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Cultura ebraica a tutto campo

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Author page: Marco Del Monte

Toledòt. Arare il destino

In Parashat Toledot la sterilità di Yitzchak e Rivka aleggia come una terra dura e arida. La Torah non usa il consueto vayitpalel — pregò — ma un verbo sorprendente e quasi provocante: Vayetar. La radice, ע–ת–ר, richiama il forcone, l’aratro che incide il terreno, che affonda e rivolta la zolla, che apre solchi profondi. Vayetar non è la preghiera quieta, ma la preghiera che spinge, insiste, bussa con forza alla porta del decreto. Rashi lo interpreta come “pregò con moltissima insistenza”. Il quadro è potente: Yitzchak che prega come un contadino che non si arrende davanti a una terra ostinata; la preghiera come aratura, tentativo di rovesciare ciò che sembra stabilito, lavoro duro che vuole aprire spiragli nel cielo.

La Mishnà, non a caso, ci regala una visione sulla sua architettura: inizia con l’ordine di Zeraim, “semi”, lo stesso ordine in cui la prima masechet è Berachot. È un insegnamento nascosto: se vuoi vedere le berachot, devi prima seminare, e per seminare devi scavare. È lo stesso messaggio della Bet di Bereshit — inizio — e della Bet di Berachà — benedizione: la Torah scritta e la Torah orale inaugurano la loro storia con la stessa lettera, lo stesso tema. La benedizione non nasce automaticamente dal cielo; nasce dalla zappa dell’uomo che insiste. Toledot, “generazioni”, si lega così a Zeraim, “semi”, e all’aratura che precede entrambi. Prima di avere figli, prima di vedere una realtà diversa, Yitzchak e Rivka devono incidere il proprio destino con la loro voce. Vayetar diventa allora la tefillà che tenta di cambiare il decreto: non introversione, ma pressione; non meditazione, ma forza. Una tefillà che vuole spostare, mutare, provocare una risposta dall’Alto.

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