Si sostiene spesso che nella tradizione ebraica non esista il concetto di peccato originale. Questa affermazione è in parte vera ed in parte falsa. Tutto dipende da che cosa si intende per peccato originale. Per chiarezza: quali diverse conseguenze si fanno derivare, con il concetto generale di peccato e con il concetto più specifico di peccato originale, sulle relazioni tra universo e D-o? Il concetto di peccato implica diversi collegamenti con i concetti di colpa, colpevolezza e senso di colpa.
A) aver commesso un peccato può determinare una condizione oggettiva di trasgressione (colpa), una condizione esistenziale di vulnerabilità giuridica ed etica (colpevolezza) ed una condizione soggettiva di inadeguatezza e punibilità (senso di colpa);
B) questi collegamenti tra il concetto di peccato ed i concetti di colpa, colpevolezza e senso di colpa vanno considerati in rapporto con i livelli di consapevolezza e intenzionalità che accompagnano le azioni ed i sentimenti di peccato.
Peccato = espiazione
Cerchiamo di dare una definizione più ampia del concetto di peccato, verificando se e come questo termine traduce esattamente il pensiero biblico-midrashico. Per iniziare, ricordiamo che nella toràh il termine linguistico che più si avvicina a quello di peccato-colpa è quello di chet/chattàt : chet/chattàt indica una sequenza che parte dalla tentazione di commettere un’azione deviante ed arriva sino alle azioni di riparazione-espiazione; chet/chattàt include un insieme di significati, che vanno dal rompere un patto, all’inciampare in un ostacolo ed al mancare la mira rispetto ad un obiettivo; chet/chattàt ha radici psicologiche molto profonde in quell’area antropologica che oggi chiamiamo Inconscio.
E’ utile comprendere un’altra contraddizione linguistica. Dal termine chet/chattàt derivano due diverse coniugazioni verbali che possiedono significati antitetici. La coniugazione piana (radice:chattà) indica il commettere azioni di rottura/peccato; la coniugazione rafforzativa (radice:chittè) indica lo sviluppare azioni di riparazione/espiazione.
Questa equivalenza della rottura con la riparazione ha un senso: produrre azioni di rottura/peccato corrisponde ad un livello di libertà istintuale, automatica e non pensabile dentro una relazione; produrre azioni di riparazione/espiazione corrisponde ad un livello di libertà affettiva, creativa e pensabile dentro una relazione umanizzata.
Possiamo verificare queste idee analizzando molto brevemente, lo schema teorico dei sacrifici:
a) i sacrifici espiatori di chattàt venivano portati per riparare trasgressioni inconsapevoli od ignote;
b) i sacrifici espiatori di ashàm (radice etimologica di colpa) venivano portati per riparare azioni consapevoli che erano già diventate riparabili con una nuova successiva presa di coscienza;
c) i sacrifici espiatori di ashàm talùi (colpa sospesa) venivano portati per riparare azioni per cui esisteva un dubbio se era stata commessa o meno una trasgressione;
d) per azioni colpevoli che erano state commesse con piena intenzione e con formale rottura del patto, non esistevano sacrifici espiatori (il rapporto con D-o rimaneva sempre riparabile, ma la ritualità socializzata era sostituita da una relazione espiatoria diretta tra uomo e D-o).
Se esiste un peccato, chi lo ripara?
Il discorso sinora sviluppato è stato necessario per un fine ben preciso: consentirci di discutere l’ipotesi di un peccato-colpa originale all’interno di un concetto più ampio e generale di peccato-colpa. Rispetto alla tradizione midrashica-talmudica, ci sembra di potre sostenere che:
a) il concetto di peccato originale come colpa assoluta, esclusiva del rapporto tra uomo e D-o e specialmente irreparabile da parte dell’uomo, non esiste nella tradizione ebraica; nell’universo ebraico è ugualmente inconcepibile l’idea di una colpevolezza-punibilità che si trasmette per via ereditaria; esiste invece l’ ipotesi per cui una generazione può rendere vulnerabili, ma sempre libere, quelle successive;
b) per la teoria midrashica e qabbalistica della Creazione il concetto di chet-chattàt è fondamentale nella prospettiva di una relazione che si rigenera giorno per giorno; per il midrash, D-o crea un universo relazionale come fondamento dell’universo fisico; in questo universo di relazioni , una condizione basilare di manchevolezza della natura, dell’uomo e persino di D-o è il presupposto indispensabile di ogni patto libero;
c) per comprendere il concetto di chet/chattàt è necessario assumere che la riparazione dell’universo può e deve essere realizzata soltanto dall’uomo; persino D-o dipende dalle azioni riparatrici dell’uomo per unificare nel nulla-infinito le Sue manchevolezze e le Sue responsabilità.
