Uno dei neo-eletti deputati del partito guidato da Yair Lapid ha utilizzato il suo primo intervento al parlamento israeliano per rivolgere un toccante invito allo studio del Talmud, come fondamento della cultura ebraica per tutti gli ebrei, laici e religiosi. (qui il video in ebraico). Inevitabili le polemiche da parte ultra-ortodossa (qui in ebraico). Di seguito alcune riflessioni.
Paolo Sciunnach
Sorprendente intervento, quello di Ruth Calderon, come membro del parlamento israeliano, ha parlato con il cuore. Lo scopo dell’intervento, apprezzato, è stato effettivamente quello di far leva sulla rinascita culturale della società israeliana post sionista, rinascita assolutamente necessaria per lo sviluppo di un’identità culturale nazionale che sembra esser venuta meno dopo l’affievolirsi dei vecchi valori forti del sionismo politico.
Sono sicuramente convinto che la Torah (Scritta e Orale) sia il patrimonio comune di tutti gli ebrei (uomini e donne). Sono convinto che ogni ebreo debba avere la possibilità di accedere alle fonti e poter studiare Torah in modo profondo, intellettualmente e spiritualmente.
Attendiamo il giorno in cui la Torah sarà scolpita nel cuore di ogni singolo ebreo.
Sono convinto che anche il mondo accademico non necessariamente ortodosso debba promuovere lo studio della Torah e della letteratura talmudica all’interno della società israeliana.
Ma ho alcune osservazioni al riguardo:
Quanto, questo studio “accademico” della Torah, è finalizzato ad avvicinare la società secolarizzata ad una dimensione spirituale in senso tradizionale (Tshuvah)? Esiste un approccio “secolare” allo studio della Torah?
Esistono due approcci allo studio della Torah:
– l’approccio “storico” che è un approccio “distaccato”, dove il testo viene esaminato attraverso il contesto storico nel quale è stato scritto. Il testo è affrontato con obiettivo distacco, al fine di averne una conoscenza oggettiva.
– l’approccio “midrashico”, diremmo quasi “esistenziale” si basa sul coinvolgimento personale dell’interprete nell’evento della comprensione. L’interprete è interessato all’insegnamento del testo come guida di vita, di vita propriamente ebraica: Mitzvot.
L’ermeneutica ebraica delle Scritture si è espressa in forme diverse, peraltro, tutte convergenti nel fine che i Maestri della tradizione orale volevano conseguire, cioè il dispiegamento continuo del testo grazie all’elaborazione esegetica e all’approfondimento del senso intimo delle Scritture, per portare incessantemente la luce della rivelazione nella vita dell’ebreo.
Non vorrei che si rischiasse di “naturalizzare”, “secolarizzare” la metodologia interpretativa tradizionale della letteratura rabbinica stessa, e quindi “de-responsabilizzare” il lettore rispetto al testo stesso.
Oggi, molti singoli individui reclamano il diritto di esercitare il loro “buon senso” nel determinare cosa debba essere l’ebraismo contemporaneo, benché essi non studino la Torah e il Talmud in modo sistematico. Questi “posqim” autodidatti ammettono le carenze della loro formazione spirituale (pur avendo padronanza per quanto concerne testi e fonti), tuttavia insistono sul loro diritto di decidere sulla base del “buon senso” questioni religiose fondamentali.
Il sistema interpretativo tipicamente rabbinico possiede una sua propria metodologia, un modo di analisi ermeneutica suo proprio. La letteratura rabbinica possiede un suo proprio approccio epistemologico che può essere compreso unicamente da un Chacham in grado di padroneggiare sia la metodologia, sia il vasto materiale. Essa possiede il suo proprio logos, un suo metodo di pensiero e costituisce un sistema indipendente. La Halachà non necessita solo del “buon senso comune” così come non lo esigono i sistemi scientifici concettualizzati. Quando la gente parla di una “interpretazione insensata, congelata o empirica”, mancando di una conoscenza della metodologia specifica, che può essere acquisita solamente attraverso vasti studi, si limita ad applicare ragionamenti basati sul “senso comune”. Questo approccio non dovrebbe essere tenuto in seria considerazione.
