Pubblicamente appariva come una donna modesta, dall’aspetto sobrio e dallo stile misurato: mai un filo di trucco, niente tacchi, abiti dalle forme essenziali e capelli quasi sempre raccolti. Come se volesse passare inosservata. Eppure, la personalità di Golda Meir determinante, non solo per aver ricoperto la carica di quarto premier d’Israele, ma anche per essere stata la prima (e unica) donna a guidare il suo Paese (a livello internazionale fu preceduta soltanto da Sirimavo Bandaranaike, nello Sri Lanka, e da Indira Gandhi, in India). Ebbe due grandi amori, il socialismo e la Terra promessa, per i quali si batté per tutta la vita. L’ambizione, il lavoro e probabilmente anche l’umiltà le fecero scalare negli anni i vertici dello Stato ebraico, fin dalla sua costituzione. Il futuro primo ministro nacque con il nome di Golda Mabovič e fu Ben Gurion a imporle un cognome che suonasse più “ebraico”. Così lei scelse Meir, che significa “illuminato”.
Diresse la politica israeliana in periodi particolarmente incandescenti e complicati e si trovò ad affrontare conflitti interni, varie crisi internazionali (come quella successiva alla guerra dello Yom Kippur), i connessi contrasti militari con Egitto e Siria e, soprattutto, l’attentato ai Giochi olimpici di Monaco, nel 1972, dove i terroristi palestinesi di Settembre nero sequestrarono e uccisero 11 atleti e allenatori israeliani.
Dal carattere risoluto e inflessibile, Ben Gurion la definì (in più di una circostanza) “il miglior uomo al governo”. Oriana Fallaci, che la intervistò, la descrisse come una donna “dal viso stanco e grinzoso”, con “un corpo pesante sorretto da gambe gonfie, malferme, di piombo”, la cui ricchezza consisteva in una “semplicità disarmante, una modestia irritante e in una saggezza che viene dall’aver sgobbato tutta la vita”. Perché Golda Meir lavorò molto (e forse più degli altri) per diventare ciò che era. E se Ben Gurion è considerato ancora oggi, a tutti gli effetti, il padre fondatore dello Stato ebraico, Golda Meir, oltre a essere una delle figure femminili più importanti del XX° secolo, è sempre stata percepita dall’opinione pubblica come la “madre di Israele“.
Le origini, l’infanzia e la scuola
Golda Meir nacque a Kiev, quando ancora l’Ucraina faceva parte dell’impero russo, il 3 maggio del 1898 da una famiglia estremamente modesta: il padre, Moshe Mabovič, era un carpentiere e la madre, Bluma Neidič, non aveva un impiego. Da bambina, conobbe con i propri occhi la violenza dei pogrom, termine con cui vengono identificati i gravi episodi di antisemitismo, che caratterizzavano la vita della comunità ebraica sotto l’impero russo tra Ottocento e Novecento. Nel 1903 il padre lasciò Kiev per emigrare negli Stati Uniti, con l’intenzione di farsi raggiungere anche dal resto della famiglia e nel frattempo, ciò che restava del nucleo familiare si trasferì a Pinsk, nell’attuale Bielorussia. Nel 1906, riuscì a raggiungere il padre a Milwaukee, nel Wisconsin, in America, dove completò il suo primo ciclo scolastico alla Fourth Street Grade School (che oggi porta il suo nome, in suo onore). Proseguì gli studi in città alla North Division High School e secondo quanto viene riportato, nonostante all’inizio non parlasse inglese, già a scuola, la giovanissima Golda Meir dimostrò spiccate capacità di leadership e si fece promotrice di diverse iniziative di solidarietà, soprattutto per le persone meno abbienti.
