Israele ha un vantaggio militare contro i terroristi palestinesi, ma dal punto di vista della percezione pubblica c’è un antisemitismo persistente che viene sfruttato da Hamas per manipolare l’informazione di guerra
C’è da credere che nei ranghi di Hamas siano più alti in grado i guastatori del sistema dell’informazione globale che i fanatici anfetaminizzati impegnati nei pogrom in terra d’Israele. Del resto, anche nella Russia di Putin le truppe scelte sono annidate nelle fabbriche di bot moscovite e pietroburghesi, non tra i coscritti e i galeotti delle guarnigioni siberiane, mandate ad ammazzare in terra d’Ucraina e a razziare, come premio di guerra, denti d’oro e lavatrici.
I gerarchi del nazismo islamico sono perfettamente consapevoli della doppia asimmetria della guerra contro Israele: di quella propriamente militare, in cui la sproporzione di forze è a vantaggio dello stato ebraico, e di quella informativa e cognitiva che dal 1948 vede in vasti settori (via via crescenti) dell’opinione pubblica occidentale prevalere il pregiudizio contro la democrazia israeliana, anche oltre i confini dell’antisemitismo militante.
Gli scudi umani arabi, di cui Hamas affolla la striscia di Gaza, remunerandoli con una vita di sussidi e di stenti e con i gradi degli eroi della resistenza anti-sionista, sopra i rifugi sotterranei da cui i pupari della Jihad muovono i fili degli eventi e del loro racconto, servono molto più alla guerra cognitiva che a quella militare.
Non servono solo a ingombrare i bombardamenti israeliani, servono soprattutto ad alimentare i bombardamenti islamisti di notizie terribili sulle vittime civili del nemico ebraico, nella gran parte dei casi, peraltro, auto-procurate, come nel caso dell’Al-Ahli Arabi Baptist Hospital, ma comunque addebitabili alle truppe cosiddette “occupanti” di un territorio che però Israele non “occupa” più dall’agosto del 2005, quando sgombrò anche gli ultimi coloni, e che da allora Hamas controlla di fatto, dopo avere sconfitto, in una guerra fratricida, Fatah. Notizia apparentemente risaputa, ma sostanzialmente ignorata dal telespettatore medio e troppo vecchia, nella tv che corre appresso ai social, per zavorrare la notizia del bombardamento fresco di giornata.
Vista dall’Italia, questa guerra di Hamas a Israele non sembra destinata solo alla vittoria, ma al trionfo, considerando che lo scopo dichiarato di Hamas non è costruire uno stato palestinese, ma distruggere quello ebraico con i mezzi che ha a disposizione: tra questi le armi fornite dall’Iran valgono infinitamente meno di quelle garantite dalle verità prêt-à-porter dell’infotainment nazionale, che la sera del 17 ottobre ha concluso a reti praticamente unificate – sulla base di un comunicato del ministero della sanità di Gaza, cioè di Hamas – che Israele aveva compiuto un terribile crimine di guerra, della stessa stregua se non peggiore di quello compiuto dai terroristi palestinesi il 7 ottobre in Israele.
La Bestia di Hamas, cioè la regia di questa strategia di comunicazione, è enormemente più forte contro Israele delle bestie di Hamas, che vanno nei kibbuz ad ammazzare i bambini e i vecchi sulle sedie a rotelle: stragi peraltro che un accurato fact-checkingprovvede subito a contestualizzare e a relativizzare, smentendo rumorosamente la notizia che gli sgozzati fossero stati anche decapitati. No, solo sgozzati, si precisa secondo diligenza informativa, appresa nei corsi obbligatori di deontologia giornalistica dell’Ordine.
Il trionfo della strategia di Hamas nei media nazionali ha alcune ragioni generali e una particolare e specificamente italiana. Tra quelle generali c’è ovviamente l’infiltrabilità di un sistema informativo a rimorchio, dal punto di vista economico, tecnologico e ormai pure linguistico del sistema di comunicazione globale, che non vende notizie e conoscenza, ma pubblicità e, come si dice, “esperienze” secondo uno schema di polarizzazione coatta.
A questo si aggiunge, come si diceva, la persistenza di un pregiudizio antiebraico fortemente polarizzato in tutto l’Occidente democratico, che la stessa esistenza dello Stato di Israele rinfocola, come dimostrazione del potere planetario del sedicente popolo eletto. Un risorgente antisemitismo, dichiarato e mascherato, è da anni la cartina al tornasole della crisi delle democrazie nel mondo libero, e una delle peggiori responsabilità della leadership di Netanyahu è quella di avere offerto sponda e legittimazione ad alcuni dei più impresentabili agitatori della democrazia illiberale – da Trump a Bolsonaro e a Orbán – consentendo loro di convertire il favore per i partiti della destra israeliana e l’amicizia esibita con il vecchio Bibi in una patente di immunità speciale per le loro retoriche razziste e suprematiste, naturaliter antisemite.
Non è un caso che, nel momento in cui l’ideale del sionismo e il modello dello Stato ebraico è stato degradato da Netanyahu a un nazionalismo come un altro, con il consueto contorno di delinquenti politici matricolati che ogni nazionalismo porta con sé, in Italia il più (tra un milione di virgolette) filo-israeliano di tutti è diventato il più grande alleato dei neofascisti francesi e dei neonazisti tedeschi, cioè Matteo Salvini.
Per rimanere all’Italia c’è però un ulteriore e specifico elemento, un carattere tipicamente domestico che, aggiunto a quelli che affliggono i sistemi informativi di tutto l’Occidente, rende il nostro Paese ancora più vulnerabile alle macchinazioni della Bestia di Hamas. È lo stesso elemento, che ha permesso a Yasser Arafat nel 1982 di essere accolto come un trionfatore dal Parlamento italiano e di entrare armato nell’Aula della Camera dei deputati a parlare di pace a nome di un movimento politico, l’Olp, che recava nel suo statuto l’obiettivo della distruzione dello Stato di Israele.
È lo stesso carattere che ha reso accettabile negli anni ’70 alla classe dirigente di governo e di opposizione un accordo – il cosiddetto Lodo Moro – che consentiva libertà di manovra di uomini e mezzi al terrorismo palestinese sul territorio nazionale, in cambio dell’impegno (peraltro non mantenuto) a preservare l’Italia da attentati e stragi.
L’Italia politica, con l’eccezione dei piccoli partiti laici e dei radicali, fin dalla Prima Repubblica ha ritenuto che al diritto di Israele a esistere non potesse essere sacrificato il diritto dell’Italia di tenersi alla larga dalle sue guerre subite e quindi dal suo destino. È un imprinting di ignominia, che non manchiamo di replicare a ogni nuova occasione, con la fanfara di un’informazione ignominiosamente adeguata alla bisogna.
https://www.linkiesta.it/2023/10/palestina-hamas-israele-guerra-cognitiva/