così proviamo a incasinarlo un’altra volta».
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