Limitazione e coscienza dell’infinito
La nostra analisi ci porta a rovesciare il concetto di peccato originale. Il problema dell’uomo non è il peso paralizzante di una colpa originale che, sin dall’inizio, diventa collettiva ed ereditaria La domanda esistenziale dell’uomo è la responsabilità di una riparazione infinita che, di generazione in generazione, coinvolge il rapporto tra il singolo uomo e la collettività umana.
Riassumiamo il concetto di peccato originale considerando due posizioni :
Posizione fatalistica. Per peccato originale si intende una colpa grave che essendo rivolta contro D-o diventa infinita. Secondo questa posizione, se si considera il testo biblico, la colpa infinita risulta essere, per definizione, il peccato di Adamo. Questa colpa altera definitivamente il rapporto tra uomo e D-o: l’uomo perde la possibilità di donare qualcosa di proprio a D-o e, diventando colpevole, nella sua stessa natura di uomo, non può dare un contributo autonomo alla salvezza. Davanti ad un uomo che diventa infinito soltanto nel peccato e nella colpevolezza, D-o deve annullare la libertà di una relazione paritetica ed è costretto ad assumersi la responsabilità esclusiva della Salvezza. Senza la Grazia soverchiante di D-o, tutti gli uomini assumono le conseguenze del peccato originale sin dal loro concepimento.
Posizione libertaria. Per peccato originale si intende una condizione per cui gli esseri umani, e persino l’universo, per poter esistere in libertà, debbono necessariamente avere la potenzialità di agire contro la volontà ed il desiderio di D-o. Secondo questa posizione, la colpabilità dell’uomo sta nella lotta che ogni essere umano combatte per scegliere tra i suoi istinti ed il suo Creatore. Se si considera il testo della toràh, il modello paradigmatico della colpa sta nella ribellione del Vitello d’Oro: mentre D-o dona le Tavole del Patto che sono state accettate in piena libertà dagli ebrei, quest’ultimi debbono esercitare il diritto di rompere queste stesse Tavole del Patto per richiederle in un rapporto d’amore vincolante con D-o. Neppure D-o, può aiutare gli ebrei a muovere il primo passo di questo percorso. La percezione della presenza di D-o richiede la percezione che D-o si allontana dall’accampamento umano e che l’uomo-ebreo deve agire per farlo ritornare dentro di sé. Per conquistare, in pieno diritto l’amore di D-o l’uomo-ebreo deve combattere e vincere contro D-o.
Le due definizioni, fatalistica e libertaria, di peccato originale sono ugualmente belle sul piano dell’esperienza estetica ma sono totalmente opposte sul piano dell’esperienza etica.
La posizione fatalistica , già presente nel mondo greco, in quello medio-orientale antico e nella loro fusione ellenistica, presuppone che tutto il gioco dell’universo sia nelle mani della Divinità; Lui ha le carte, Lui fa le regole, Lui fa saltare il mazzo di carte quando, bontà o necessità Sue, vuol far vincere una parte del gioco anche agli esseri umani..
La posizione libertaria , cioè quella biblica midrashica, presuppone che sin dal primo attimo della Creazione, l’Universo (ancor prima dell’uomo) ha la pienezza irrevocabile della libertà e la necessità di stabilire un patto con D-o. Miracolosamente, D-o stabilisce le regole, ma il gioco è alla pari, perché la parità dei ruoli è una scelta di D-o. Il problema di D-o è quello di imparare a perdere la partita senza perdere l’onnipotenza.