L’emancipazione
In base alle ricostruzioni storiche, ancora molto giovane Golda Meir lasciò il suo nucleo familiare, dopo essersi scontrata con i genitori, che volevano costringerla ad abbandonare gli studi da insegnante per sposarsi. Aveva poco più di 14 anni quando si trasferì dalla sorella a Denver, in Colorado. E fu proprio in quel luogo che iniziò a prendere parte a dibattiti culturali e a conoscere il mondo della letteratura, del femminismo e anche del pensiero sionista (che si stava diffondendo in tutto il mondo). Nella sua autobiografia, intitolata “La mia vita”, Meir definì Denver “un vero punto di svolta” e scrisse: “A Denver la mia vita mi si aprì innanzi per davvero”. E fu proprio durante la sua permanenza in Colorado che conobbe Morris Meyerson, che iniziò a frequentare nel 1913 e che sposò a 19 anni (il 24 dicembre del 1917). Si iscrisse poi alla Milwaukee Normal School e diventò insegnante. Venne assunta tempo dopo come docente in una scuola Yiddish e la sua personalità iniziò a distinguersi soprattutto per il continuo impegno sociale. Organizzò marce di protesta, frequentò i dibattiti pubblici e, infine, divenne un membro dell’organizzazione sionista laburista Poalei Zion (la stessa di cui faceva parte Ben Gurion). Nei due anni successivi, il suo impegno politico nell’associazionismo ebraico si intensificò a tal punto da partecipare, nel 1918, al Congresso degli ebrei americani in qualità di delegata di Milwaukee come la più giovane rappresentante dell’evento. Quel momento fu l’inizio della sua carriera politica.
L’arrivo in Palestina e l’impegno sociale
Come fecero in molti, nel 1921, insieme al marito, alla sorella e alla nipote, Golda Meir lasciò l’America per la Palestina, attraversando prima l’Oceano e poi il mar Mediterraneo. Al loro arrivo, lei e i suoi familiari riuscirono a unirsi a un kibbutz, nonostante l’iniziale diffidenza degli altri membri, che li percepivano non tanto come ebrei ma come stranieri (tutti erano cittadini americani). E fu proprio all’interno di questa comunità che Golda Meir iniziò ad avvicinarsi concretamente alla politica. Tre anni dopo, nel 1924, si trasferì con la famiglia a Gerusalemme, dove lavorò come tesoriere nell’ufficio generale della federazione dei Lavoratori dei territori di Israele, una delle più importanti organizzazioni economiche ebraiche. Dal 1928 divenne la segretaria dell’Unione delle donne lavoratrici e due anni dopo, nel 1930, aderì al partito Mapai, creato da Ben Gurion.
L’attivismo e la carriera politica
I primi impieghi in Palestina decretarono la sua indipendenza. Vent’anni più tardi, nel 1946, Golda Meir divenne capo del dipartimento politico dell’Agenzia ebraica per la Palestina, dopo essersi distinta per aver svolto un’ottima carriera nella centrale sindacale dell’Histadrut (ovvero l’Unione dei lavoratori israeliani). La sua passione politica emerse in quel preciso momento, quando iniziò a impegnarsi attivamente in attività politiche di tipo sionista. Come fece Gurion, anche Golda Meir, soprattutto poco dopo la Seconda guerra mondiale, organizzò l’immigrazione illegale di numerosi transfughi ebrei dall’Europa alla Palestina e si adoperò nell’istituzione di una realtà ebraica in Palestina. All’inizio del 1948 decise di tornare in America per cercare di raccogliere fondi per il progetto sionista e quando il 14 maggio dello stesso anno venne certificata la fondazione dello Stato, divenne membro del Consiglio provvisorio e una delle due donne tra tutti i firmatari della dichiarazione di indipendenza.
Meir ministro del Lavoro
Dopo la proclamazione dello Stato d’Israele e terminate le ostilità del primo conflitto arabo-israeliano, Golda Meir divenne la prima ambasciatrice del neonato Stato ebraico a Mosca. Nel 1949 venne eletta alla Knesset con il partito Mapai. Ben Gurion la propose come vice presidente del Consiglio, ma lei non accettò, accogliendo invece la proposta di diventare ministro del Lavoro. E nonostante il suo indiscusso impegno politico (consolidato anche nei tanti anni passati all’interno del kibbutz), molti laburisti e colleghi di partito, almeno all’inizio, consideravano molto rischioso e prematuro nominare una donna a quel dicastero. Meir, però, si impegnò a risolvere le questioni (e i problemi) legati alla sicurezza sociale dei nuovi coloni israeliani da subito e poco tempo dopo le ostilità verso di lei, all’interno del partito, cessarono. Nel 1955, su richiesta di Ben Gurion, Golda Meir si candidò a sindaco di Tel Aviv, ma in quella circostanza non venne eletta.
