Nel centenario della nascita (1910-1975), ricordiamo David Schaumann, la sua avventura umana e di maestro
Esterina Dana
Avevo dieci anni quando lo vidi per la prima volta; alto, voce tonante, accento straniero, mani grandi dalle unghie larghe: il Preside, professor David Schaumann. Sebbene bambina, colsi l’imponenza della sua persona insieme al calore umano che traspariva dagli occhi nascosti dalle lenti. Non ne avevo mai viste di così spesse e mi sembrarono l’indizio di una grande cultura.
Brava studentessa, i miei rapporti con la Presidenza furono sempre assai radi; vedevo il professor Schaumann in Aula Magna, nelle ricorrenze, che lui sanciva con un discorso sul valore dell’ebraismo e lo sguardo costante ad Israele o, emozionata, alla consegna delle pagelle; mi lodava, aggiungendo sempre un pensiero di Torah che interpretavo come una sorta di benedizione. Il suo ufficio era nella mia mente un luogo fantastico dove avvenivano cose misteriose, che mi incutevano paura o rispetto. Ma i compagni raccontavano che “finire in Presidenza” si risolveva sempre in una sorpresa: rav Schaumann, dopo la dovuta paternale, chiudeva con la dolcezza di una caramella; un gesto di pace, che non sempre i giovani comprendevano.Quando morì, nel 1975, mi sembrò una catastrofe: lo identificavo con la scuola. Paradossalmente non pensai alla sua famiglia, bensì agli studenti e agli insegnanti, che rimanevano orfani di una figura carismatica e rassicurante.
Il figlio Dani racconta che cosa vuol dire perdere un padre (quel padre) a vent’anni: non avere l’occasione di un confronto nel momento in cui ti affacci per la prima volta all’età adulta, essere sradicati per sempre dal tuo passato, per lo più taciuto, vivere con uno strappo nell’anima. È per questo che Dani decide, nell’agosto del 2006, di intraprendere un viaggio proprio “alla ricerca dell’anima”, insieme a suo figlio e a un nipote, verso Kuty, il villaggio natale allora polacco, ora ucraino, di suo padre. Il viaggio è un’avventura, come sempre lo sono i viaggi nel profondo della propria storia, la quale prende corpo lentamente, a strappi, interruzioni, colpi di scena, misteriose coincidenze.
L’immagine di quel padre, trascinato da “una passione ideologica che pervadeva ogni momento della sua esistenza dedicata a trasmettere valori, a parlare con adulti e ragazzi”, si trasforma improvvisamente nella persona che era stato: bambino di Cheder, studente di Yeshivà e di Medicina all’università di Vienna, rabbino, fuggiasco perseguitato dall’antisemitismo austriaco, ricercato dai fascisti in Italia dove si rifugia, profugo in Svizzera dove si ricovera. Dopo la guerra di nuovo in Italia, solo. Niente famiglia. Fratello, sorelle, genitori; tutti morti, vittime della Shoà. Il dolore lo ammutolisce, ma vive, si sposa con Anita (Anna Wolkowitz) e genera due figli, Donia e Dani.
Il viaggio verso il villaggio di Kuty, sognato da Dani per 27 anni, si realizza. Trovare suo padre significa addentrarsi a bordo di un Suv tra le vie intitolate ai Rabbini chassidici che rav Schaumann era solito citare nelle sue lezioni e nei suoi midrashim, e trovare Medziboz, il villaggio dove ha vissuto ed è sepolto il Baal Shem-Tov, padre del Chassidismo, un enorme patrimonio religioso, filosofico, mistico sviluppatosi nei villaggi dell’Europa centrale dal 1700 fino alla Shoà. La ricerca delle radici conduce Dani e la sua “next generation” a Ivano-Frankovski (l’antica Stanislao) dove per caso scopre, tra fascicoli e incartamenti, i nomi dei suoi nonni, commercianti di tessuti, fucilati il 15 settembre 1942 dalla Gestapo; un’informazione sconosciuta allo stesso David Schaumann. I nazisti, entrati nel villaggio di Kuty nel settembre del 1941, tra confische di beni, razzie, deportazioni, fucilazioni, non se ne erano andati finché non l’avevano dichiarato “Judenrein” (puro da ebrei), nel 1943. Ma David Schaumann a Kuty non viveva già più da parecchio.