Il buio sulla faccia dell’abisso
Secondo la dizione dei Maestri, D-o crea il buio e forma la luce. Questo apparente paradosso deriva da un ragionamento garantista sulla validità del patto tra D-o e l’uomo. I quesiti sono molto semplici: a) se D-o è onnipotente può creare un universo che per quanto limitato possa competere con Lui? b) se D-o è onnipotente non deve forse imparare a darsi dei limiti, perché l’uomo impari a comprendere il significato dell’infinità di D-o? Seguendo il Midràsh, nella Creazione, D-o parla con gli oggetti che non esistono per farli esistere; il dialogo primordiale di D-o è la vera creazione, perché creare dal niente significa che anche nell’abisso del niente esiste una possibilità di ascolto e di risposta; gli oggetti nascono perché ricevono la possibilità di ascoltare la voce di D-o. La creazione del buio precede e condiziona la creazione della luce. Già nella tradizione biblica il buio non è una mancanza di luce, ma la sostanza da cui la luce è formata. Ed il peccato originale? E la colpa di Adam e Chavàh? E la colpa del Vitello d’oro?
La tradizione midrashica precisa che le manchevolezze della Creazione precedono qualunque manchevolezza dell’uomo: 1) D-o deve avvolgersi in un Talléth perché la luce possa squarciare il buio; 2) l’universo cerca di espandersi all’infinito finché D-o lo obbliga a fermarsi, per consentire all’uomo la possibilità di una riparazione accettabile; 3) i cieli rimangono in una condizione di oscillazione perpetua, finché D-o non li obbliga a stabilizzarsi; 4) le acque inferiori rifiutano di separarsi dalle acque superiori, finché D-o non promette di dare anche a loro una possibilità di riunirsi all’infinito; 5) La luna rifiuta di illuminare il mondo con una corona pari a quella del sole finché D-o non la obbliga a rimpicciolirsi (per l’eternità?); 6) D-o chiede alla terra di generare alberi-frutto, in cui il tronco sia identico al frutto, mentre la terra produce tronchi che non sono frutti .
Adam e Chavàh mangiano l’albero-frutto del bene-male dopo questi precedenti
Se Adam e Chavàh avessero mangiato i frutti permessi prima di mangiare quello proibito avrebbero capito il senso liberatorio della mizvàh; se Adam e Chavàh avessero aspettato l’inizio del primo Shabbath per mangiare l’albero-frutto, non ci sarebbe stata nessuna manchevolezza nella loro azione; se il Giardino stava al centro dell’Eden e se l’Eden stava al centro del Giardino, in quale spazio cresceva l’albero-frutto? E se anche l’albero della vita stava nello stesso punto (dell’Eden e del Giardino) che differenza c’era tra l’albero della vita e quello dell’albero-frutto? E se il serpente stava fuori dell’uomo come poteva coincidere con l’istinto del male che sta dentro l’uomo? Le versioni midrashiche su questo argomento sono molte ma dicono tutte la stessa cosa: a) le manchevolezze dell’universo sono una caratteristica necessaria ed indispensabile della Creazione; b) il cosidetto peccato di Adam e Chavàh essendo stato commesso prima che la creazione fosse finita, con lo Shabbath, fa parte delle regole stabilite da D-o nella trattativa con il creato.
Gli ebrei hanno commesso la trasgressione del Vitello d’Oro soltanto per insegnare a tutta l’umanità che la teshuvàh è sempre possibile. D-o si era scordato di mettere per iscritto questo principio già assodato e gli ebrei Lo hanno spinto a correggere questa mancanza rompendo e facendosi ridare le Tavole del Patto. Le seconde Tavole del Patto sono migliori delle prime, perché la pietra e la scrittura sono opera dell’uomo.
Gli gli ebrei pensano che il Perdono Originale esiste da prima della Creazione. Come diceva Levi Izchàq di Berdichev: forse che D-o non ha niente da farsi perdonare?
Novembre 1998 – Shalom