Dante Lattes ha dato un contributo fondamentale nel definire il pensiero dei maestri farisei e nell’individuare, senza equivoci, che il pregiudizio antifarisaico è un nucleo essenziale del pregiudizio antigiudaico, specialmente nella tradizione cristiana.
Il contributo di Dante Lattes va meditato per diversi motivi: 1) perché si è sviluppato, a partire dagli anni ’20, oltre due decenni prima del churbàn europeo e del successivo sforzo fatto da Jules Isaac per denunciare la pericolosità teorica dell’antisemitismo cristiano; 2) perché ha dimostrato che la polemica contro le mizvòth e la contrapposizione tra lo spirito e le forme della toràh hanno coinciso, storicamente, con i tentativi di deleggittimare e ridicolizzare la specificità religiosa del pensiero ebraico; 3) perché ha messo a fuoco, con originalità, un filone di ricerca molto ampio (da Weiss a Schechter, da Tchernowitz e Ginzberg a Baeck e Finkelstein; da Klausner al pastore anglicano Travers Herford); 4) perché la forza e la tempestività del suo discorso inascoltato impongono di riflettere sul silenzio teologico piuttosto che sul silenzio politico della Chiesa, come Magistero, nella prima metà di questo secolo.
Cerchiamo di comprendere i temi di Dante Lattes sul pensiero dei maestri farisei:
1) se la toràh viene definita come Legge bisogna sottolineare che questa definizione è tanto vera quanto mistificatoria; è vera perché, nel pensiero ebraico, le azioni religiose degli uomini e la Giustizia di D-o costruiscono il legame d’amore tra D-o e l’uomo; è mistificatoria perché il termine Legge traduce male il significato generativo del termine toràh e nasconde il collegamento indissolubile tra mizvàh ed intenzione;
2) le mizvòth sono incomprensibili senza la presenza costante dell’intenzionalità religiosa; per gli ebrei, le mizvòth costituiscono lo strumento di espressione della religiosità; la grande sfida antropologica della toràh è di portare la presenza divina nella realtà quotidiana delle opere umane,
3) i profeti sono i grandi interpreti del paradosso biblico per cui solo le opere dell’uomo possono salvare l’uomo; le mizvòth non possono esistere se non collegano la relazione tra uomo e uomo con la relazione tra uomo e D-o; l’azione rituale ha proprio il significato di collegamento esplosivo tra vita religiosa e vita etica; quando i profeti combattono la pratica senza cuore delle mizvòth è perché vogliono la completezza delle mizvòth e non perché vogliono l’abolizione delle mizvòth;
4) i maestri farisei ripropongono lo stesso paradosso, esasperandolo: l’interrogativo talmudico è su come trasformare ogni singola azione umana in un’azione religiosa; i maestri dei Pirqè(i) Avòth sono gli stessi che affrontano i più assurdi casi concreti con cui la Mishnàh e la Ghemarà tessono la rete esistenziale della toràh;
5) la sacralità della vita è data dalla sacralità delle opere umane; nella tradizione rabbinica lo stesso termine perushìm (farisei) è un sinonimo del termine qedoshìm (sacri-divisi);
6) lo studio della toràh è una pratica religiosa; studiare la toràh significa identificare la parola divina al di là del versetto; studiare la toràh significa introiettare lo spirito della toràh per proiettarlo nelle azioni più banali della vita; studiare la toràh significa praticare le mizvòth nel pensiero oltre che nelle azioni;
7) i maestri farisei costituiscono anche un ponte inevitabile tra pensiero profetico e pensiero chassidico; il collegamento tra queste diverse formulazioni del pensiero ebraico è sempre lo stesso: a) l’integrazione fra azione ed intenzione religiosa, b) il dialogo tra la necessità delle azioni umane e la necessità del sentimento divino verso la creazione; c) il dialogo tra la necessità dei sentimenti umani e la necessità della Legge divina.
La lunga battaglia di Dante Lattes per la piena rivalutazione storica del pensiero farisaico, e contro l’uso dispregiativo del termine fariseo, rimane di grande attualità.
Forte della sua simpatia umana anche per la componente non-ebraica della teologia cristiana, Dante Lattes ha messo in evidenza che il progressivo distacco della Chiesa dall’universo religioso ebraico è avvenuto sul problema della Legge, forse ancor più che sul problema cristologico.
