Domani a Roma l’assemblea. Israel, Magiar e Kahn replicano alla lettera in cui JCall accusa di destrismo la manifestazione bipartisan. Divisioni e vecchi rancori
Il Foglio
Non è piaciuta a JCall-Italia la presenza di esponenti della sinistra e della cultura liberal italiana come Walter Veltroni, Rita Levi Montalcini e Roberto Saviano alla manifestazione “Per la verità, per Israele”, promossa da Fiamma Nirenstein e prevista domani alle 18 e 30 al Tempio di Adriano a Roma. Così Giorgio Gomel, Stefano Jesurum, David Calef, Stefano Levi della Torre e Clotilde Pontecorvo hanno scritto una lettera contro la manifestazione.
“Questo raduno non è il modo migliore per esprimere solidarietà a Israele, è un intervento a favore della coalizione di destra che governa quel paese”, decreta ” JCall-Italia. movimento della sinistra ebraica europea animato dal fondatore di Peace Now, Avishai Margalit, e da Bernard-Henri Lévy. “La manifestazione B. H. Lévy del 7 ottobre si concentra esclusivamente sulle minacce esterne, tacendo le responsabilità di Israele nell’impasse dei negoziati con Abu Mazen”, ci dice Gomel, a capo del Centro Martin Buber di Milano. “Abraham Yehoshua e Alain Finkielkraut oggi si incontrano a Parigi per rinnovare JCall e noi a novembre faremo lo stesso in Italia”.
Parlando al Foglio, Fiamma Nirenstein replica così alle accuse: “Siamo anche noi per una pace basata sulla sicurezza per due popoli e due stati, ma questo parrocchialismo non aiuterà contro la delegittimazione antisraeliana”. E se Victor Magiar, firmatario di JCall-Italia, sarà presente il 7 ottobre perché “la manifestazione di Roma non è contro JCall”.
Giacomo Kahn, direttore del mensile ebraico italiano Shalom, critica così JCall: “Questa presa di distanza nasconde un pensiero debole di rimessa, molto personalismo contro Fiamma Nirenstein e troppi distinguo che fanno male all’ebraismo”.
Durissimo il saggista e accademico Giorgio Israel: “Questi personaggi non si rendono conto della gravità della posta in gioco su Israele. Così si ripete qualcosa di analogo al periodo fascista. Negli anni Trenta una parte dell’ebraismo italiano prese le distanze dal sionismo attaccando l’idea d’Israele, in parte in buona fede, in parte per ingraziarsi i torturatori. Per molti ebrei italiani ed europei lo stato d’Israele anche oggi è fonte di grande imbarazzo. Il sionismo non è accettabile per molti ebrei”.
Il Foglio 6 Ottobre 2010
Il sito della manifestazione
“Il risultato della politica israeliana è l’apartheid”
Stefano Levi della Torre: «Israele non si difende avallando i suoi sbagli»
Vittorio Bonanni
Saggista, pittore, Stefano Levi della Torre, torinese classe 1942, vive a Milano e insegna alla Facoltà di Architettura del Politecnico. E’ stato membro del Consiglio della Comunità Ebraica di Milano ed è esponente di “JCall”, un nuovo movimento ebraico europeo il cui intento è quello di premere perché Israele intraprenda con decisione la via del negoziato ed esca dalla logica della colonizzazione dei territori palestinesi che minaccia il suo futuro. Proprio per questo la loro posizione nei confronti dell’iniziativa di oggi «Per la verità per Israele”, promossa a Roma da Fiamma Nirenstein è estremamente critica. «Per difendere Israele – dice lo studioso – non si devono avallare delle posizioni che Israele prende e che ci sembrano nocive su due piani.
