La Rai è riuscita nella fenomenale impresa di dare voce a un criminale di guerra e di farsi accusare di censura dal medesimo dittatore. Uno con cui Di Maio, mentre propone Lannutti alla Commissione Banche, dice che bisogna dialogare. Il Pd, intanto, chissà
Christian Rocca
La Siria contro la Rai è la perfetta sintesi di questi tempi impazziti dove non ci sono solo Michele Anzaldi o Maurizio Gasparri o ignoti leghisti o grillini a occuparsi dei palinsesti della televisione pubblica, ma anche il dittatore Bashar al Assad, amico dei russi, degli ayatollah iraniani e di qualche lottizzato Rai, noto per infischiarsene dei flebili ultimatum di Barack Obama che lo pregava di non gasare i suoi concittadini, un criminale di guerra che non si scompone a intimare Saxa Rubra di trasmettere, «come concordato», la sua propaganda di regime a uso degli allocchi. Del resto, il nostro ministro degli Esteri non ha appena detto al Corriere della Sera che è arrivato il momento di dialogare con Assad? E, allora, quale miglior posto, per un bel dialogo con lo sterminatore di curdi e di siriani, di una bella prima serata su Raiuno, magari si potrebbe organizzare uno special di Ballando con le stelle con il giudice e ballerino Ivan Zazzaroni, quello che non ha ancora capito che titolare in prima pagina Black Friday a corredo della foto di due calciatori neri è da ignoranti, prima ancora che da inconsapevoli razzisti.
Questa è la Rai, un’istituzione culturale capace contemporaneamente di fare una marchetta a un dittatore sanguinario e di farsi accusare di censura dal medesimo despota che Christopher Hitchens (quanto ci manca!) una volta definì «un cretino che somiglia a uno spazzolino da denti».
Ma il nostro ministro degli Esteri non ha appena detto al Corriere della Serache è arrivato il momento di dialogare con Assad?
Ma che cosa aspettarsi da un’azienda presieduta da un noto twittatore di cene sataniche di Hillary Clinton e del suo staff nello scantinato della pizzeria Comet Ping Pong di Washington, DC?
Poi c’è il Parlamento, dove un altrettanto noto twittatore dei Protocolli dei Savi di Sion, come abbiamo scritto sabato, è autorevolmente candidato dal primo partito italiano a presiedere la Commissione di inchiesta sulle banche e, quindi, sui suoi odiati banchieri ebrei contro i quali aveva, appunto, condiviso il più famoso documento antisemita della storia, lo stesso che un professore universitario di Siena, avendo studiato, ha riconosciuto fosse un falso storico, bontà sua, ma non per questo da considerare poco accurato, anzi, e per sottolinearlo ha postato anche alcuni pensierini estatici su Hitler, allegando foto instagrammabile del Führer in posa con pastore tedesco.
Lo sconcerto di alcuni analisti e commentatori e di qualche politico, anche se tra i leader di partito si è fatto sentire soltanto Matteo Renzi, non ha scalfito l’idea di Luigi Di Maio, Beppe Grillo, Davide Casaleggio, e nemmeno l’algoritmo e Rousseau. Il punto è che non è arrivato nemmeno lo stop formale, ufficiale, incazzato, del Partito democratico, il cui segretario Nicola Zingaretti ieri ha speso parole molto belle per ricordare il sopravvissuto della Shoah Piero Terracina, promettendo che «non abbasseremo mai la guardia e non faremo mai sconti» sull’antisemitismo, quando sarebbe stato sufficiente fare una cosa più semplice e diretta, ma altrettanto accorata: mandare a quel paese Di Maio, Grillo, Casaleggio, l’algoritmo e Rousseau se continueranno a sostenere Elio Lannutti alla Commissione banche e Marcello Foa alla presidenza della Rai.