13.3.1981. Moriva Celeste Di Porto. La chiamavano “Pantera nera” e faceva la spia di Kappler. fu l’ incubo del Ghetto, quelli che lei salutava per la strada venivano subito arrestati. Per la vergogna suo padre si consegnò alle SS
Silvio Bertoldi
Carcere di Regina Coeli, Roma, anno 1994. Sui muri della cella numero 306, Terzo raggio, incisa con un chiodo si legge (si leggerà ancora?) la scritta: “Sono Anticoli Lazzaro, detto Bucefalo, pugilatore. Si non arivedo la famija mi è colpa de quella venduta de Celeste Di Porto. Rivendicatemi”. Una tragica denuncia in poche righe. Anticoli fu arrestato il 23 marzo 1944 al mattino perche’ era ebreo, nel pomeriggio di quel giorno scoppio’ la bomba di via Rasella, il 24 venne assassinato alle Fosse Ardeatine. Uno dei 355 martiri.
Vittima d’una donna ebrea divenuta per denaro spia e delatrice dei suoi correligionari, al servizio della Gestapo e della polizia fascista durante l’ occupazione di Roma. Anticoli, un povero ragazzo del Ghetto, si guadagnava da vivere combattendo sui ring di terza categoria. Era sposato da poco e aveva una bambina. Quando andarono a prenderlo riusci’ ad abbattere tre militi fascisti prima di essere trascinato in carcere. A denunciarlo era stata Celeste Di Porto, nota col soprannome di “Pantera nera” sia per la bellezza, sia per la spietatezza. Quella sera, nel suo ufficio di via Tasso, il colonnello Kappler stava compilando l’ elenco dei 330 italiani di cui Hitler aveva chiesto la morte per rappresaglia all’ attentato di via Rasella e alla strage dei 33 poliziotti tedeschi. Gli mancavano cinquanta nomi e li chiese al questore di Roma, Caruso. Costui, esitante, si rivolse al ministro degli Interni Buffarini Guidi, che gli rispose: “Daglieli, daglieli, se no chissa’ cosa ci fanno…”.
Caruso racimolo’ quanti piu’ infelici pote’ , ma non bastavano. Disse Kappler: “Allora trovate qualche ebreo”. Caruso si rivolse a Celeste Di Porto e la Pantera Nera gliene forni’ ventisei, tutti poi eliminati con un colpo alla nuca nel buio della cava, cinque per volta. Un’ atroce sequenza durata fino a notte, mentre Kappler si intratteneva con i morituri in attesa di varcare quella soglia. Pantera Nera fu la vergogna e l’ incubo degli ebrei romani che la vedevano passeggiare spavalda per le strade del Ghetto, col suo amante Vincenzo Antonelli, un agente della famigerata banda Bardi e Pollastrini, agli ordini della Gestapo e delle SS. Capirono presto che la loro vita era nelle sue mani: se la incontravano e lei accennava a un saluto, il loro destino era segnato. Subito due individui in borghese si lanciavano a prenderli e a trascinarli via. Li attendevano le torture, i vagoni piombati, i forni crematori dei lager. Bastava il riconoscimento della Pantera Nera, dunque erano ebrei; e lei per ogni “capo” (cosi’ li chiamava) segnalato passava alla cassa e prendeva da cinquemila a cinquantamila lire, a seconda dell’ importanza di chi aveva tradito.
