Le incredibili disavventure dello scrittore azero che voleva diventare il biografo ufficiale di Mussolini e morì di stenti. Nato a Baku nel 1905, alla fine della sua vita erano i gestori della «Buca di Bacco» a sfamarlo
Carlo Knight
Nel cimitero di Posita no la tomba di Essad Bey, il «musulmano di Positano», è una lastra di marmo coperta da un’iscrizione in caratteri arabi, sormontata da una stele e da un turbante di pietra. Essad Bey era stato, prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, uno scrittore famoso. Le sue biografie di Stalin e Mao metto avevano avuto in Germania notevole popolarità. E anche i suoi saggi storico-politici sulla Russia e la Transcaucasia, scritti in uno stile romanzesco, avevano attirato i lettori. Una trentina d’anni fa trovai, nel l’archivio del Comune di Positano, un fascicolo a lui intestato, formato in massima parte da rapporti di polizia. Così scoprii che era nato a Baku il 21 ottobre 1905, e s’era trasferito da Berlino a Positano alla fine del 1939, poco dopo l’invasione tedesca della Polonia. Dalle carte risultava che era affetto dal morbo di Raynaud: un male che provoca la progressiva necrosi dei piedi. Perciò avevano dovuto amputargli le dita del piede sinistro. Le sofferenze erano insopportabili, lenibili soltanto con massicce dosi di oppiacei. Il medico condotto di Positano prescriveva la morfina, ma Essad Bey non poteva acquistarla.
Era povero, a tal punto da non riuscire a sfamarsi. Sopravviveva grazie al piatto di minestra che Maria Rispoli, proprietaria della «Buca di Bacco», pietosamente gli portava due volte al giorno avvolto in un tovagliolo. Tra le carte che ebbi la possibilità di vedere c’era anche una proposta fattagli a giugno del 1942 dal Ministero della Cultura Popolare. Essad Bey avrebbe dovuto effettuare una serie di trasmissioni radiofoniche di propaganda fascista in lingua francese o persiana, dirette alle popolazioni del Medio Oriente. L’offerta era però arrivata troppo tardi. Il disgraziato non si trovava in condizioni d’alzarsi dal letto, e morì un paio di mesi dopo. La vera identità di Essad Bey emerse nel 1971, quando apparve in America la traduzione inglese d’un romanzo originariamente apparso a Vienna nel 1937, opera d’uno scono sciuto Kurban Said. Il libro fu giudicato un capolavoro e il New York Times , deciso a svelare il mistero, lanciò un pubblico appello: «Chi ha scritto Ali e Nino?».
Una prima risposta giunse da Vienna. La scrittrice Hertha Pauli chiarì che Kurban Said era il suo amico e collega Essad Bey, scomparso quasi trent’anni prima, il cui vero nome era Lev Nussimbaum. Ulteriori notizie erano poi pervenute da un certo dottor Alexander Brai low, il quale era stato compagno di liceo di Essad Bey alla scuola russa di Berlino. Brailow rivelava che i genitori di Lev erano ebrei russi provenienti dalla Bessarabia. Il padre di Lev si chiamava Abraham, e aveva fatto fortuna a Baku, arricchendosi col commercio del petrolio. La madre, Bertha Slutzki, s’era suicidata nel 1911, quando Lev aveva sei anni. Lev era stato travolto dalla Rivoluzione d’Ottobre, e la sua gioventù era stata costellata di avventurose fughe e incredibili peripezie. Nel 1919, poco prima dell’invasione dell’Azerbaigian da parte dell’Armata Rossa, era scappato col padre a Costantinopoli. E nel 1922, dopo altri vagabondaggi, era approdato in Germania. A Berlino Lev aveva mutato religione.
La cerimonia della sua conversione alla fede musulmana s’era svolta nella sede della rappresentanza di plomatica turca, alla presenza dell’Imam dell’ambasciata. E da quel momento, abbandonato il vecchio nome, aveva cambiato pure identità. Era diventato il signor Essad Bey, di nazionalità turca. Risalivano ugual mente a quel periodo le sue pretese ascendenze aristocratiche. Suo padre, secondo quanto raccontava in giro, sarebbe stato un nobile musulmano d’origini turco-persiane. Mentre sua madre, cristiana, sarebbe stata addirittura una principessa moscovita. Lo scrittore americano Tom Reiss ha dedicato a Essad Bey una biografia, recentemente tradotta in italiano da Garzanti (L’Orientalista, 517 pagine, 19,60 euro). Reiss ritiene tra l’altro che Nussimbaum si sia trasforma to in Essad Bey per seguire «un’antica tradizione orientalista la quale, in maniera quasi surreale, univa Giudaismo e Islam». In altre parole, quel personaggio ambiguo, che a prima vista pareva un impostore, sarebbe stato invece un romantico visionario idealista. La tesi sembra azzardata, e le perplessità paiono legittime.
Indubbiamente il cambio d’identità risultò utile a Essad Bey allorché, costretto a scappare dalla Germania, decise di nascondersi a Positano. In Italia le autorità finsero di credere che fosse realmente un cittadino turco. Nel 1937 Essad Bey espresse al filosofo Giovanni Gentile (il quale un anno dopo sarebbe stato tra i firmatari del «Manifesto della razza») il desiderio d’essere nominato «biografo ufficiale» di Mussolini. La proposta stava per essere accettata, ma qualcuno mandò una lettera anonima al Duce, aprendogli gli occhi, e tutto si bloccò. Essad Bey però smentì le informazioni anonime, e scrisse nuovamente a Gentile, assicurando d’essere ariano da almeno tre generazioni. E affermò di poterlo dimostrare. Era infatti disposto a farsi esaminare da un antropologo di chiara fama, capace d’attestare in modo certo, su basi fisionomiche e metrico-scientifiche, la sua appartenenza alla razza ariana.
Nell’introduzione alla sua biografia di Maometto (1939), Essad Bey continuava a elogiare il Fascismo («lo spirito geniale del Duce ha mostrato la via del nuovo avvenire»). E il 22 giugno 1942 (due mesi prima di morire), scrivendo a un’amica italotedesca, si dichiarava certo dell’imminente trionfo dell’Asse. Tale prospettiva lo rendeva felice: «Oh, la vittoria sarà davvero un’esperienza emozionante!». La mia convinzione è che Reiss si sbagli. Secondo me, Lev Nussim baum si convertì all’Islam semplice mente perché si vergognava d’essere ebreo e voleva nascondere le umili origini dei genitori. Un comportamento deplorevole e, purtroppo, abbastanza diffuso. Il mondo è pieno di arrampicatori sociali che rinnegano le proprie radici. Era quello lo squallido motivo che l’aveva spinto a raccontare le prime bugie. Più tardi, quando rischiava d’essere arrestato dai nazisti ed era fuggito in Italia, aveva continuato a mentire per paura. Ma questa non può essere considerata una colpa. Anche lui, come ogni essere umano, aveva il diritto di fare l’impossibile per salvare la pelle. Non tutti nascono con la vocazione dell’eroe.
Corriere della Sera 27 ottobre 2009