Giorgio Israel
La realtà istituzionale e comunitaria dell’ebraismo italiano deve manifestarsi fermamente e duramente su inaccettabili episodi di razzismo e intolleranza
Mettiamo insieme un po’ di episodi alla rinfusa. Sono passati più di due mesi da quando, all’Università di Pisa, un gruppo di teppisti di estrema sinistra ha impedito al Consigliere dell’Ambasciata di Israele Shai Cohen di parlare, facendo ricorso a metodi di disgustosa violenza e a espressioni razziste e antisemite; e infine, ha rivendicato con orgoglio l’atto che ha “impedito che fosse data voce al rappresentante ufficiale di uno stato assassino”.
A sinistra, soltanto silenzio, rotto dalla dichiarazione del gruppo consiliare di Rifondazione Comunista di Livorno che si è rifiutato di votare una mozione di solidarietà a Shai Cohen, parlando di intervento che “avrebbe” impedito a Cohen di parlare e asserendo che “nessuno può trasformare un dissenso politico in atto razzista”. Borbottii imbarazzati delle autorità accademiche che, dopo lungo tentennare hanno deliberato di voler reiterare l’invito a Cohen. Ma, fino ad ora, non risulta che questo sia accaduto.
In definitiva, si tratta di una di quelle classiche vicende che dovrebbero mobilitare le coscienze antifasciste. Invece, quelle coscienze – che sono poi le stesse che ogni giorno urlano che in Italia c’è il fascismo – sono rimaste acquattate in un angolo, lasciando che passasse agli atti un precedente gravissimo: in Italia è stato possibile effettuare impunemente un atto di squadrismo razzista, del tipo “manganello e olio di ricino”.
Secondo episodio. Il diplomatico palestinese in Italia Alì Rashid svillaneggia pesantemente alla Radio 24 Fiamma Nirenstein e Carlo Panella, parlando della prima come di una “colona”, dopo aver ricordato che i coloni sono i peggiori nemici di Israele. Ci si attenderebbero scuse e rettifiche per un comportamento così grave e minaccioso. Niente di niente. Anzi, a sinistra – capofila Il Manifesto – parte una violenta campagna di difesa del diplomatico che rovescia la frittata e mette addirittura sotto accusa Nirenstein e Panella.
Terzo episodio. Il segretario dei Comunisti Italiani Oliviero Diliberto s’incontra a Beirut con il capo degli Hezbollah, sceicco Nasrallah.
Vogliamo ricordare rapidamente chi è il compagno di merende dell’onorevole Dilberto?
Il movimento Hezbollah è uno dei più radicali nel negare il diritto all’esistenza di Israele. La televisione Al Manar di Hezbollah trasmette dei clips musicali che intervallano la programmazione, dal titolo “Gerusalemme è nostra”. In questi clips un professore scrive alla lavagna per un gruppo di studenti frasi del tipo: “Miei bambini, mia speranza, mia promessa. Sion l’oppressore maledetto sarà sterminata”.
In un’altra trasmissione alcuni passaggi dei discorsi dello sceicco Nasrallah vengono inseriti in una canzone e sono commentati dalla folla. Ne diamo soltanto alcuni brani:
Nasrallah: “La nostra decisione è senza appello. Morte a Israele”.
Folla: “Morte a Israele”.
Nasrallah: “Morte a Israele, fine di questo ascesso purulento. Morte a Israele. Dalla terra gloriosa di Gerusalemme incroceremo il ferro contro l’occupante e avremo ragione di Sion. Nessuno ha il diritto di rinunciare a un solo granello di sabbia della terra di Palestina. Israele è un male assoluto, un’entità attaccante, oppressiva, occupante, terrorista, cancerosa, senza assolutamente alcuna legalità né alcuna legittimità, né ne avrà mai. Morte a Israele, fine di questo ascesso purulento. Morte a Israele”.
Folla: “Morte a Israele”.
Interrompiamo per ragioni di spazio: potremmo continuare per pagine e si può immaginare da questo campionario cosa ne verrebbe fuori.
Questo è il personaggio che ha incontrato l’ineffabile ex-ministro della Giustizia Diliberto, che ha definito le rimostranze dell’ambasciatore di Israele come un’intromissione da codice penale, aggiungendo che, con iniziative come la sua, lui combatte l’antisemitismo… Meno male, perché ora possiamo star tranquilli.
Abbiamo letto con attenzione le reazioni a sinistra di fronte a una simile incredibile vicenda. Enrico Boselli ha parlato di “errore e danno” e tuttavia di una “posizione isolata”. Isolata? Pecoraro Scanio ha ricordato che Hezbollah è un movimento legale in Libano (dimenticando che anche il partito nazista era legale in Germania). Gennaro Migliore di Rifondazione non ha “riserve verso formazioni di quel tipo”. Dario Franceschini ha invitato a “non enfatizzare” le “distanze che ci sono tra di noi sulla politica estera”. Il solo e isolatissimo Giuseppe Caldarola si è espresso con lodevole durezza: “Non si dà credito a organizzazioni sanguinarie. Per noi questo deve essere un discrimine di alleanza e spero che Prodi apra un dossier sul caso”.