Nel 1943 Celeste Di Porto aveva 18 anni, abitava in via Reginella 2, ed era la piu’ ammirata ragazza del Ghetto, alta, slanciata, nerissima di chiome e d’ occhi, un gran petto e la consapevolezza del suo fascino. In famiglia la chiamavano Stella per la sua bellezza prorompente. Suo padre Settimio aveva un negozietto di merciaio e poteva permettersi in casa una cameriera ariana. Celeste era la quinta di otto figli. Il 16 ottobre 1943 vi fu la grande retata degli ebrei ordinata da Eichmann: i Di Porto la scamparono tutti miracolosamente. Settimio era andato a far la fila per le sigarette, la moglie Ersilia e i figli riuscirono a scappare per un’ uscita posteriore. Andarono allora ad abitare in periferia, a Primavalle, ma da quel giorno, e da quello choc (se si vuol tentare una spiegazione psicanalitica per un tradimento a scopo di lucro) l’ ebrea Celeste diventa la Pantera Nera: fa la sua scelta e passa al servizio dei tedeschi.
Difficile dire quanto abbia influito il rapporto con l’ Antonelli, feroce cacciatore di ebrei, disposto pero’ a transigere quando si tratta dell’ amante. E certo che Celeste si iscrive al fascio repubblicano e si offre alla Gestapo, a Kappler, al suo vice Priebke, per denunciare dall’ interno gli israeliti a lei noti uno per uno, in cambio di denaro e della vita salva. E da quel mite ottobre romano la si vedra’ battere il Portico d’ Ottavia e le strade adiacenti, seguita da lontano dai tedeschi attenti ai suoi cenni; e da allora crescera’ la cattura a colpo sicuro degli ebrei che osavano mostrarsi nelle strade contando di non essere conosciuti, ma ignorando, purtroppo, che a Celeste Di Porto non sarebbero sfuggiti. Quando cominciarono a capire, era troppo tardi. Almeno cinquanta di essi furono vittime della Pantera Nera, la spia, e quanto piu’ nel Ghetto cresceva l’ allarme e la paura, tanto piu’ lei si mostrava spavalda e crudele, per denaro mando’ nei lager perfino suo cognato Ugo Di Nola e suo cugino Armando Di Segni. Corse voce che seguisse gli arrestati fino nelle carceri di via Tasso e la’ , per convincere i tedeschi di non aver sbagliato, facesse togliere i pantaloni agli uomini e mostrasse che erano circoncisi, la prova inconfutabile.
Il periodo piu’ fruttifero per la Pantera Nera fu quello successivo allo sbarco alleato ad Anzio. Pareva che gli americani potessero arrivare a Roma in pochi giorni, la strada era aperta. Gli ebrei finallora scampati presero coraggio, uscirono dai nascondigli. Celeste li coglieva specialmente nella zona di Campo dei Fiori, suo preferito territorio di caccia. Molti dei cinquanta che mando’ nei forni li indico’ la’ , alcuni erano vecchi di 75 anni, altri ragazzini di 15. Lei giunse al punto di perversione di farsi consegnare da molti correligionari denaro e gioielli, cercavano di ottenerne il silenzio, sapevano del suo turpe commercio e speravano di blandirla offrendole quanto potevano. Celeste prendeva ogni cosa, prometteva. Poi andava negli uffici della Gestapo e denunciava gli infelici. Divenne il terrore di Roma. Dai convogli in partenza per il Nord con i vagoni piombati carichi di ebrei venivano gettati al vento bigliettini che la maledivano, accuse come quella di Lazzaro Anticoli, inviti a chi era sfuggito alla Pantera Nera di vendicarli, minacce di morte se un giorno ci fosse stato ritorno. Ormai chi fosse, cosa facesse, quale segreta volutta’ di colpire gli appartenenti alla sua stessa razza spingesse Celeste Di Porto erano noti e palesi. Suo padre, distrutto dalla vergogna che quella figlia faceva ricadere su di lui, ando’ , quasi per un’ indiretta redenzione, a presentarsi ai tedeschi. Disse che era ebreo, fu spedito nei lager, mori’ gasato a Mauthausen.
