John Zorn, compositore ebreo newyorkese, è noto per il suo eclettismo musicale e la prolificità. La sua opera, influenzata dalla tradizione ebraica, rappresenta bellezza e dialogo culturale contro l’odio contemporaneo.
Enrico Marani – 9 maggio 2025
Nel faticoso dissolversi di ogni sicurezza, cammino a cui siamo costretti dal 2020 con la pandemia, i morti e la dolorosa chiusura delle scuole che ha scosso così tanti giovani e adolescenti, siamo ora di fronte al disfacimento della pace. Sembra non ci sia tregua in questo sbriciolarsi di aspettative di normalità. Assistiamo ad un crescendo di possibilità scontate fino a pochi anni fa che improvvisamente si dissolvono, libertà a poco prezzo ora da pagare a peso d’oro, ansie riposte in soffitta ora a tavola con noi ogni giorno.
Al contempo aleggia in occidente un forte vento di inconsapevolezza, dove tutto è dato per scontato, come se quel che accade altrove sia lontano e non ormai sotto casa, e la libertà sia un fatto naturale, acquisito, dato per certo, mentre non è mai stata minacciata come ora. Le guerre ed i conflitti si moltiplicano, le vittime innocenti, l’odio, la rabbia, il risentimento e piaccia o meno il ritorno dell’antisemitismo impazzano in tutto il pianeta.
La fatica si fa largo, il sonno è disturbato, il mattino stanco. Come curarci? Oggi ci immergiamo nella cultura ebraica a cui appartiene il prolifico ed esplosivo John Zorn, l’uomo che sforna spartiti come i fornai pagnotte. Ama Morricone (e il Maestro ha amato le interpretazioni di Zorn dei suoi spartiti) e lo omaggia a più riprese. Quel che sorprende è che, pur nella gran quantità, la sua è musica di altissima qualità.
Nell’arte però abita essenzialmente la ricerca della bellezza meravigliosa dove l’altro, la cultura diversa, è luogo di scoperta e meraviglia, contaminazione e ibridazione. Un’attitudine che stiamo perdendo fuori dal contesto artistico nella tentazione dilagante di fare della violenza il discorso prevalente, violenza che parte appunto dalla negazione dell’altro, dalla volontà di dominio di una tribù sull’altra, dalla necessità di cancellarne l’esistenza, sfregiarne i resti, disperderne le spoglie.
Dunque la musica, l’arte in genere, sono oggi preziosi più che mai. Nella loro inutilità mostrano un approccio diametralmente opposto a quello che vediamo dispiegarsi giorno dopo giorno in chi coltiva l’odio degli adesivi sugli esercizi commerciali dove questo o quello non sono bene accetti, come ai tempi delle leggi razziali.
La caratteristica unica di John Zorn è la varietà, la spinta a reinventarsi in ogni disco, costruendo un repertorio monumentale che è talmente eclettico da disorientare l’ascoltatore. La musica popolare ebraica ha influenzato profondamente la creatività di John Zorn ebreo di New York, capace di reinterpretare la tradizione attraverso il jazz e non solo. Non mancano esempi dove le radici culturali ebraiche sono esplicite e altre composizioni dove si nascondono, ma sono sempre le fondamenta del suo discorso. Zorn che è evidentemente innamorato della musica, come di una compagna di vita irrinunciabile comunica questa gioia ogni volta che sale su un palco.
Il gruppo con cui ha esplorato con maggior cura la tradizione musicale ebraica sono i Masada assieme al trombettista Dave Douglas, al contrabbassista Greg Cohen e al batterista Joey Baron: magnifici musicisti e formazione che ha regalato dischi bellissimi e celebrati dalla critica. I Naked City sono indubbiamente l’altro progetto famoso di John Zorn con in formazione: Wayne Horvitz alle tastiere, Bill Frisell alla chitarra, Fred Frith al basso, Joey Baron alla batteria e occasionalmente alla voce Yamatsuka Eye.
Non ci sono i loro dischi su spotify e così non li troverete nella playlista, ma sono forse più lontani anche dalla musicalità ebraica evidentissima con i Masada. Ho avuto la fortuna di assaporare i Naked City dal vivo più di 30 anni fa e vederli suonare è stato indubbiamente un privilegio.
Da anni Zorn si dedica a scrivere partiture eseguite da musicisti sempre di grandissima levatura, come Pat Metheny ad esempio e spero di farvi comprendere lo spirito eclettico di Zorn, che come sapete è anche un po’ il mio pallino e credo di poter dire si tratti di un viaggio sonoro variegato e ricco di momenti lirici.
Certo una musica non facile, ma ogni tesoro chiede dedizione, ascolto, impegno, costanza. Non è la fretta che malauguratamente ci fa scambiare un vetro colorato per una gemma rara e viceversa?
Sto cercando in modo maldestro, nei nostri venerdì dove (((RadioPianPiano))) si affaccia su INoltre, di immergervi attraverso la musica nella bellezza, di render chiaro come ci siano altre dimensioni al di là di polemica, rabbia, odio, violenza e orrore. Un sasso certamente inutile, gettato in uno stagno che sempre più ribolle di un sinistro desiderio di autodistruzione, ma a volte combattere contro i mulini a vento non è necessario?
L’arte e la musica raccontano sempre un’altra storia e proprio a questi sapori di inebriante bellezza mi aggrappo come ad un salvagente, ad una boccata d’aria fresca e ad un calice di vino buono. Voglia di poesia?
Lungi da me l’idea di fornirvi un viaggio esaustivo nella musica di Zorn, artista che ha pubblicato centinaia di dischi in modo compulsivo. Mi sono concentrato sulle composizioni che dialogano con la tradizione ebraica, perché è questo il discorso che mi sta a cuore. Contestare attraverso l’arte l’ignoranza, il ghigno di chi odia appoggiandosi a questa o quella pezza giustificativa, spacciandola addirittura per giustizia o per altri pelosi buoni propositi.
L’obiettivo era incuriosirvi, spingervi a navigare l’autore americano l’anno scorso a spasso per l’Italia per una serie di concerti e non mi sono perso anche a questo giro il ragazzaccio arrivato a 70 anni, ma che comunica a chi lo ascolta l’entusiasmo di un ventenne. Time is a trick of the mind.
https://inoltreblog.com/john-zorn-una-storia-di-eclettismo-estremo-e-difesa-silenziosa/