La Torah (Scritta e Orale) è di tutti gli ebrei, ma questa deve essere sempre Torah di vita, vita vissuta nella tradizionale osservanza della Halachà. L’esistenza ebraica non è solo appartenenza ad un popolo o al suo patrimonio storico-culturale, ma anzitutto il vivere nell’ordine spirituale dell’osservanza delle Mitzvot. Non è soltanto una certa profondità intellettuale e morale degli individui, ma è anzitutto coinvolgimento e partecipazione alla vita ebraica nel senso più tradizionale. Il significato dell’esistenza religiosa ebraica è fondamentale. Adattarlo alla cornice delle predilezioni intellettuali personali equivale a distorcerlo.
Lo studio autentico della Torah oltrepassa il contenuto di tutte le filosofie che pretendono di descriverlo. Noi non lo abbiamo inventato. Lo abbiamo ricevuto in eredità da D-o stesso. Possiamo accettarlo o rifiutarlo, ma non dovremmo deformarlo, “secolarizzarlo”.
Riguardo poi al ruolo della donna ebrea in merito allo studio della Torah e al suo insegnamento: la tradizione ebraica è piena di grandi donne che si sono impegnate personalmente nello studio della Torah (Scritta e anche Orale) e al suo insegnamento. Tuttavia, i ruoli tra uomini e donne, anche in merito allo studio sono differenti, ma assolutamente complementari.
Nei tempi passati i Maestri non usavano insegnare la Torah Orale alle donne, non era necessario. Ma al giorno d’oggi è comunemente diffuso (in ambito strettamente ortodosso) il fatto che le donne studino la Torah Scritta e Orale e la insegnino. Tuttavia le donne non usano generalmnte studiare sistematicamente la complessità della logica talmudica. A questo proposito si veda Torah Temimah su Devarim 11, 15 dove si precisa che dal momento che il Talmud afferma che “D-o ha dotato la donna di grande capacità intuitiva, superiore all’uomo” (Niddah 45b), se le donne studiassero la Ghemarah senza però esserne tenute, quindi senza una grande esperienza e conoscenza alle spalle (come prerequisito), la loro grande intuitività potrebbe portarle a conclusioni errate in merito alla logica talmudica, come è scritto: “Senza conoscenza non c’è comprensione” (Avoth 3, 17). Si veda anche Igheroth Moshe, Yoreh Deah 3, 87.
Una donna che desideri studiare la Torah Orale in modo da approfondire la Halachah è tenuta a farlo. E la sua ricompensa equivale a colui che osserva una Mitzvah anche se ne è esente. Su questa base ad una donna è consentito studiare tutte le parti della Torah Orale che sono necessarie per comprendere un aspetto di interesse specifico. Si veda a questo proposito la Tosefta, Kelim, Baba Kamah 14, 9; Pesachim 62b dove si parla di Bruria la moglie di Rabbi Meir che insegnava agli studenti del marito; il Chullin 109b dove si narra delle discussioni Halachike tra Yalta (Yentl) e suo marito Rabbi Nachman; i responsa del Marshal 3 dove si narra che la Rebbetzin Miriam, la nonna del Marshal ha insegnato agli studenti del marito. Per non parlare della contemporanea Nechamah Leibovitch.
La storia ebraica abbonda di donne che hanno eccelso nello studio e nell’insegnamento della Torah.
Una donna non può avere il ruolo di Rav o Dayan, ma se è particolarmente esperta in un campo specifico della Halachah può esprimere il suo responso in merito ad una questione di sua competenza. A questo proposito si veda lo Shulchan Aruch, Choshen Mishpath 7, 4 che si basa sul Rambam Hilchoth Melachim 1, 5 dove si precisa che solo l’uomo ha la possibilità di assumere la carica pubblica di Rav o Dayan, dal momento che solo l’uomo è tenuto alla Mitzvah dello studio della Torah per se stessa. In Yevamoth 45b ci si chiede su quale base allora Deborah, all’epoca dei Giudici, ha svolto il ruolo di Dayan per tutto il popolo ebraico. Si danno due risposte: Deborah in realtà insegnava ai Giudici uomini come giudicare. E si trattava di una situazione particolare basata su una profezia esplicita. In Baba Kama 15a c’è un’altra spiegazione: se il popolo accetta volontariamente una donna come giudice, la donna può esercitare pubblicamente la funzione di giudice. La stessa questione è posta in merito alla capacità di testimoniare difronte ad un tribunale, si veda Choshen Mishpath 35, 14.