Arrivato nel 1935 da Genova a Milano, è il nuovo insegnante di ebraico alle scuole di Via Amedei. Giovane idealista, si integra facilmente in un gruppo di amici-alunni cui insegna l’ebraico. In lunghe passeggiate, all’amico Raoul Elia racconta della sua vita a Vienna e delle difficoltà degli studenti ebrei di stabilire rapporti con gli altri studenti di qualsivoglia sfumatura politica; discute argomenti di Torà e Halachà; costella la conversazione di interpretazioni e riferimenti che rivelano la profondità dei suoi studi giovanili.
David Schaumann ha ventotto anni. È il 1938, una data fatale per gli ebrei italiani. Le Leggi razziali, il morale sotto i piedi, l’emarginazione dalla vita sociale, l’espulsione dalle scuole. La reazione, immediata e tipicamente ebraica, è quella di salvaguardare la cultura e la tradizione, cosa che si risolve nella creazione di una scuola media con un corpo insegnante cacciato dalle scuole di Stato. I giovani ebrei dispersi nella grande città di Milano si ritrovano, sostenuti da personalità come il preside Yosef Colombo. A lui si unisce, nei primi mesi del 1939, David Schaumann. Beniamino Ottolenghi ricorda le sue lezioni di letteratura: Hosea, Bialik, gli scrittori di lingua yiddish e nell’ebraico dell’Ottocento, da Mapu-Smolensky a Isaac Leib Peretz; nei loro testi lo spirito entusiasta e ottimista di Schaumann coglie sempre un sotterraneo messaggio di speranza per il popolo ebraico. Dopo la laurea (1942) in materie letterarie, conseguita all’Università di Torino in quanto iscritto prima della promulgazione delle Leggi razziali, nel 1943 ricopre il ruolo di Vice Rabbino Capo di Milano a fianco del Rabbino Capo Rav G. Castelbolognesi.
Con l’8 settembre arrivano i nazisti a Milano, Schaumann salva Castelbolognesi, ricercato dalla Gestapo, e sfugge per un pelo alla cattura, rifugiandosi con lui in Svizzera, dove offre assistenza religiosa ai profughi ebrei italiani che continua a sostenere nei campi di raccolta, designato ufficialmente Rabbino da Rav Zvi Taubes.
È il 1945; la guerra è finita. Di nuovo in Italia, David Schaumann si divide tra Milano e Genova, dove l’anno successivo riceve l’attestato di Rabbino Capo. Ma tutte le sue facoltà fisiche e intellettuali sono dirette al pieno successo della Scuola Ebraica di Milano.
Lascia il posto di vice rabbino e, insieme a Rav G. Castelbolognesi, dà alla scuola un’impronta di ebraicità che “trascinò professori e alunni”. Le Scuole ebraiche riaprono il 22 maggio 1945, negli uffici di Via Eupili “rifugio e speranza … [per ] ondate di superstiti, fuggiaschi ed esuli volontari” (A. Perugia). Nella difficile fase di ristrutturazione delle nostre Scuole, Schaumann conserva la carica di insegnante di ebraico in Via Eupili. Vicepreside del professor Yosef Colombo, lo sostituisce quando questi decide di riprendere la presidenza alle scuole pubbliche trasferendosi al liceo Berchet. Per dodici anni rabbino a Genova, dove va tutti i fine settimana, e rabbino pro tempore a Milano (1968-70) dopo la partenza di Rav Bonfil per Israele, Schaumann non lascerà mai l’incarico di Preside.
