Alcune fonti tradizionali sulla guerra
Chiederai la pace
• In guerra è necessario un comportamento morale
“Quando uscirai (in guerra) accampato contro il tuo nemico, dovrai guardarti da ogni cosa cattiva” (Deut. 23:10).
Così commenta questo verso il Nachmanide: che “il Satan è pronto ad accusare nei momenti di pericolo”; ciò che invece sembra a me giusto affermare a proposito di questa norma è che il verso biblico impone un divieto nel momento in cui è più facile peccare. È noto che negli accampamenti militari si usa mangiare qualsiasi cosa abominevole, si ruba e si rapina e non si ha vergogna nemmeno dell’adulterio o di altre malvagità. Anche il più onesto degli uomini quando esce in guerra contro il nemico assume un comportamento malvagio e irato, e per questo motivo il verso biblico ha prescritto “dovrai guardarti da ogni cosa cattiva” il che va inteso letteralmente, come obbligo di astenersi da ogni cosa proibita”.
• Doppia responsabilità: proteggere la persona e l’anima
“Giacobbe ebbe paura e fu gravemente dispiaciuto, e divise la gente che era con lui e il suo bestiame in due accampamenti” (Gen. 32:8).
“Rabbì Jehudà figlio di R. Ilài disse: Non si tratta semplicemente di timore e dispiacere; ma ciò significa che “ebbe paura” di essere ucciso “e fu gravemente dispiaciuto” di dover uccidere; Giacobbe pensò: se prevale su di me, mi ucciderà, se prevalgo io, dovrò ucciderlo…” (Ber. Rabbà, Wajislàch 76).
“David disse a Salomone: “Figlio mio, io avevo avuto l’intenzione di costruire una casa dedicata al Signore mio Dio. Ma il Signore mi parlò e mi disse: – Hai versato sangue in abbondanza, hai condotto grandi guerre, non costruirai una casa a me dedicata, perché troppo sangue hai versato a terra davanti a Me –”” (1 Cron., 22: 7-8).
• L’obbligo di rifiutare l’esecuzione di ordini omicidi…
“Il re (Saul) disse: “Morrai, Achimelekh, tu e tutta la casa di tuo padre!”.
Quindi il re disse ai corrieri presenti al suo cospetto: “Circondate e uccidete i sacerdoti del Signore, perché anche loro sono alleati di David, sapevano che stava fuggendo e non me lo hanno rivelato!”.
Ma i servitori del re non vollero muoversi a colpire i sacerdoti del Signore” (1 Sam. 22: 16-17).
• …e la disponibilità a sopportarne le conseguenze
“Rav Shemuel bar Rav Jotzchàq disse: “Quei due corrieri erano Avnèr e Amasà. Risposero al re: – Noi ti siamo debitori soltanto di questa cinta e questo mantello (i segni della nostra dignità; te li puoi riprendere) – ” (TP, Sanhedrìn 10:2).
• Dio sostiene il senso di giustizia dell’uomo
“R. Jehoshua di Sakhnin disse a nome di R. Lewì: Tutto ciò che Mosè decise fu approvato da Dio. Ad esempio:
Dio gli aveva ordinato di fare guerra a Sichòn (Deut. 2:24), ma Mosè non obbedì subito, ma inviò dei messaggeri di pace (Deut. 2:26). Dio gli disse: Ti avevo detto di fare guerra, e tu hai cominciato cercando la pace, bene, Io confermo la tua decisione, come è detto: “Quando ti avvicinerai a una città a farle guerra le chiederai prima la pace, bene, Io confermo la tua decisione, come è detto: “Quando ti avvicinerai a una città a farle guerra le chiederai prima la pace” (Deut. 20:10)” (Dev. Rabbà, Shofetìm 13).
• “Non essere troppo misericordioso“
Nel primo libro di Samuele, il cap. 15, si racconta la guerra condotta da re Saul contro Amaleq. Malgrado l’ordine preciso che il re aveva avuto dal profeta Samuele, Saul risparmia dalla morte parte del bottino di bestiame e il re nemico. La disobbedienza provoca una durissima reazione del profeta, che annuncia a Saul che per punizione il regno passerà a una nuova dinastia; Samuele quindi ordina che il re nemico sia portato al suo cospetto e lo uccide personalmente. La durezza del comportamento di Samuele lascia ancor oggi perplesso il lettore. Una situazione analoga si ripete nel racconto biblico del primo libro dei Re, cap. 20; qui il re Achav a risparmiare, dopo una vittoriosa campagna militare, il re nemico Ben Hadad. Un profeta allora gli viene incontro e gli annuncia che pagherà con la sua vita la libertà concessa al nemico (v. 42).
Già nei più antichi commenti rabbinici la durezza dei profeti è stata spiegata alla luce di altri episodi nella vita dei due re protagonisti. In entrambi i casi vi sono i due episodi di pietà verso i re nemici, e contemporaneamente sono presenti dei racconti di efferata crudeltà verso dei concittadini. Di Saul è raccontata, in 1 Sam, 22:18, la strage che ordinò dei sacerdoti che avevano protetto la fuga di David; del re Achav, subito dopo la storia di Ben Hadad (e in genere questi accostamenti nel testo biblico non sono delle combinazioni casuali) è raccontata la storia della vigna di Navòt, per ottenere la quale il re non esitò ad uccidere il proprietario. In sostanza emerge che entrambi i re adottavano “due pesi e due misure” trattando con clemenza i nemici esterni del loro rango e con durezza i nemici interni e innocenti. I due re non erano certo le persone più adatte per polemizzare contro ordini divini, quando la loro pietà era assolutamente falsa e dipendeva da una sorta di tacita convenzione di rispetto tra simili.
