New York: sempre più pressioni da parte degli ebrei ultra-ortodossi sulle autorità cittadine. La comunità chiede il rispetto delle proprie tradizioni ma spesso si scontra con le leggi. Rappresentano il 30% del milione di ebrei che vivono nella metropoli
Angelo Paura
Non è insolito, camminando per le vie di New York, incontrare decine di uomini vestiti in nero, con camicie bianche e un largo cappello sulla testa dal quale escono due boccoli che cadono lungo il viso. E ancora donne con calze coprenti (anche in estate), gonna sotto il ginocchio e maglietta chiusa sul collo. Superando il ponte di Williamsburg, Brooklyn, in un attimo si passa dalla super modernità di Manhattan al passato, entrando in una delle enclavi di ebrei ortodossi più grande al mondo.
Per anni chiusa e lontana dalla politica, adesso fa sentire la propria voce, con pressioni verso le autorità cittadine che non si vedevano da decenni. La continua crescita della gruppo – che si sta espandendo oltre la storica enclave di Williamsburg – e l’aumento della sua influenza pone i politici di New York davanti a un bivio: evitare di apparire a favore di una minoranza religiosa e nello stesso tempo accomodare le loro richieste.
Il potere crescente della comunità – che da sola può indirizzare migliaia di voti – si è visto di recente durante un forum alla sinagona di Brooklyn nel quale ogni candidato alla poltrona di sindaco ha espresso i suoi pareri sulle tradizioni del gruppo e su come la città dovrà rispettarle. Dall’altra parte – nota il New York Times – gli ultra-ortodossi stanno cercando di uscire dal loro isolamento per entrare nel discorso politico: a New York sono 330.000, il 30% del milione di ebrei che vivono nella metropoli.
“Il tipo di acqua che usiamo nelle nostre panetterie è uno dei punti fondamentali della nostra religione e non cambierà, ma se c’è la possibilità di lavorare con le autorità che governano la città, lo faremo”, ha detto al quotidiano di New York il rabbino David Niederman, direttore della United Jewish Organizations di Williamsburg.
Dall’altra parte le richieste della minoranza religiosa sono viste da molti funzionari di New York come un attacco alla libertà e alle leggi. “Non possiamo fornire bagnini di sesso femminile perché andremmo contro la legge che prevede di non erogare servizi in base al proprio credo religioso”, ha detto al Nyt Liam Kavanagh, commissario per i parchi e il tempo libero a New York.
Nel frattempo sembra che i conflitti e le richieste si stiano moltiplicando. La commissione per i Diritti umani della metropoli lo scorso anno ha condannato il fatto che in diversi negozi di Lee Avenue, Williamsburg, non ammettano clienti con pantaloncini corti, a petto nudo a piedi nudi o con scollature. Hanno scritto che l’obbligo discrimina le donne e gli uomini non ortodossi in un luogo pubblico.
La risposta? Gli avvocati dei negozianti hanno sottolineato che la stessa cosa potrebbe essere detta per alcuni ristoranti e locali di Manhattan che ammettono solo persone con un abbigliamento prestabilito. La disputa – che sta continuando in un tribunale amministrativo di New York – sembra solo l’inizio di una lunga battaglia.
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