HILKHOT SHETIYAH: REGOLE SULLA BEVUTA
Alberto Somekh
Ebbene sì, nulla sfugge all’occhio vigile dei nostri Chakhamim e anche le bevute di Purim hanno le loro regole. Cominciamo con il dire che nella Torah il vino è strumento di mitzwah e nient’altro. Nei Mishlè c’è un versetto che dice: “c’è una via retta davanti ad ogni uomo, ma dietro di essa può portare alla morte” (14,12). Si nota che le tre consonanti finali delle prime tre parole, yesh dèrekh yashàr formano la parola shekhàr = “bevanda inebriante”. Attenti dunque agli alcolici. Se usati con sobrietà (si fa per dire!) possono costituire una “retta via”, ma se se ne abusa si arriverà ad una condizione per cui l’uomo riterrà egualmente retto qualsiasi comportamento (“tutto il mondo gli apparirà come se fosse pianeggiante”: Yomà 75a), con conseguenze inimmaginabili.
Le lettere che formano la parola ‘anavim = “uva”, afferma il Klì Yeqàr commentando l’episodio biblico dell’ubriachezza di Nòach, sono precedute nell’ordine alfabetico rispettivamente dalle lettere che compongono il nome Samael, uno degli appellativi del Satàn. E commentando il versetto “la trebbiatura raggiungerà per voi la vendemmia e la vendemmia raggiungerà la semina” nelle benedizioni della Parashat Bechuqqotày (Wayqrà 26,5) il medesimo commento nota che la Torah adopera l’espressione lakhèm =”per voi” solo a proposito della trebbiatura del grano ma non la ripete per la vendemmia dell’uva. Segno che il pane è effettivamente dato “per voi”, mentre il vino è concesso solo per H., cioè per le occasioni in cui si deve adempiere ad una mitzwah (si confronti l’opposizione lakhem-laH. in Betzah 15b a proposito di come trascorrere Yom Tov).
Il mishteh di Purim è certamente una di queste. La Meghillah abbonda di riferimenti al vino. Ma all’inizio tende anche a sottolineare che al banchetto del re Achashveròsh we-ha-shetiyah ka-dat = “e le bevute avvenivano secondo la regola” (1,8). Quale? Quella della Torah, naturalmente. E la Torah, per bocca dei Pirqè Avòt (6,4), prescrive che in un banchetto l’assunzione di cibo deve essere sempre superiore a quella delle bevande (alcoliche, che devono essere assunte ba-messurah = “misuratamente”: akhilah merubbah mi-shtiyah; cfr. Meghillah 12a). Incidentalmente, nel suo commento alla Meghillah il Gaon di Vilna si domanda che cosa ce ne importa di sapere che proprio così voleva il re, e risponde che se la Meghillah si dilunga nel descriverci le sue bevute, possiamo a questo punto supporre cosa fossero le sue mangiate! Che insegnamento possiamo trarne? Che quando ci si siede a tavola si abbia in mente non solo di bere, ma anche di… mangiare (senza esagerare)!
Non c’è dubbio, peraltro, che Purim è stato istituito come yemè mishteh we-simchah =”giorni di bevuta e di gioia” (Est. 9,22). I nostri Chakhamim hanno stabilito che “ci si deve ubriacare a Purim fino a non distinguere più fra ‘arùr Haman’ e ‘barùkh Mordekhay'” (Meghillah 7b; Shulchan ‘Arukh, O.Ch. 695,2), due espressioni che, guarda caso, hanno lo stesso valore numerico in ebraico. Sull’interpretazione da dare a questa ingiunzione i Rishonim sono divisi. L’Alfasi e il Rosh ritengono che essa vada presa alla lettera. Un secondo livello è rappresentato dal Ràmbam, secondo cui si deve bere piuttosto finché non ci si addormenti: quando dormirà, certamente non distinguerà fra “maledetto Hamàn” e “benedetto Mordekhay”. Secondo altri ancora (Rabbenu Efrayim, Tossafot, Ran e Meiri) è invece sufficiente bere un po’ più di quanto sia abituato ed ha assolto il suo dovere una volta che non sia più in grado di pronunciare più volte velocemente arùr Haman e barùkh Mordekhay senza confondersi.