Nel commento del midràsh si immagina questa situazione: quando il re Saul ricevette l’ordine di sterminare gli Amaleciti e il loro bestiame, protestò adducendo le leggi bibliche che insegnano il rispetto della vita umana, e segnalando l’innocenza degli animali, e segnalando l’innocenza degli animali e dei piccoli; una voce dal cielo allora gli disse, con le parole di Qohelet 7:16: “Non essere troppo cattivo” (TB, Jomà 22b)
Da un altro midràsh, confrontando i due episodi, deriva il principio per cui “chi fa il misericordioso quando bisogna essere malvagio finisce col diventare malvagio quando bisogna essere misericordiosi” (Qohelet R. 7:33).
Nella citazione di questi racconti e delle relative interpretazioni rabbiniche vi potrebbe essere il rischio di dedurne un invito attuale alla rinuncia alle normali regole di comportamento davanti a un nemico crudele. Molti contestano, e a ragione, queste semplicistiche e affettate conclusioni, sottolineando che la sostanza dell’insegnamento rabbinico in questo caso si riferisce ai comportamenti dei due re, dei quali vuole sottolineare l’ipocrisia e quindi l’impossibilità di dettare morale ad altri. D’altra parte la sola giustificazione dell’ordine di distruzione degli Amaleciti è nell’ordine partito da Dio; il che delimita al solo ed esclusivo caso storico ogni comportamento relativo. Per ogni altra evenienza devono valere le fondamentali norme di rispetto della dignità umana dettate dall’ebraismo.
Un giorno, lo schiavo del re Jannai aveva commesso un assassinio. Simeone Ben Shatach disse ai Saggi: “Guardatelo bene in faccia, senza riguardi, e giudichiamolo”. Fecero dire al re: “Il tuo schiavo ha commesso un assassinio”. Jannai lasciò che i Saggi giudicassero il suo schiavo. Ma i Saggi fecero dire al re: “Vieni tu stesso, in persona, davanti al tribunale, come è detto: “si testimonierà contro il padrone” (Es.: 21, 29); con questo la Torà vuol dire che il padrone del bue (che abbia commesso un danno) si presenta al tribunale dalla parte del bue”. Jannai venne e prese posto su una sedia. Allora Simeone ben Shatach gli disse: “Re Jannai, alzati e resta in piedi mentre si testimonia contro di te. D’altronde non è davanti a noi (i Giudici) che devi restare in piedi, ma dinanzi a Colui che, con la Sua parola, ha creato il mondo, come è detto: “I due uomini processati staranno in piedi davanti a Dio” (Deut. 19, 17)”. A ciò Jannai replicò dicendo: “Non mi comporterò secondo quel che tu dici, ma secondo quel che diranno i tuoi colleghi”. Simeone Ben Shatach si girò quindi alla sua destra, ma i suoi colleghi, i giudici, chinarono il viso a terra. Si voltò alla sua sinistra, e i suoi colleghi fecero lo stesso. Simeone inveì allora nei termini seguenti: ” Apparentemente siete tutti immersi in pensieri profondi. Ebbene, che venga il Signore di tutti i pensieri e vi faccia scontare la vostra colpa”. Subito apparve Gabriele che li gettò a terra così violentemente che lo choc li fece morire.
(Sanhedrin, 19a)
Questo passo non può esser compreso se non si sa che il re Jannai era partigiano dei Sadducei e che di conseguenza era un feroce avversario di suo cognato, il fariseo Simeone Ben Shatach. Questi era Presidente del Sinedrio e il re Jannai, rifiutando di recitare in piedi davanti ai suoi giudici, vuole indicare il suo disprezzo per questo Tribunale.Spingendosi fino in fondo con la sua insolenza, Jannai pretende di non dover obbedire alle ingiunzioni del Presidente del Sinedrio. Vorrebbe conoscere il parere dei membri di questa alta giurisdizione. Questi si chiudono in un silenzio prudente con grande delusione del Presidente, che si aspettava che tutti i suoi colleghi sostenessero il suo punto di vista.Il Presidente resta solo, e si capisce a quel punto il senso della sua invettiva: “Voi siete immersi in pensieri profondi. Invece di ergervi come un solo uomo e di gridare a Jannai: “Alzati e mostra il tuo rispetto al Tribunale Supremo!”, vi dedicate a dei calcoli sottili; soppesate, con la bilancia esitante dei vostri pensieri, la forza dell’autorità reale contro la dignità santa del Sinedrio, ed infine vi inchinate dinanzi alla forza. Poiché dunque siete giunti alla conclusione che l’arbitrio reale costituisce la vera forza, ebbene, il vero Signore di tutti i pensieri, il Santo Benedetto Sia, sonderà i vostri calcoli fino in fondo. Optando per la forza fisica, come avete fatto, avete distrutto la forza morale del Sinedrio”.Ecco quel che vuole esprimere la Ghemarà, dicendo che Gabriele apparve e li gettò a terra, facendoli così morire. Il testo non dice: l’Angelo Gabriele, ma semplicemente Gabriele, il simbolo della Ghevurà, della forza brutale dello Stato. In questa avete riconosciuto l’autorità suprema. Ebbene, essa vi schiaccerà, in effetti. La dignità del Tribunale è ormai priva di valore, perché l’avete disprezzata voi stessi.