La parashà di Haazìnu ha inizio con tre versetti introduttivi: “Porgete orecchio, o cieli, ed io parlerò, e ascolti la terra le parole della mia bocca. Si spanda il mio insegnamento come la pioggia, stilli la mia parola come la rugiada, come la pioggia tempestosa sul prato, e come un acquazzone sopra l’erba. Quando invocherò il nome dell’Eterno, magnificate il nostro Dio! (Devarìm, 32:1–3).
R. Shimshon Rafael Hirsch (Hamburg, 1808-1888, Frankfurt) nel suo commento alla Torà scrive che la cantica vera e propria inizia con il quarto versetto: “La Rocca, l’opera sua è perfetta poiché tutte le sue azioni sono giustissime. È un Dio fedele e senza iniquità; egli è giusto e retto”.
La parola tzur, rocca, è un termine figurativo per il Signore che ricorre più di una volta in questa cantica. I Maestri nel Midràsh Sifrè, affermano che la parola tzur contiene due concetti: Tzur è Dio, Colui che è forte, e tzayar, Colui che forma e modella.
Il significato comune della parola tzur è roccia. E in questo senso è il simbolo naturale di qualcosa che è fermo è forte, immutabile e invincibile. Tuttavia il verbo che scaturisce dalla radice tzur esprime due modi di manifestare questa forza. Il verbo tzur normalmente significa assediare e da qui la parola matzòr, assedio. Da qui anche ‘arè metzuròt, città fortificate (Cronache, II, 11:23). Il secondo significato del verbo tzur è quello di formare e modellare come in Shemòt (32:4): “Gli diede forma con lo scalpello”.
Quando il termine tzur è usato per il Signore, è un simbolo di immutabilità e del poter prevalere su di tutto in modo assoluto. Egli è l’origine assoluta di ogni esistenza e di ogni tipo di esistenza. Quando il Signore è chiamato tzur in relazione a Israele, il termine esprime una doppia certezza: Israele sa che Dio è l’eterno supporto della sua esistenza nella storia. È volontà divina che Israele deva esistere e pertanto Israele non perirà mai.
Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) dedica un breve capitolo nelle Guida dei Perplessi (I:16) per definire il termine tzur. Egli scrive che tzur è un termine con più di un significato. Denota una montagna, denota una dura roccia, denota anche la cava dalla quale vengono tagliate le pietre. Successivamente il termine tzur fu usato in modo figurativo per designare la radice e il principio di ogni cosa. Il patriarca Avraham è chiamato figurativamente “la roccia dal quale sei stato tagliato”. E questo per dire di seguire le sue orme, i suoi insegnamenti e imparare dal suo carattere. Così pure Dio è paragonato a una roccia perché egli è il principio e la causa di tutte le cose.
Questo termine, tzur, oltre ad apparire in questa parashà, che viene letta vicino al giorno di Kippur, appare in una canzone che cantiamo di Chanukkà dopo aver acceso i lumi: “Ma’oz tzur yeshu’atì”, “O possente Rocca della mia salvezza”.
La prima strofa di questo poema è una preghiera per la ricostruzione del Santuario di Gerusalemme. L’autore, il cui nome, Mordekhai, appare nelle iniziali delle cinque stanze, descrive i vari periodi storici nei quali i figli d’Israele furono soggetti a esilio e a persecuzioni: Egitto, Babilonia, Persia, Grecia. Tutto ciò per testimoniare che il popolo d’Israele, appoggiandosi alla sua Rocca, non perirà mai.