Su quello della sicurezza nel medio-lungo periodo e sul piano della qualità democratica dello Stato israeliano. Secondo noi la difesa di Israele non riguarda soltanto i nemici esterni ma anche determinate politiche che lo danneggiano. In particolare a noi sembra sia positivo il fatto di procedere ad un negoziato e ad un accordo con i palestinesi, e lo è come dicevo sul piano della sicurezza e della qualità democratica del Paese». Ma questa non sembra essere una priorità né per l’attuale governo israeliano né tanto meno per gli otganizzatori deIl’iniziativa di oggi. Loro tacendo questa politica nociva per Israele oltre che per i palestinesi, in realtà e paradossalmente non sono favorevoli ad Israele. E noi critichiamo questa manifestazione perché di fatto finisce per avallare la posizione che Netanyahu sta prendendo sul negoziato e che è contro la trattativa stessa, inserendo una contrarietà decisiva molto grossa che è quella della ripresa degli insediamenti coloniali sulle terre palestinesi. Non è che ci separi l’intenzione di difendere Israele. Abbiamo due impostazioni molto diverse.
Potremmo dire che pur essendo per voi Israele un punto di riferimento politico e culturale, tendete a considerano un paese come un altro e dunque criticabile se fa una politica sbagliata, a differenza di altri che non lo condannerebbe mai proprio perché si tratta di Israele?
No, è un po’ diverso. Proprio perché non lo consideriamo per noi un paese come un altro e la nostra implicazione è particolarmente forte ci preoccupiamo di più se attua una politica sbagliata. Per esempio quello che succede nel Darfur non ci piace per niente ma ci sentiamo francamente meno implicati. Nel nostro caso è la storia ebraica nel suo complesso che ci implica come ebrei. La solidarietà nei confronti di Israele in Italia negli ultimi anni ha cambiato segno, come dimostra ancora una volta la manifestazione di domani (oggi per chi legge ndr).
Nello stesso partito della Nirenstein c’è Ciarrapico e c’è spazio per le barzellette antisemite. Che cosa è successo?
Il fenomeno dell’antisemitismo favorevole alla politica israeliana non è affatto nuovo. C’è per esempio da parte dei fondamentalisti cristiani degli Stati Uniti. Sono fortemente filoisraeliani per la politica che ora conduce Israele, al tempo stesso sono risolutamente antigiudaici. In Italia la situazione è molto simile. Nel senso che da un lato c’è lo schieramento antiislamico che sostiene Israele; dall’altro c’è un antisemitismo che serve in particolare a Berlusconi per sostituire l’appoggio della componente di Fini con uno sbilanciamento verso elementi come Storace o posizioni filonaziste. Da un lato c’è un calcolo cinico di quali voti arraffare e dall’altro cercare di compensare questo fatto con forti dichiarazioni a favore del governo israeliano.
Prima abbiamo accennato all’atteggiamento del premier israeliano nei confronti dei negoziato rilanciato da Obama. Non le sembra che Netanyahu abbia detto di sì con la consapevolezza sia in realtà di farlo naufragare prima di cominciare? Oppure c’è qualche spiraglio?
Attualmente vedo pochi spiragli e gli Stati Uniti dovrebbero avere il coraggio di essere più determinati. Naturalmente ci sono sempre delle congiunture politiche che spiegano questo nel particolare. Per esempio il fatto che Obama debba garantirsi l’appoggio degli ebrei americani che sostengono la politica di Netanyahu fa sì che non riesca a fare pressione in contraddizione con le sue dichiarazioni. E dall’altra parte il premier israeliano potrebbe avere anche delle maggiori intenzioni riguardo la trattativa ma subisce delle pressioni pesantissime a cui cede però molto volentieri visto che ha un Libermann come ministro degli Esteri. Tutti fanno un gioco di grandi dichiarazioni dopo di che la risultante della politica dei governi israeliani porta all’esaurimento materiale della possibilità di un’autonomia palestinese sul territorio palestinese. Non si vede a questo punto quale sia il risultato vero se non quello di una situazione di apartheid. Per uscire, o tentare di uscire da questo scenario, “JCall” cerca di costituire una pressione di un punto di vista molto ebraico, cioè di gente che si sente implicata, per cercare di influire sull’opinione degli israeliani stessi. Deve essere insomma iidotto l’appoggio incondizionato che finora c’è stato nei confronti dei vari governi israeliani e devono essere incoraggiate le componenti ora troppo deboli che cercano di cambiare la direzione, per il futuro di Israele e della sua democrazia.
Liberazione 7 ottobre 2010