Ancora su Stato e religioni – Una risposta al rav Scialom Bahbout
Alma Cocco
Nel suo intervento sul rapporto tra Stato e religioni tenutosi recentemente a Torino al The World Political Forum (Torino, Fiera del libro, 7 maggio 2004), Rav Scialom Bahbout, che personalmente stimo come una delle voci più importanti e significative dell’ebraismo attuale, appoggia l’intero suo discorso su una premessa con la quale è arduo essere d’accordo. Egli si è spinto, infatti, a sostenere che “le religioni monoteistiche, in quanto ritengono di essere portatrici di verità assolute, sono normalmente e naturalmente portate alla sopraffazione”.
Al contrario di David Hume, Rav Bahbout sembra convinto che vi sia connessione necessaria tra questi fatti, vale a dire che esiste un legame di causa-effetto tra la credenza in una sola divinità e la tendenza alla sopraffazione. Ma questo significa davvero gravare il monoteismo di una sorta di maledizione alla quale, però, il solo ebraismo si sarebbe sottratto attraverso l’introduzione degli opportuni correttivi che Rav Bachbout ha esaurientemente spiegato.
Contro questa interpretazione venata di una sorta di determinismo vorrei introdurre alcuni argomenti. Per prima cosa, dovremmo ricordare che storicamente le tre religioni monoteistiche sono nate per rispondere a problemi estremamente diversi. Mentre l’ebraismo è nato da un’esigenza etica, vale a dire dal problema di Abramo di dare, prima di tutto a se stesso, una risposta più convincente sul piano della morale rispetto alle idee nelle quali era stato educato, cristianesimo ed islamismo hanno avuto origine dalla volontà di dare soluzioni ad un problema politico. E’ incontestabile che, per quel che riguarda le due ultimi credenze, i fondatori abbiano inteso stabilire una sorta di collante ideologico che fosse in grado di tenere uniti psicologicamente e socialmente gruppi etnici assolutamente eterogenei: le varie etnie del vasto impero romano, nel primo caso, le disorganizzate tribù arabe, nel secondo caso.
Si può aggiungere che, da un punto di vista astratto, anche le credenze nell’idea dello Stato perfetto che si erge al di sopra dei diritti dei cittadini, come il nazismo e il comunismo, dovrebbero essere rigorosamente classificate nella categoria ‘ monoteismi’. Analogamente a taluni monoteismi classici anch’esse si sono distinte come le più ferocemente intolleranti ideologie che hanno macchiato il nostro pianeta e che, peraltro, continuano a godere, ancor oggi, dell’indiscusso plauso e dell’adesione incondizionata di un gran numero di intellettuali, politici e persone comuni in tutto il globo.
L’allargamento del campo di osservazione (Allah, lo Stato Unico, ecc.) sembrerebbe favorire la tesi di Rav Bachbout portando ulteriori tasselli a vantaggio della tesi che l’intolleranza sia un effetto automatico del monoteismo. Tuttavia, contro questa interpretazione sta il fatto che non tutti i monoteismi manifestano tendenze autoritarie. E mi riferisco, non solo all’ebraismo, ma principalmente allo zoroastrismo e alla religione Baha’i che, viceversa, mirano alla civile convivenza tra credenti delle più diverse etnie.
Ecco perciò che l’idea di connessione necessaria tra monoteismo e autoritarismo non può sussistere, benché si possa concordare sul fatto che il monoteismo abbia una sorta di predisposizione ‘genetica’ verso l’autoritarismo. Si può vedere, infatti, che talune nazioni pluraliste come, per esempio, l’Antico Egitto e l’India e soprattutto la Grecia classica, sono riuscite ad aggregare politicamente nel proprio ambito un gran numero di tribù e nazioni diverse senza per questo assimilarle ed opprimerle, ma anzi includendo le differenze nel grande patrimonio religioso dei rispettivi Stati.
La diversità dei monoteismi sembrerebbe derivare, non dalla credenza in un unico ente, qualunque sia la sua natura, ma dalle modalità secondo cui tale credenza viene conculcata. Caratteristica costante dei monoteismi a tendenza autoritaria è la confusione tra il piano religioso e il piano politico. La non distinzione tra questi due livelli che dovrebbero mantenersi rigorosamente distinti sembra aver provocato quel corto-circuito antropologico che abbiamo visto esser la nota dominante nei monoteismi illiberali. Guardando alla storia del cristianesimo, è innegabile che questa ideologia, qualche anno dopo esser divenuta religione ufficiale dell’Impero Romano mescolando inevitabilmente i propri interessi con quelli dell’impero, ha iniziato a manifestare segni di intolleranza tali nei confronti degli altri culti al punto di volerli sterminare, cosa che in parte è avvenuta.
Il problema di una possibile venefica commistione tra il piano politico e quello religioso era stato ben compreso da re Salomone nella sua tarda età. A torto i commentatori hanno attribuito a segno certo di cattiva vecchiaia l’introduzione nel regno d’Israele, di altri culti. Ma Salomone aveva capito fino in fondo l’importanza di tenere ben divisi il piano religioso rispetto a quello politico. Infatti, mentre l’uomo di fede può darsi da fare per diffondere il suo credo, al contrario l’uomo politico deve garantire a tutti i cittadini la libertà di scelta anche in tema di religione. La religiosità naturale che è in ogni uomo non può essere conculcata secondo la volontà dell’autorità politica, questo pensava Salomone nella sua grande saggezza di governante.
Ma nel mondo cristiano non vi è stata un’analoga lungimiranza: la religione si è messa al servizio del potere politico il cui intento era, come si è detto, l’unificazione dell’impero. E tale mescolanza di piani è stata devastante non solo per i tanti che non furono d’accordo e che subirono oppressione e martirio, ma anche per la stessa Chiesa cattolica, apostolica e romana, che ha perso inesorabilmente l’opportunità di diventare un’entità dotata di un qualche valore etico. La sua, infatti, è una morale servile, strumentale, esistente, non di per sé, ma in funzione di un’idea politica, e perciò stesso è una non-etica.
Lo stesso è avvenuto, a maggior ragione e in maggior misura, in quei casi in cui al centro della credenza non è una divinità, ma lo Stato, e sarebbe vano cercare in tali contesti risvolti etici. Al vertice qui troviamo solo ed esclusivamente la politica. Ma una politica distorta da una tendenza all’espansione identica nei modi a quella con cui si è svolto l’apostolato cristiano e islamico: ossia attraverso il dominio esclusivo delle coscienze.
In definitiva, si può dire che l’idea dominante di talune fedi monoteistiche che “ritengono di essere portatrici di verità assolute” sia congenita alle fedi monoteistiche stesse e consista principalmente in una volontà di dominio politico che niente ha a che fare, né con l’etica, né con la democrazia, né con la libertà. Si tratta, per certi versi, di un atteggiamento pre-politico e barbarico, che non ha alcuna affinità ideale con la società del diritto così come noi la sperimentiamo in Occidente. Ma esse sono, tuttavia, tra noi, perché le società del diritto garantiscono la loro esistenza piena; e molto ben nascoste dietro gli orpelli del politically correct poiché, come dice Shakespeare, “quale dannato errore c’è, in religione, che un grave aspetto non santifichi e legittimi con qualche sacra citazione, nascondendo la sua enormezza con un bell’ornamento?”. Così le vecchie ideologie ferine possono continuare a propalare i propri veleni e ad ingannare la gente con la solita vecchia tecnica propagandistica che è stata analiticamente descritta da Hannah Arendt nel suo famoso libro sui totalitarismi.