Giovanni Quer
Il ragazzo etiope Solomon Teka ucciso da un ufficiale della polizia a Kiryat Haim, sobborgo nord di Haifa, domenica 29 giugno. Il poliziotto, che non era in servizio, sostiene di esser intervenuto in una rissa tra tre ragazzi, e di aver sparato a terra dopo essersi sentito minacciato. Il proiettile sarebbe rimbalzato e avrebbe colpito Solomon di 19 anni. I testimoni sostengono invece che il poliziotto non sia stato minacciato e che sia intervenuto con la pistola perché si trattava di ragazzi etiopi. La morte di Solomon ha causato una serie di manifestazioni in tutta Israele, che sono sfociate anche in violenza e scontri con la polizia. Il picco delle violenze martedì, con 47 poliziotto feriti e 26 manifestanti. In totale 136 persone arrestate per disturbo dell’ordine pubblico e sommossa. I genitori di Solomon Teka hanno chiesto di interrompere le manifestazioni perché non ci sia altra violenza e al posto delle proteste si è tenuta una cerimonia spontanea in ricordo di Solomon nel luogo dove è stato ucciso. Israele non è l’America.
La mobilizzazione sociale etiope e la solidarietà di altre comunità usano comparazioni con gli Stati Uniti e con black lives matter. Non ostante la somiglianza di alcuni problemi, marginalizzazione, over-policing (il controllo esagerato di alcune comunità da parte del polizia), profilo razziale, pregiudizi sociali, non è una situazione comparabile. La comunità africana-americana soffre di marginalizzazione e discriminazione dovuta a secoli di schiavitù prima e segregazione razziale poi, con fratture sociali e culturali difficili da sanare. In Israele non è così, checché ne dicano i detrattori dello Stato ebraico che smaniano di accusare Israele di apartheid.
Detto ciò, c’è un problema con la comunità etiope. In 35 anni, cioè dalle prime immigrazioni negli anni 80, il processo di integrazione è stato un successo per una piccola parte degli israeliani di origine etiope. Non si devono dimenticare gli scrittori, imprenditori, artisti e politici di origine etiope che sono parte integrante della società israeliana. Ma la maggioranza è ancora marginalizzata, per via di meccanismi sociali e culturali che si perpetuano. Tra questi, il problema della violenza della polizia. Un documentario della tv di stato Kan11, “ghetto”, mostra come la comunità etiope di Netanya soffra di “attenzione” esagerata da parte della polizia. Gruppetti di ragazzi che hanno lasciato la scuola, che vivono in povertà e senza prospettive, sono facilmente a rischio di criminalità e sono considerati criminali in potenza dalle autorità. Un giovane etiope che commette una minore infrazione ha più probabilità di finire nel sistema di giustizia di altri, con conseguenze le til resto dell vita: interruzione dell’educazione, posticipazione o esenzione de servizio militare, prospettive lavorative nulle. Il servizio militare è, secondo molti, il miglior modo per uscire dal ciclo di marginalizzazione e violenza. Questo problema è stato indirizzato dalla Commissione Palmor nel 2015, dopo che un soldato etiope è stato attaccato senza ragione da un poliziotto. Le proteste della comunità etiope sono state molto simili – manifestazioni e episodi di violenza. La commissione ha studiato le ragioni della marginalizzazione e ha indicato anche il profilo razziale delle forze di polizia come uno dei motivi di conflitto tra giovani etiopi e forze dell’ordine. Delle 51 raccomandazioni, 43 sono state adottate, come per esempio corsi anti-razzismo per ufficiali delle forze dell’ordine e politiche di integrazione negli uffici pubblici e nelle società.
Le raccomandazioni indirizzate ai ministeri dell’educazione e della cultura, per programmi educativi e culturali che mettano in rilievo la comunità etiope, non sono state attuate. I vari programmi di integrazione delle comunità, inglesi, francesi, russi, attuati da diverse organizzazioni e ONG, non hanno pari rispetto a quelli dedicati agli etiopi, che non hanno comunità all’estero che li sostengano. La violenza dei dimostranti rischia agli occhi di molti di delegittimare la causa delle proteste e le legittime richieste di chi partecipa perché è etiope o perché esprime solidarietà.
Ma la violenza della polizia non rischia di delegittimare le forze dell’ordine? Si tende a giustificare un poliziotto che sbaglia nella valutazione di una situazione di pericolo, ma il vero problema da affrontare è che i parametri di giudizio sono errati. Ed è questo che le raccomandazioni della Commissione Palmor intendevano cambiare. Il facile uso dele statistiche per indicare una tendenza criminale maggiore tra gli etiopi è anche figlio dello stesso approccio dai parametri errati. C’è un problema con la comunità etiope, che Israele deve risolvere, ora è subito. E come è già successo in passato con altre comunità ci saranno nuovi programmi e le cose cambieranno. Ma deve accadere ora, perché la nuova generazione ha le stesse aspettative di tutti gli israeliani e non ha più pazienza di aspettare un’altra commissione o un’altra analisi sociologica o un altro programma. Infine, è da dire che non si chiamano né falashà né falashmura, ma israeliani di origine etiope.
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