Meir ministro degli Esteri
Nonostante non ottenne la carica di primo cittadino, a Tel Aviv, Golda Meir venne nominata ministro degli Esteri e nel 1956 fu lei a dover affrontare la crisi di Suez. Tuttavia, negli anni in cui occupò il vertice di quel dicastero, non si lavorò soltanto per arginare i conflitti interni ed esterni al neonato Stato ebraico. Secondo quanto riportato da un articolo di Haaretz, pubblicato nel febbraio del 2009, Szymon Rudnicki, storico dell’università di Varsavia, avrebbe rinvenuto una corrispondenza risalente a quel periodo tra Meir e le autorità politiche polacche, in cui lei avanzava la possibilità di non permettere l’ingresso in Israele a ebrei anziani o disabili. Quella che in molti hanno definito un calcolo piuttosto cinico, ebbe un effettivo riscontro nella realtà, perché mentre prima veniva operata una selezione sulla base dalle professioni svolte dagli immigrati, a partire dal 1950, con la Legge del ritorno, Israele apriva i propri confini a tutti gli ebrei del mondo, garantendo loro la cittadinanza. Ma dal 1951, la norma subì alcune modifiche, che restrinsero il campo degli aventi diritto alla cittadinanza israeliana soltanto agli ebrei che correvano rischi nei loro Paesi o che fossero stati in grado di pagarsi da soli il viaggio (preferibilmente se giovani, in piena salute e con un’attività commerciale).
La malattia e le scelte politiche
Nel 1963, i medici le diagnosticarono un linfoma e Meir iniziò a pensare di abbandonare la politica (nel 1965, per esempio, rifiutò la proposta di diventare vice primo ministro di Levi Eshkol). Nel 1966 decise di lasciare il dicastero degli Esteri a causa della malattia, ma mantenne il suo seggio in parlamento. Il cancro, però, almeno all’inizio, non riuscì ad allontanarla troppo dalla sua attività politica, visto che nello stesso anno divenne segretario generale del partito laburista (che lei stessa aveva contribuito a tenere insieme, unendo il Mapai, l’Ahdur Ha’Ayodah e il Rafi). Il 2 giugno 1968, data in cui i tre grandi gruppi socialisti si unirono in un solo partito, Golda Meir decise di lasciare i suoi incarichi pubblici. Ma la morte di Levi Eshkol, improvvisa perché causata da un attacco cardiaco, e la ricerca di un suo successore rischiavano di causare una spaccatura all’interno dell’orbita socialista israeliana, che si era riunita da pochissimo.Il partito si divise a metà, tra chi sosteneva la candidatura di Yigal Allon, primo ministro reggente, e chi voleva il “leggendario” Moshe Dayan, che in quel momento era ministro della Difesa.
Meir primo ministro
In quella circostanza, l’incarico venne, però, affidato a Meir che, poco prima di aver compiuto 71 anni, venne eletta presidente del partito laburista e il 17 marzo 1969 fu nominata primo ministro di Israele. Fu il quarto presidente e la prima donna a ricoprire quel ruolo, rimanendo in carica per cinque anni e fu molto popolare. Al potere, Meir mantenne una certa continuità con le politiche del governo Eshkol, confermando anche diverse figure del precedente esecutivo. Come presidente del Consiglio, Meir incoraggiò l’immigrazione degli ebrei in Israele ed ebbe ottimi rapporti con gli Stati Uniti, in particolare con il presidente Nixon e con la comunità ebraica americana, la più grande del mondo.https://www.youtube-nocookie.com/embed/s-0vxuV00gw?feature=oembed&rel=0
Nata per essere un’amministrazione di transizione e di unità nazionale, Meir fu costretta invece ad affrontare diverse crisi internazionali, come l’attentato di Monaco del 1972 e le conseguenze della guerra dello Yom Kippur.
