Un’inchiesta dell’Express su quello che succede nelle scuole di Bruxelles e che dovrebbe suonare la sveglia anche per chi pensa che riguardi solo gli ebrei
“Qualche tempo fa sono stata contattata, in qualità di membro della Rete di ricerca contro il razzismo e l’antisemitismo, da Fadila Maaroufi, fondatrice del Café Laïque di Bruxelles, praticamente l’unica persona in Belgio che combatte l’Islam radicale e l’odio antiebraico e che conduce questa lotta a rischio della sua vita”, scrive sull’Express la linguista Yana Grinshpun, nata in Unione Sovietica e che oggi insegna a Parigi. “Maaroufi mi ha fornito le testimonianze di diverse famiglie ebree che, abbandonate dalle istituzioni, ignorate dai media, messe a tacere dal consenso politico, si sono rivolte a lei per trovare conforto e rifugio. Sarebbe ironico se non fosse tragico”.
Grinshpun ha avuto modo di raccogliere le testimonianze di queste famiglie. “I loro racconti, supportati dai documenti ufficiali delle istituzioni che li abbandonano apertamente, non fanno presagire ottimismo sul futuro degli ebrei in Belgio, ma anche sulla sorte di agnostici, atei e altri laici che non osano più aprire bocca per paura di perdere il lavoro ed essere oggetto di campagne diffamatorie sui social da parte degli islamisti e dei loro alleati di sinistra”. “I genitori di Claude hanno trovato una scuola aconfessionale in un bel quartiere di Bruxelles, dove la ‘diversità sociale’ è garantita. La stragrande maggioranza degli studenti è di fede musulmana. Non appena gli studenti scoprono che Claude è ebreo, ‘lo sporco ebreo’ è aggredito. I genitori si lamentano, anche Claude, ma la scuola la deve considerare un’espressione normale. Gli studenti gli dicono in presenza dell’insegnante: ‘Ti convertiremo, figlio del diavolo, miscredente, brucerai all’inferno’. Claude risponde: ‘La religione è una stronzata’. Viene sanzionato dalla scuola ed espulso. I genitori finiscono per portarlo via dalla scuola, perché temono per la sua integrità fisica e psicologica”.
Poi un’altra testimonianza: “In un’altra scuola belga, un ragazzo ebreo viene ‘convertito’ dai compagni di classe. Gli intenditori sanno che l’Islam è una religione inclusiva, destinata a tutti e qualsiasi ebreo sarebbe musulmano senza saperlo.
L’elegante soluzione l’ha trovata un caritatevole allievo, il quale, per risparmiare al compagno di classe l’inferno promesso agli ebrei, lo ‘convertì’ in un musulmano, pronunciando al suo posto le parole della shahada (professione di fede). Il problema è che non si tratta di coesistenza di ‘religioni’, ma di sottomissione alle istanze islamiche attraverso la paura. I belgi non conoscono la battuta armena: ‘preserviamo i nostri ebrei!’, perché dopo gli ebrei viene sempre il turno degli altri e la storia lo ha dimostrato”.
Conclude Grinshpun: “Gli ebrei soffocano e l’establishment incoraggia e rafforza questo soffocamento perché è ‘islamofobo’ nel senso etimologico, cioè ha paura dell’Islam. In quale altro modo spiegare che le istituzioni belghe tacciono sul disinibito antisemitismo islamico? Nella lingua belga, ‘rispettare’ significa tacere, non criticare. Il Belgio è il paese del silenzio consensuale. E questo sta iniziando a diffondersi ovunque. Cosa aspettano le istituzioni? Che tutti gli ebrei lascino la loro terra per paura di essere attaccati, come nei paesi arabi per tredici secoli? Che si convertano all’Islam, attraverso la magia di un rito decretato da uno studente musulmano? Forse accadrà, gli ebrei se ne andranno, una Maaroufi non basterà a sostenerli, ma i belgi saranno i prossimi della lista”.