Qualcuno ha sentito parlare di un dossier? Noi, al contrario, abbiamo letto soltanto le dure “rimbeccate” di Diliberto, seguite dal totale silenzio dei suo compagni di Gad o”Alleanza” (o come si chiamerà al momento in cui questa nota sarà pubblicata). Altro che dossier… Se qualcuno aveva comprato un quaderno per aprirlo, Diliberto glielo ha stracciato e l’ha mandato via con la coda tra le gambe.
Ultimo episodio, sempre alla rinfusa. Risulta che – mentre la camorra impazza e uccide, terrorizzando Napoli – la giunta comunale di centro-sinistra non abbia trovato di meglio che discutere l’idea di portare l’omaggio di tutta la città sulla tomba di Arafat.
Simili fatti – e molti altri analoghi che riempirebbero pagine – descrivono il clima che regna nel centro-sinistra sulle questioni di politica estera e, in particolare, sulla questione mediorientale. Iniziative sconcertanti – per usare un aggettivo eufemistico – vengono accolte con incoerenti e impotenti balbettamenti da chi fa timidamente capire di pensarla in modo diverso. Allora, delle due l’una: o le “distanze” di cui parla Franceschini non esistono, oppure chi la fa da padrone nel centro-sinistra sono i personaggi alla Diliberto, per cui quel che dobbiamo attenderci da una futura politica estera di una siffatta coalizione è roba da far accapponare la pelle.
A questo punto, appare necessario dire alcune parole molto chiare e ferme sulla posizione dell’ebraismo italiano di fronte a una simile situazione. L’ebraismo italiano deve essere ovviamente attento a denunciare e combattere tutte le manifestazioni di antisemitismo, o di antisionismo radicale che mascherano posizioni razziste e antisemite, a cominciare da quelle che predicano la distruzione di Israele e lo sterminio dei suoi abitanti, nonché le compiacenze nei confronti di queste posizioni. Lo deve fare indipendentemente dalle posizioni politiche nell’ambito delle quali si verificano quelle manifestazioni: che siano di destra o di sinistra. Per essere ancora più chiari, non è ammissibile alcuna particolare compiacenza nel caso in cui manifestazioni di antisionismo e antisemitismo vengano da sinistra; e analogamente quando vengano da destra.
Ebbene, è assolutamente intollerabile che una fascia dell’ebraismo italiano continui a comportarsi in modo compiacente o con imbarazzati silenzi nei confronti di manifestazioni come quelle sopra esemplificate, in nome di un sentimento che fu infelicemente indicato con la formula: “gli ebrei hanno i cromosomi di sinistra”. Perché mai la sola voce che si è udita a proposito dell’incontro dell’onorevole Diliberto e dello sceicco Nasrallah è stata quella di Giuseppe Caldarola? Forse le istituzioni ebraiche francesi hanno esitato a denunciare con forza la riapertura delle trasmissioni della televisione Al Manar in Francia? Forse la dichiarazione esplicita di voler distruggere il cancro purulento di Sion è ritenuta insufficiente per suscitare una reazione di autodifesa? Forse il fatto che un passato e magari futuro ministro della Repubblica vada a braccetto con lo sceicco Nasrallah è ritenuto irrilevante?
Questo per quanto riguarda l’aspetto istituzionale. A livello personale, si dirà che ognuno è libero di pensarla come vuole, ed anche di credere e dire che il professor Asor Rosa, o il compagno Diliberto, sono la migliore polizza assicurativa per il futuro degli ebrei. Certo, ognuno è libero di godersi in santa pace la propria sindrome di Stoccolma o di far rivivere a sinistra i fasti de “La nostra bandiera”. Ma come quei fasti rischiarono di spaccare settant’anni fa l’ebraismo italiano, così questo rischio potrebbe ripresentarsi oggi. Soprattutto se non ci si limita a godersi la propria sindrome di Stoccolma, ma si accompagna questo godimento con la sottile e insistente accusa a chi denuncia quel che accade a sinistra, di voler schierare l’ebraismo italiano con la destra. Di questo rovesciamento della frittata abbiamo un vasto campionario quotidiano che è meglio non esemplificare per carità di patria, nella speranza che cessi e basta.
Viviamo un momento molto difficile. Ognuno ha il diritto di pensarla politicamente come vuole e nella più assoluta libertà. Ma, se esiste una realtà istituzionale e comunitaria dell’ebraismo italiano, questa deve manifestarsi nella più ferma e dura condanna – senza “se” e senza “ma” – di fatti inauditi come quelli che abbiamo qui esemplificati.
Da Shalom.it