Al Sud non si annoiano. Il Rabbino capo di Napoli risponde all’articolo della rabbinessa riformata Aiello (Kolot del 22.2) che rivendicava la primogenitura del recupero delle anime di origine ebraica nel meridione.
Sotto trovate una nota dell’Unione Mondiale dell’Ebraismo Progressivo che disconosce la stessa Aiello.
Egregio direttore, non è la prima volta che qualcuno si attribuisce il merito (se di merito si può parlare) di avere iniziato a fare l’azione di recupero dei discendenti degli anusim nel Meridione. La storia è in realtà un po’ diversa. Per la cronaca, prima di lasciare l’Italia nell’agosto del 2000 per recarmi a studiare in Israele avevo già preparato un progetto che consegnai all’attuale presidente dell’Ucei (allora Assessore dell’Unione) dal titolo “Alla ricerca dell’ebraismo sommerso”. Nel progetto proponevo la costituzione di una Commissione formata da rabbini, studiosi, antropologi ecc. per una ricerca nel Meridione sull’origine di usanze che avrebbero potuto essere di origine ebraica. La mia proposta non ebbe alcun seguito pratico.
Fu solo all’inizio dell’anno 2003, quando mi trovavo ancora in Israele e fui chiamato dal Rabbino Capo di Roma, rav Shmuel Riccardo Di Segni, a coordinare il lavoro del Tribunale Rabbinico di Roma, che ebbi l’occasione di entrare in contatto con varie persone del Meridione che chiedevano di iniziare un processo di conversione per aderire all’Ebraismo. La richiesta era spesso accompagnata dalla dichiarazione che avevano scoperto di essere di discendenza ebraica. In effetti, dai colloqui che ebbi con questi candidati al ghiur, scoprii che probabilmente si trattava di discendenti degli anusim. Naturalmente i candidati a questo “ritorno” furono da me resi immediatamente consapevoli che la loro adesione all’Ebraismo doveva comportare una completa osservanza delle mizvoth: questo del resto sarebbe stato anche il desiderio dei loro antichi progenitori. Un ritorno all’ebraismo significava anche creare una comunità ebraica, in quanto l’ebraismo non è cosa che possa essere vissuta solo a livello privato, ma richiede la partecipazione a una vita pubblica in collegamento con le altre comunità ebraiche italiane e con Israele.
Fu in seguito a questi incontri e colloqui, e in seguito alla mia nomina a membro della Consulta Rabbinica e quindi membro del Consiglio Ucei, ebbe inizio il progetto per la rifondazione dell’antica comunità di Trani (cui parteciperanno anche persone provenienti dalla Calabria), progetto che fece da apripista per quanto successe (e sta succedendo sia in Calabria che in Sicilia). Pur non avendo alcun incarico specifico fui sempre io a organizzare un primo week end a Trani, cui invitai rav Birnbaum e Michael Freund dell’Associazione Shavè Israele, oltre a rav Izhak Stefano Di Mauro che sapevo essere discendente di anusim e che avevo incontrato qualche anno prima a Miami. Il Progetto Meridione (che vede la collaborazione tra Comunità di Napoli, Unione delle Comunità ebraiche e Shavè Israel) è una conseguenza diretta di questa attività che continua tra molte difficoltà, ma che si va lentamente ampliando.
Da quando sono stato nominato rabbino della Comunità ebraica di Napoli e del Meridione (gennaio 2010), ho iniziato a occuparmi del problema anche nella mia qualità di responsabile del processo di ghiur di tutte le persone che avevano fatto già un percorso precedente presso altri rabbini. Non si tratta ovviamente di cosa da poco, ma di un progetto impegnativo per il tempo, le energie e le risorse economiche che richiede: ogni singola persona che fa richiesta di conversione per “ritornare” all’ebraismo è un mondo intero e va aiutato e guidato a trovare il suo posto nella Comunità. Proprio per questa impostazione accogliente, ma rigorosa, i discendenti degli anusim sono consapevoli che non si può trattare di un processo “toccata e fuga”, ma di qualcosa di molto serio e che ha bisogno di tempo per consolidarsi, e che il loro “rientro” non può avvenire se non attraverso un regolare ghiur e un ritorno alla piena osservanza delle mizvoth. Tutti coloro che sono iscritti a questo “progetto” sono consapevoli che ogni altra scorciatoia sarebbe destinata, purtroppo, a non lasciare traccia. Il costante contatto con il Dayan che fa di riferimento a questo processo (vedi avanti) è per loro una garanzia che non stanno perdendo il loro tempo e con la pazienza necessaria in questi casi arriveranno alla conclusione del loro processo di “ritorno”.
L’entusiasmo e l’impegno delle persone che hanno iniziato questo percorso è stato oggetto di ammirazione da parte di molti ebrei che dall’Italia, dagli USA e da Israele hanno vissuto con loro momenti intensi di vita ebraica in shabbatonim e moadim. Dopo una certa indifferenza iniziale, oggi l’argomento incontra un maggiore interesse anche da parte di rabbini ed ebrei “ortodossi” provenienti dall’estero. Il ritorno dei discendenti degli anusim è oggi all’ordine del giorno in molti paesi tra i quali l’Argentina, il Messico, la Spagna ecc.
Qualsiasi azione venga fatta per suscitare un ritorno all’ebraismo di coloro che, secondo la Halakhà, sono considerati “zéra Israel” (stirpe d’Israele), è certamente degna di merito, ma non dobbiamo dimenticare che noi non dobbiamo solo risolvere i problemi di qualche singolo, ma piuttosto garantire il futuro dei loro figli e dei figli dei loro figli, affinché rimangano all’interno del popolo d’Israele. Qualcuno ha parlato di una deviazione di risorse verso un progetto che non approderebbe a nulla. Anche se è presto per dare un giudizio definitivo, l’esperienza di questi ultimi anni sembra dimostrare chiaramente il contrario e l’ebraismo italiano potrebbe trarre nuovo slancio per rafforzare l’identità ebraica, talvolta troppo sbiadita, dei propri iscritti.
Nel corso di un incontro con un Dayan del Beth din di Gerusalemme, che consulto per questioni delicate di Halakhà, ho posto il problema se era opportuno continuare a occuparsi di questi “resti” di Israele e portarli gradatamente al ghiur, dato che la creazione di una comunità con un minian stabile almeno per shabbath e moed avra’ bisogno di tempi lunghi per essere realizzata. Il Dayan mi rispose che “Non sta a te completare l’opera, ma non sei esentato dall’occupartene”.
(Rabbino Capo di Napoli e del Meridione)
Una nota ufficiale dell’Unione Mondiale dell’Ebraismo Progressivo
A Redazione Kolot Milano,
Le scrivo per rispondere ad un recente articolo, comparso su Kolot, che si riferisce al lavoro svolto dal rabbino Barbara Aiello in Italia.
Onde evitare ogni spiacevole fraintendimento, vorrei far presente che il rabbino Aiello non è un rabbino ordinato dal Movimento Riformato e non rappresenta né la World Union for Progressive Judaism (Unione Mondiale dell’Ebraismo Progressivo), né la nostra sezione regionale, la European Union for Progressive Judaism (Unione Europea per l’Ebraismo Progressivo).
Inoltre, il rabbino Aiello non ha alcuna connessione ufficiale con le nostre congregazioni italiane appartenenti alla World Union for Progressive Judaism.
La ringrazio in anticipo se vorrà condividere questa informazione con i lettori di Kolot.
L’Shalom
Rabbi Joel Oseran Vice President, International Development World Union for Progressive Judaism
Jerusalem
Vice President, International Development World Union for Progressive Judaism Jerusalem