La scuola è la sua vera vocazione, una sua creatura nella quale vede il pieno senso dell’esistenza di una Comunità. È convinto che la Scuola ebraica fornisca non solo la stessa istruzione di una scuola pubblica italiana, ma che permetta ai giovani della Comunità di prendere atto e coscienza della propria identità ebraica. Attraverso l’insegnamento della cultura, storia, religione e lingua ebraica, la scuola trasmette il senso positivo di questa identità, fatta non soltanto di persecuzione ed emarginazione, ma di valori e di tradizioni. Questo e molto altro anima lo spirito appassionato del suo Preside. Essenziale è la convinzione che Sionismo ed Ebraismo sono indissolubili, che costituiscono una medesima realtà. Da qui il suo impegno costante a suscitare nei giovani sentimento sionistico, senso di ebraicità e riflessione sull’identità del destino che accomuna Israele e la Diaspora.
Schaumann collabora alla creazione della “Fondazione Sally Mayer” (1951), una scuola superiore di studi ebraici per studenti liceali e universitari, di cui assume la direzione, per poter contribuire così alla diffusione della cultura ebraica e alla formazione di giovani insegnanti della Scuola. Per soddisfare il costante incremento delle iscrizioni registrato dall’anno scolastico 1946-47 in avanti, dovuto anche alle immigrazioni dai paesi arabi e dalla favolosa Persia, nasce l’esigenza di un edificio nuovo, moderno e grande tanto da poter accogliere anche mille allievi. Nel 1959 il progetto si concretizza. Alla cerimonia d’inaugurazione (1960) sono presenti le autorità cittadine, sindaco, prefetto, rappresentanti della provincia, del provveditorato, dei comandi militari, e della Comunità. La scuola, che sorge praticamente in piena campagna, circondata da cascine abitate da contadini, è pronta nel 1961. L’organizzazione delle Scuole ebraiche, il crescente livello di istruzione e la professionalità dei loro insegnanti sono talmente note da suscitare approvazione e lodi che culminano con la medaglia d’oro assegnata dal Ministro della Pubblica Istruzione alla Scuola (1965) e al preside Schaumann in persona (1970) come benemerenza nel campo della scuola, della cultura e dell’arte, riconoscimento eccezionale in quanto mai concesso a persone nel pieno della loro attività e tanto meno estranee, o ai margini, rispetto alle istituzioni statali.
Schaumann è anche è Presidente della F.S.I. e del Bené Berith, vicepresidente del K.K.L. Nei primi anni Settanta il Sessantotto giunge a Milano, anche alla scuola ebraica. Assemblee, pugnaci polemiche, lotta per l’introduzione dei Decreti Delegati risultano, agli occhi del preside, estranei se non pericolosi per la sicurezza della scuola ebraica e dei suoi studenti, ma non si sottrae al confronto, alla dialettica, alla sofferta riflessione. Rav Schaumann ha dedicato l’intera vita all’insegnamento e alla trasmissione di quei valori che appartengono all’ebraismo e all’intera umanità. Se solo avesse avuto tempo, probabilmente la sua intelligenza e la sua capacità di mediazione lo avrebbero condotto a elaborare e integrare le novità del cambiamento nella nostra tradizione millenaria, come sempre i grandi maestri sanno fare. Sfoglio il mio album di famiglia e trovo oggi una foto in bianco e nero, di quelle che vengono scattate a Scuola in occasione di un evento importante. Ritrae Rav Schaumann che consegna un premio a due bambini; uno di loro è il mio fratellino, elegante nella sua divisa con la camicia bianca, il golf blu, un magnifico papillon rosso e l’immancabile papalina bianca.
La mia storia scorre dentro la storia del professor David Schaumann, Il Preside. Un onore.
Il Bollettino della Comunità Ebraica di Milano, Dicembre 2010