Con questa parashà si apre il quinto e ultimo libro della Torà, che prende il nome da una delle prime parole con cui inizia:”הדברים אלה – questi sono i discorsi”.
Questo shabbat, precede sempre il giorno più lugubre e luttuoso del popolo ebraico: tishà be av, giorno in cui tutti gli ebrei del mondo piangono la distruzione del primo e secondo Tempio di Gerusalemme.
Il 9 di Av è un giorno diverso da tutti gli altri giorni dell’anno e soprattutto da tutti gli altri digiuni istituti dai nostri Maestri. In esso, oltre al digiunare e al piangere abbiamo anche il dovere di riflettere su ciò che ci è accaduto, sia duemila anni orsono, ma anche su ciò che nella nostra lunga storia è accaduto di negativo al nostro popolo. ” עליו נטל כי וידום בדד ישב” – sta seduto in silenzio e solitario poiché il giogo è su di lui” (Echà).
Così è scritto nel libro di Echà – le Lamentazioni, che leggeremo sia sabato sera, durante la preghiera di arvit, sia domenica mattina in quella di shachrit.
Questo forte messaggio che il Profeta Geremia, autore del libro ci vuole mandare coincide esattamente con il senso del digiuno, lungo e pesante che noi faremo in questa giornata.
Il giorno del 9 di Av è considerato per tutti gli ebrei il simbolo della sofferenza del popolo, che si vede togliere la propria Patria, la propria indipendenza di popolo, ma soprattutto la propria dignità.
Cinque sono i divieti che i Maestri ci impongono in essa:
Mangiare e bere
Lavarsi
Ungersi o profumarsi
Indossare scarpe di cuoio
Avere rapporti intimi con il proprio coniuge.
Sono cinque azioni fra le più comuni di un essere umano, quelle che ci vengono istintive. Eppure, riflettendoci bene, sono quelle azioni che ci concedono la dignità di esseri umani.
Astenendoci da esse possiamo ben riflettere su ciò che i nostri antenati, sia vittime delle due distruzioni, sia della cacciata dalla Spagna, sia della Shoah, hanno subìto in momenti particolari della propria vita.
Astenendoci noi da queste, possiamo realmente capire, quale è la sofferenza di un uomo, che da libero, diviene schiavo di una vicissitudine.
Apparentemente sembra cosa da poco conto, a cui si potrebbe obiettare dicendo che è una condizione che ormai, trascorso così tanto tempo, non potrà mai più accadere.
Invece, pensandoci bene non è così.
” תמיד מפחד האיש אשרי” – Beato colui che ha sempre timore”( Mishlé 28).
È con questo versetto del libro dei Proverbi, che i nostri Maestri ci insegnano a riflettere su quello che deve essere il nostro comportamento più giusto da tenere nella vita!
Chi si sente sicuro della propria condizione di vita e non teme il futuro, perché è in salute e benestante, non pensa a ciò che il futuro potrà riservargli. Basta un secondo che la vita gli cambi la sua condizione: una situazione improvvisa, una malattia che non aspettava che colpisce lui o un suo parente caro, una situazione economica che muta repentinamente che la sua vita cambia, ribaltandosi in modo totale.
Questo è uno dei tanti scopi del digiuno di tishà be av.
? עם רבתי העיר בדד ישבה איכה – Come mai risiede solitaria la città che una volta era piena di abitanti?
È così che inizia il libro di Echà: la città di Gerusalemme, capitale di Israele, luogo di incontro di tante popolazioni, all’improvviso cambiò la sua situazione, divenendo desolata e distrutta.
Mai bisogna essere pessimisti, ma mai si deve essere sicuri di sé, sentendosi in dovere di giudicare sempre negativamente coloro che sono al nostro cospetto. Cerchiamo di aiutare chiunque ci porga la mano per chiedere aiuto; non siamo critici nei confronti del nostro prossimo, tantomeno verso chi appartiene al nostro popolo. Il nostro destino è nelle nostre mani, ma soprattutto in quelle dell’Eterno ed è diverso da quello degli altri popoli: il destino di un nostro fratello ebreo, accomuna quello di tutto il popolo.
“Ogni ebreo è garante del suo prossimo!” Insegnano i Maestri del talmud.
Se il primo Tempio fu distrutto per la non osservanza dei precetti, il secondo Tempio fu distrutto per l’odio gratuito fra figli dello stesso popolo.
Facciamo quindi sì che ciò che avvenne nei tempi trascorsi, non accada mai più, riflettendo su quelle che ne furono cause.
Tutti i Profeti promettono al popolo ebraico, che “Chiunque faccia lutto per Gerusalemme ne vedrà la gioia nella sua ricostruzione.