Due fratelli furono anch’ essi deportati, un terzo, per cancellare l’ orrendo marchio familiare, si arruolo’ nella Legione Straniera. Lei rimase a Roma anche quando i tedeschi se ne andarono, a sfida contro chi aspettava solo quel momento per fargliela pagare. Quando la folla dei parenti delle vittime corse sotto casa sua per trarne vendetta, lei si affaccio’ beffarda alla finestra gridando: “Embe’ , che volete? Ci ho gia’ due alleati in camera, cercate d’ annavvene”. Pero’ il rischio era troppo forte e allora si trasferi’ a Napoli. Scelse una nuova identita’ , si faceva chiamare Stella Martinelli, prostituta in una casa d’ appuntamenti. Un giorno entrarono tre ebrei romani, la riconobbero e la denunciarono. Fu portata a Roma a Regina Coeli. Una prima volta evase, una seconda non le riusci’ e dovette affrontare il processo nel 1947. Tento’ di difendersi e non pote’ quasi parlare. Il pubblico di ebrei e di parenti dei martiri le urlava il suo odio, piu’ volte fu necessario sgomberare l’ aula e lei si proclamava innocente, le accuse erano calunnie, guardava la gente con gli occhi neri lampeggianti di sfida. I suoi fratelli e le sue sorelle l’ avevano rinnegata, soltanto la madre le rimase accanto fino in fondo.
Prese dodici anni, ne fece soltanto tre tra condoni e amnistie e usci’ dal carcere di Perugia nel 1950, dopo un periodo trascorso a Viterbo. Chissa’ cosa le accadde in quei tre anni di detenzione. Si disse che la prese una crisi mistica, abbastanza frequente in casi del genere e sempre comoda assai. In principio, in cella, litigava furiosamente con Tamara Cerri, l’ amante di Koch, la quale si tormentava e piangeva per trovarsi cosi’ giovane a così mali passi. Lei invece era strafottente e cinica, ma poi si convertì alla religione cattolica, divenne tutta cappellano e chiesa. Voleva addirittura farsi monaca e, una volta tornata in libertà , fu ospitata in un convento di clarisse di Assisi, dove la sua nuova vocazione mistica era stata presa per buona. Si sa però che un anno piu’ tardi fu cacciata, troppo in contrasto con i principi della regola, troppo poco “celeste” nonostante il suo nome. Della Pantera Nera d’un tempo era rimasta soltanto la triste fama, non certo la bellezza di quella fatale ebrea un tempo simile alle bagnanti di Ingres. Ora sembrava gonfia, ingrassata, aveva perso la delicatezza delle forme e perfino lo splendore dello sguardo. Riuscì a farsi dimenticare.
Le ultime notizie di lei sono lontane e incerte. Nel 1958, tornata a Roma, viveva a Centocelle, piccola casalinga ignorata e riservata, sposata con un operaio, senza figli. Oggi, se è ancora viva, dovrebbe avere 69 anni e qualcuno, non si sa in base a quali elementi, ha detto che si sarebbe trasferita a Milano, persa nell’ anonimato della grande città . Lazzaro Anticoli non poté sapere che non avrebbe dovuto morire. Nella lista di Kappler non c’era il suo nome, bensi’ quello di Angelo Di Porto, fratello della Pantera Nera, arrestato lo stesso giorno; all’ultimo momento il suo posto nell’elenco venne preso da Anticoli e fu salvo. Il giovane pugile lasciò una bambina e anni fa, divenuta donna, l’ho incontrata a Roma, un’ebrea bellissima, dai lineamenti sensibili, puri. Aspettava un figlio e le lacrime le scendevano lungo le guance sentendomi parlare di suo padre: poveri erano e poveri erano rimasti. Sua madre l’aveva allevata lavorando da sguattera in una mensa. Lei conosceva la frase incisa sul muro di Regina Coeli e, tuttavia, non chiedeva vendetta, l’eredità di quell’ innocente genitore assassinato era un tesoro, mi disse, che non andava sporcato d’altro sangue.
http://archiviostorico.corriere.it/1994/ottobre/28/ebrea_che_vendeva_gli_ebrei_co_0_9410287806.shtml