“Quando sarete entrati nel paese e vi avrete piantato ogni sorta d’alberi fruttiferi, ne considererete i frutti come incirconcisi; per tre anni saranno per voi come incirconcisi; non si dovranno mangiare. Ma il quarto anno tutti i loro frutti saranno consacrati all’Eterno, per dargli lode. E il quinto anno mangerete il frutto di quegli alberi, affinché essi aumentino il loro prodotto. Io sono l’Eterno, il vostro Signore” (Levitico 19:23-25). La Torà insegna che quando i figli d’Israele sarebbero entrati in terra d’Israele e avessero piantano degli alberi da frutto, si dovevano astenere dal mangiarne i frutti – chiamati “Orla” – durante i primi tre anni. Il quarto anno i frutti erano consacrati al Signore e solo dal quinto anno sarebbero poi stati a disposizione del coltivatore.
Rabbì Chayym ibn Attar (Or Hachayym 1696-1743), offre una interpretazione interessante di questi versetti, spiegando che la Torà, oltre a introdurre la proibizione di Orla (frutto dei primi tre anni di un albero), ci insegna l’importanza di “produrre” figli da affidare alla Torà.
Ad un certo momento della nostra vita la nostra priorità dovrebbe essere quella di “piantare alberi” e produrre studenti e studiosi della Torà.
Rabbì Chayym riporta una serie di fonti in cui produrre studiosi è paragonato all’atto del piantare un albero, tra queste, ad esempio quella del profeta Isaia (65:22) che paragona i suoi saggi compagni agli alberi. Allo stesso modo, nel Talmud (Shabbat 118b) troviamo scritto che Rabbi Yosi “piantò cinque alberelli” in riferimento ai suoi cinque figli che crebbero fino a diventare grandi studiosi della Torà.
Rabbì Chayym prosegue poi affermando che coloro che studiano Torà sono chiamati “alberi” perché sostengono le anime di tutto il popolo ebraico e per dimostrare questo assunto, Rabbì Chayym cita una famosa storia su Rabbi Akivà.
Una volta Rabbì Akivà si imbatté in un uomo nudo, con la pelle carbonizzata, che trasportava grandi quantità di legna. L’uomo spiegò al maestro che era morto ed era stato condannato al Ghehinam (dove le anime vengono purificate delle colpe) a causa dei mali che aveva perpetrato durante la sua vita. La sua punizione era quella di raccogliere legna ogni giorno che poi sarebbe stata usata per bruciare la sua anima.
Quell’anima in pena disse che l’unico modo per liberarsi dal Ghehinam e porre fine alle sue sofferenze era, nel caso avesse un figlio, che lui recitasse per lui il Kaddish nel Tempio.
Questa persona morì quando sua moglie era ancora incinta e non poteva sapere se lei avesse poi avuto questo figlio oppure no.
Rabbì Akivà iniziò subito a informarsi su questa persona e scoprì che in effetti aveva un figlio. Purtroppo però, questo ragazzo non aveva ricevuto il Berit Mila, per non parlare poi di un minimo di educazione religiosa.
Immediatamente, Rabbì Akivà fece circoncidere il ragazzo e lo fece studiare con lui. Quando il giovane fu pronto, Rabbì Akivà lo portò al Tempio per recitare il Kaddish.
Quella stessa notte, il padre apparve in sogno a Rabbì Akivà per informarlo che era stato liberato dal Ghehinam.
Questa storia mostra quanto sia importante la produzione di persone che studiano e praticano la Torà e quanto assomiglino ad alberi che producono frutti nutrienti. Costruire una generazione di uomini e donne devoti alla Torà è il modo in cui sosteniamo il nostro popolo non solo nel mondo materiale, ma anche in quello delle anime.
Si deve comprendere che i nostri sforzi devono essere rivolti a “piantare alberi”, produrre generazioni di studiosi della Torà. Sono loro che forniranno al popolo ebraico il vero sostentamento spirituale di cui ha bisogno per continuare ad essere degno della lode divina: Tu sei unico, il tuo nome è unico e chi è come te o Israele? Shabbat Shalom!