Una rinascita sorprendente
E’ appena trascorso, senza quasi essere notato, un anniversario importante per la cultura ebraica contemporanea. Venerdì scorso cadeva infatti il centenario della morte di Eliezer Ben Yehuda, l’uomo che più di ogni altro è stato determinante nella rinascita della lingua ebraica. L’ebraico non era mai morto del tutto, come è accaduto all’etrusco o al sumero, ma già da alcuni secoli prima dell’Era Comune non era più usato nella vita quotidiana, era difficilmente compreso dal popolo, che parlava invece un dialetto dell’aramaico, lingua imperiale del Medio Oriente antico. E se la Scrittura è formulata in ebraico (solo con qualche inserto aramaico qua e là) e anche la Mishnà lo è, invece la Ghemarà, lo strato più recente del Talmud scritto fra il secondo e il settimo secolo, è invece in aramaico. Nella diaspora gli ebrei hanno continuato a usare l’ebraico come lingua sacra per il culto e (insieme all’aramaico) come strumento di discussione intellettuale. Ma a casa parlavano yiddish, ladino, giudeo-arabo, i vari linguaggi misti come in Italia il giudeo-romanesco, veneziano o piemontese. Durante il XIX secolo i maskilim, esponenti dell’illuminismo ebraico, incominciarono a pubblicare libri e giornali in ebraico, ma solo per argomenti politici e culturali. Herzl stesso era convinto che nel nuovo stato ebraico si sarebbe parlato una lingua europea, magari il tedesco, mentre altri pensavano allo yiddish. Se ciò, contro tutte le aspettative, non avvenne, il merito fu soprattutto delle ricerche lessicografiche e della battaglie politiche di Eliezer Ben Yehuda.