Nella Halakhah si riconoscono infatti tre livelli diversi di bevuta: shatùy, shikkòr, shikkòr kalùt. Lo shatùy =”bevuto” è colui che, pur avendo alzato un po’ il gomito è ancora in grado di tenere un comportamento dignitoso qualora si trovasse in presenza di un re: non ha il permesso di recitare la ‘amidah finché non abbia smaltito il vino, ma se ha contravvenuto e nel frattempo ha pregato la sua preghiera cionondimeno è valida. Lo shikkòr =”ubriaco” è colui che ha bevuto fino al punto di non essere in grado di contenersi alla presenza di un re e se ha recitato la ‘amidah è tenuto a ripeterla dopo aver smaltito la sbornia, ma dice la Birkat ha-Mazon. Lo shikkòr kalùt =”ubriaco fradicio”, infine, è colui che ha bevuto fino al punto di non rendersi più conto di cosa gli succede intorno: ha perso la ragione ed è esente dalle mitzwòt al pari del minorato mentale.
Nessuno dei Posseqim sopra menzionati ritiene che a Purim si debba raggiungere lo stato di shikkòr kalùt: costui va ben aldilà di non saper distinguere arùr Haman da barùkh Mordekhay! E’ piuttosto verosimile che anche nella condizione intermedia di shikkòr si riconoscano gradazioni differenti, e che mentre Alfasi e Rosh ritengono che si debba raggiungere lo stato di chi non è più in grado di parlare in modo ordinato davanti ad un re, almeno fintanto che non arrivi a comportarsi in modo disdicevole, per il Ràmbam ci si possa accontentare di un livello inferiore, allorché ci si assopisce. Ma molti altri Decisori pensano che basti meno ancora. Scrive in proposito il Meiri: “Non abbiamo alcun obbligo di ubriacarci e di venir meno alla nostra dignità per l’allegria: infatti la mitzwah non consiste in una allegria frivola e sciocca (simchah shel holelot we-shel shetut), ma in una gioia piacevole (simchah shel ta’anug) che ci conduca per suo tramite ad amare il S.B. e a ringraziarLo per i miracoli che ci ha fatto”.
Secondo questo modo di ragionare, riportato come halakhah dal Remà (a O.Ch. 695,2), si è adempiuto alla mitzwah del mishteh una volta raggiunto il livello di shatùy che non è più in grado di dire Tefillah o, secondo un’altra definizione, di calcolare il valore numerico delle due espressioni arùr Hamàn e barùkh Mordekhay (Maghen Avraham ad loc.). Questo è il motivo per cui normalmente si fa in modo di aver già recitato Minchah prima di cominciare il banchetto. Ma se Purim cade di Venerdì, come quest’anno, occorre anticiparlo per il kevòd ha-Shabbat e di ciò si dovrebbe tener conto nel calibrare ulteriormente le bevute.
Afferma il Talmud che “quando entra il vino esce il segreto” (‘Eruvin 65a), riecheggiando un’altra celebre equivalenza numerica, quella fra yayin =”vino” e sod =”segreto”. In pratica, seguendo il consiglio dei Pirqè Avòt, ognuno faccia in modo che tutte le sue azioni siano le-shem shamayim =”in nome del Cielo” (2,12). C’è peraltro un ultimo ragguaglio che vale la pena di fornire. L’alcol raggiunge il massimo del suo effetto solo 20 minuti circa dopo averlo assunto. Molti invece sbagliano e pensano, non avendo notato effetti apprezzabili ai fini della mitzwah cinque minuti dopo la prima bevuta, che sia il caso di rincarare immediatamente la dose e così via, un bicchiere dopo l’altro. Quando la prima bevuta farà effetto sarà ormai troppo tardi per fermare quello delle altre e le conseguenze saranno immaginabili. Si raccomanda pertanto di distanziare fra loro i bicchieri di almeno mezz’ora e di intervallarli con del buon cibo, come si è detto.
Purim Samèach a tutti.