La crisi degli ostaggi di Monaco
Nel 1972, un commando composto da alcuni terroristi palestinesi, appartenenti a Settembre nero, a Monaco di Baviera, nella Germania Ovest, prese in ostaggio (e uccise) l’intera delegazione di atleti israeliani che partecipavano a quelle Olimpiadi. In quello che fu uno degli attentati più mediatici del Novecento, i membri della cellula, come riscatto, chiesero al governo israeliano il rilascio di alcuni prigionieri politici palestinesi. Tuttavia, l’esecutivo di Meir mantenne una certa fermezza e non accettò di negoziare con i terroristi (che infatti uccisero tutti gli atleti). La morte degli sportivi israeliani colpì l’opinione pubblica di tutto il mondo, anche perché quelli furono i primi ebrei uccisi in Germania dal termine della Seconda guerra mondiale.
E se Meir, almeno pubblicamente e ufficialmente, non fece nulla per fermare i terroristi, avviò segretamente, tramite il Mossad (i servizi segreti israeliani), un’attività repressiva mirata a scovare e a eliminare tutti i nuclei sospettati di essere stati in contatto con i membri di Settembre nero. Ne seguì l’operazione “Collera di dio”, in cui diversi agenti dello Stato ebraico uccisero chiunque fosse ritenuto responsabile della vicenda di Monaco.
La guerra dello Yom Kippur
Nel settembre del 1973, uno scontro aereo tra Siria e Israele determinò l’inizio del quarto conflitto che vedeva contrapposti, ancora una volta, arabi e Stato ebraico. Durante le celebrazioni dello Yom Kippur, Egitto e Siria attaccarono improvvisamente Israele: le truppe egiziane attraversarono il canale e iniziarono ad avanzare nel Sinai, mentre i siriani provavano a riprendersi parti delle alture del Golan. L’esecutivo guidato a Meir, impreparato all’evenienza di una guerra imminente, si sforzò di ripristinare il proprio potere, evitando un alto numero di vittime. In un paio di giorni, le forze israeliane ripresero ogni controllo, inviando sui due fronti un imponente numero di soldati e di mezzi, riuscendo a fermare sia l’Egitto, sia la Siria. L’esercito dello Stato ebraico, il 23 ottobre, entrò a Damasco con i carri armati e dovettero intervenire le Nazioni Unite per imporre un cessate il fuoco. Ancora una volta, Israele aveva vinto la guerra, ma soltanto su un piano militare: come non era mai accaduto prima, lo Stato ebraico si era mostrato impreparato, fragile e vulnerabile, fatto che costò moltissimi voti al partito laburista e favorì l’ascesa della destra, nonostante Meir venne riconosciuta esente da qualsiasi responsabilità in un’inchiesta realizzata dai servizi segreti. Nel 1974, il caos politico provocato da quelle tensioni non si allentò e il primo ministro decise di lasciare il ruolo di guida.
Le dimissioni e il vuoto politico
Quando lasciò l’esecutivo, Golda Meir aveva 76 anni. Se ne andò nonostante le insistenze dei colleghi di partito, i quali ebbero diverse difficoltà nel trovare un successore adatto a quel ruolo. Dopo di lei arrivò Yitzhak Rabin (con cui non ebbe un buon rapporto), uno dei primi politici a essere effettivamente nato sul suolo israeliano e che fino a poco tempo prima era stato ambasciatore in America. Nel 1975, a Golda Meir fu assegnato il Premio Israele per il suo contributo alla società e allo Stato. Morì a Gerusalemme, l’8 dicembre del 1978, per le complicanze legate alla leucemia. Sia all’interno dei confini nazionali, sia all’estero, Meir è ricordata per essere stata una personalità molto popolare, specialmente nei suoi anni da primo ministro. Nel 1971, nel 1973 e nel 1974, un sondaggio Gallup la nominò come la donna più ammirata in America. E non solo.
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