Persino il dissenso tra Simone Pietro e Paolo di Tarso, all’interno della Chiesa primitiva, sulla Legge è, in definitiva, una discussione sul luogo della Salvezza. Per Paolo la Salvezza può avvenire soltanto o in prevalenza per la Grazia divina; per Pietro la Salvezza può avvenire soltanto o in prevalenza per le opere dell’uomo.
La crisi tra cristiani ed ebrei è, sul piano religioso, la stessa: per i farisei il concetto di un messia divino è impensabile perché contraddice la centralità dell’uomo nella creazione ed il significato religioso della toràh e delle mizvòth; per i Padri della Chiesa la polemica contro la Legge ,e quindi contro i farisei, è stata inevitabile, non perché i farisei erano o sembravano ipocriti, ma perché la pratica delle mizvòth, nella Giustiazia e nella Misericordia, presuppone che il regno di D-o sia prima di tutto in questo mondo.
Sul piano della ricerca teologica cristiana, la più importante e recente scoperta è la nuova interpretazione del pensiero di Paolo nei riguardi della Legge. Dante Lattes, assieme con Klausner e Travers Herford, aveva sostenuto che la polemica contro i maestri farisei era stato uno sbaglio antropologico, inutile e doloroso, perché portava inevitabilmente verso l’antisemitismo.
Fra gli studiosi cristiani, E. P.Sanders sostiene, con estremo rigore filologico che la polemica di Paolo contro la Legge è stata esagerata diventando, nei secoli, insostenibile per la stessa teologia cristiana. Il rifiuto totale della Salvezza attraverso la Legge renderebbe monco il grande discorso cristiano della Salvezza attraverso la Grazia. Per i maestri farisei, Misericordia e Giustizia sono i due modi attraverso cui D-o può essere pensato dagli uomini. Una contrapposizione totale tra Grazia e Giustizia priverebbe il Cristianesimo di una dimensione fondamentale del dialogo religioso fra uomo e D-o: lo scambio reciproco di azioni e sentimenti. L’ipotesi teologica che gli ebrei, in quanto tali, si salvano attraverso la Legge aprirebbe ai cristiani due possibilità: a) la rinuncia definitiva al desiderio di voler convertire gli ebrei; b) il recupero della dialettica tra Grazia e Giustizia nel dialogo tra uomini diversi nelle idee e nelle pratiche religiose ma uguali nella dignità umana.
L’ insistenza di Dante Lattes sul ruolo centrale dei farisei nel pensiero ebraico ha un importante precedente tra i maestri ebrei italiani.
Nel ‘700, David Nieto ha scritto un saggio che ha intitolato “Il Secondo Kuzarì” . L’ipotesi di David Nieto è che Iehudàh ha-Levì nel suo Re dei Kazari aveva lasciato la discussione a metà, perché aveva difeso il valore della toràh scritta ma non si era pronunciato sul valore della toràh orale. Secondo David Nieto, la toràh orale che nella nostra memoria storica è strettamente collegata con la produzione trascritta dei maestri farisei, è la fonte primaria del pensiero religioso ebraico. La toràh è stata data agli ebrei prima oralmente e poi per iscritto. Il patto fondamentale tra D-o e gli ebrei è il patto della tradizione orale di cui, come affermano la Mishnà ed il Talmud, sono garanti i maestri del midràsh. Il patto della toràh orale è quello specifico del popolo ebraico con D-o, mentre in un modo o nell’altro la toràh scritta è patrimonio di tutta l’umanità. E’ interessante questa messa a fuoco: secondo David Nieto il pensiero ebraico non sarebbe comprensibile senza il pensiero dei maestri farisei. La Legge Scritta si basa sulla Legge orale e non viceversa. Il primato della toràh orale sulla toràh scritta apre una serie complessa di scoperte: il confronto principale diventa quello tra giogo della Legge e libertà della Legge.
Forti del potere acquisito con la toràh orale (che non è in cielo) i maestri farisei ritenevano di poter mettere in minoranza anche il Padreterno. Commentando un famoso midràsh sull’argomernto (TB, BM: 59ab) il Gaòn di Vilna traduceva la risposta di D-o banài nizzechùni come i miei figli mi hanno reso eterno .
Secondo il Gaòn di Vilna e secondo Dante Lattes, i maestri farisei continuano a vivere e ad insegnare.
Settembre 1998 – Shalom