Si è concluso ieri sera a Milano, con la 317ma lezione in un clima festivo, il ciclo di 13 anni sui cinque libri della Torà, di rav Alfonso Arbib, Rabbino capo di Milano. Tutte le lezioni, e migliaia d’altre, sono accessibili a tutti sul Canale YouTube del Rabbinato Milano. Queste le parole pronunciate nell’occasione da uno dei talmidìm.
David Fargion
È bello essere qui stasera, tutti insieme e per una volta non per una visita o una seduta, ma per celebrare qualcosa di raro: la conclusione di un lungo cammino di studio, costanza e ascolto. E ammettiamolo: arrivare ogni mercoledì alle 20:30, dopo una giornata di lavoro, non è stato semplice. È servita fede, curiosità… e, in certi casi, una buona dose di caffeina.
Scherzi a parte, quello che il Rav ha fatto è straordinario. Ha preso un gruppo eterogeneo persone con vite piene, famiglie, pazienti, clienti, orari impossibili e ci ha condotto con pazienza e rigore attraverso i Cinque Libri della Torà. C’è chi ha ascoltato in diretta, chi in differita, chi ha giurato di rimettersi in pari… ma tutti, in un modo o nell’altro, abbiamo seguito un filo.
E non posso non ricordare una figura fondamentale: la moglie del Rav. Sempre accogliente, sorridente, pronta a intrattenere i presenti e perfino noi di Zoom, mentre il marito arrivava trafelato, dopo una giornata piena di mille impegni. Era una sorta di “prologo gentile”, che preparava l’atmosfera, come l’ouverture di un’opera.
E poi arrivava lui, il Rav: con quella calma che sa solo chi ha già corso tutto il giorno. La sua voce costante, mai enfatica, quasi meditativa, dava subito un ritmo diverso alla serata. Io, che di mestiere studio la mente, vi confesso che ho pensato di portare una sua registrazione a un congresso di psicoterapia come esempio di equilibrio e stabilità interiore, ma al di là della voce, ciò che colpiva era la profondità. Il modo in cui sapeva
passare da un versetto a un significato umano, psicologico, universale. E quando l’atmosfera diventava troppo tesa, quando tutti ci arrovellavamo su un dettaglio di interpretazione, ecco che il Rav spezzava la tensione con una delle sue storielle spiritose. Quelle battute improvvise, raccontate con aria seria, che facevano sorridere più del contenuto: perché rivelavano la leggerezza di chi crede davvero.
Nel mio lavoro di psicanalista, più di una volta mi sono ritrovato a citare le sue interpretazioni. Non per fare teologia, ma perché la Torà parla la stessa lingua dell’anima: sogni, desideri, simboli, paure. Freud stesso che ebreo lo era, anche se non praticante, aveva capito quanto la Bibbia sia già una grande narrazione dell’inconscio. I sogni di Giuseppe, le vacche magre, le spighe: sono immagini che parlano del nostro modo di vivere la mancanza, la paura, la speranza.Ecco: il Rav, con il suo modo di spiegare, ci ha mostrato che le parole della Torà non appartengono al passato, ma al presente, al nostro presente interiore.
E qui mi viene in mente un altro grande personaggio della Torà: Mosè. Di lui si dice che fosse un uomo di infinita pazienza e attenzione. E penso che questa virtù sia stata, in qualche modo, anche la nostra. Perché ascoltare una lezione, con rispetto, fino in fondo, e solo poi fare domande senza che nessuno lo imponesse, è un piccolo miracolo di disciplina e intelligenza collettiva. In questo gruppo, tutto è avvenuto con naturalezza: nessuno ha interrotto, nessuno ha voluto primeggiare, e le domande sono arrivate sempre nel momento giusto. Una cosa rarissima, in un mondo dove tutti parlano e pochi ascoltano.
Ma non dimentichiamo il gruppo nel suo insieme. Perché, al di là del maestro, c’è una comunità che lo segue. E noi, nel nostro piccolo, siamo stati una piccola comunità del mercoledì sera: un gruppo di persone curiose, diverse, che hanno deciso di dedicare tempo, il bene più prezioso, alla ricerca di senso. Ma il merito e la forza di queste lezioni vanno ben oltre il nostro gruppo ristretto: il Rav, con la stessa passione e dedizione, tiene lezioni anche per l’intera Comunità ebraica di Milano, riuscendo a unire mondi, generazioni e sensibilità diverse. E questo dimostra quanto la sua voce sia diventata, per molti, un punto di riferimento
culturale e spirituale.
Non è poco. In un mondo che corre, dove tutto si consuma in pochi secondi, noi e con noi tutta la comunità, abbiamo scelto di fermarci, di ascoltare, di tornare su parole antiche per capire qualcosa di noi stessi. Questo è il vero miracolo: la costanza, il desiderio, la pazienza e non solo la pazienza del Rav, ma anche quella di chi, collegato via Zoom, resisteva al richiamo del frigorifero. Ora il ciclo si chiude. Ma nella Torà, nulla si chiude davvero. Ogni fine è un inizio.
Riprenderemo un nuovo ciclo, con lo stesso maestro, la stessa voce, ma, si spera, con occhi un po’ più aperti e cuore un po’ più allenato. Freud avrebbe detto che ricominciare è un gesto vitale: il desiderio di tornare al principio per capire meglio. E noi, ricominciando, non ripeteremo: cresceremo. Quindi grazie, Rav, per averci guidato con rigore e con umanità. Grazie per averci insegnato che la vera sapienza non è l’accumulo di nozioni, ma la capacità di ascoltare. E grazie, soprattutto, per averci fatto sentire ogni mercoledì sera, parte di qualcosa di più grande di noi.E se posso permettermi un ultimo augurio: continui pure con le sue lezioni, Rav.
Noi la seguiremo. Con costanza, con curiosità.
