Spiegazioni senza valore. Il premier eviti i fascisti
Riccardo Pacifici
Caro direttore, vorrei, attraverso le colonne del suo giornale, esprimere il mio pensiero circa le vicende di questa settimana. E difficile raccontare quanto abbiano lasciato la nostra Comunità disorientata, incredula e soprattutto tradita dalle incaute quanto prevedibili esternazioni di Ciarrapico fino alle «imprudenti» barzellette del premier.
A nulla valgono le scuse di Ciarrapico. Proviamo allora a ragionare non solo sull’onda dell’emotività e della rabbia e lo faccio visto la mia notorietà dell’ebreo sempre pronto a «bacchettare» il D’Alema di turno. Credo sia giunto il momento di fermarci un attimo. Tutti. E provare a ragionare insieme, non tanto per il bene degli ebrei, quanto per il bene del nostro Paese: l’Italia, che amiamo e a cui i nostri avi hanno dato la vita per costruire 150 anni fa una nazione unita. L’esternazione del «Ciarra» non è originale e usare l’icona dei simboli ebraici, in questo caso la Kippà, per denigrare l’avversario fa parte purtroppo della nostra storia in epoca zarista, fascista, nazista, stalinista, comunista e oggi del fondamentalismo islamico in cui i simboli ebraici sono stati e vengono utilizzati nelle campagne antisemite.
Dare dell’ebreo all’avversario, non è solo un fenomeno da studio, quando si vuole offendere la squadra avversaria o l’arbitro, ma è lo strumento che ancora oggi viene usato nelle campagne elettorali di molte nazioni che si definiscono «democratiche». Per questo concordo con la lucida analisi di Antonio Macaluso che ieri sulle pagine del Corriere ha invitato Ciarrapico a fare un passo indietro inequivocabile.
Ricordo ancora l’incontro a Palazzo Chigi con l’allora ministro Carlo Giovanardi insieme all’allora presidente dell’Ucei Amos Luzzatto in merito alla nostra vibrata protesta a seguito della legge Bossi-Fini con la presunta richiesta di impronte digitali ad alcune categorie di cittadini. In quella cornice incontrammo Gianfranco Fini e da quel primo incontro, non programmato, si posero le basi dello storico viaggio in Israele con cui si sono consolidati rapporti di una vera, leale, sincera amicizia e stima. Sostenere, nonostante tutto, che nessun governo italiano è stato così vicino alle ragioni d’Israele e alla sua democrazia come quelli di Berlusconi, sin dal 1994, verità e non rìconoscerlo, sarebbe un «tradimento» imperdonabile. Ma come è possibile coniugare amicizia e gratitudine a Berlusconi ed esternargli contestualmente la nostra rabbia?
Gli ebrei, che sono gli inventori dell’humour sulla Shoàh e la Memoria non fanno sconti a nessuno. Abbiamo sei milioni di motivi. Ora il vero problema è l’inspiegabile, progressivo e lento scivolamento dell’attuale esecutivo con alleanze con singoli e/o formazioni politiche, seppur minoritarie, che fanno proprie le tesi dell’estrema destra italiana le quali apertamente rivendicano sentimenti nostalgici delfascismo che inquietano più che gli ebrei, le cancellerie dimezzo mondo. Vogliamo pensare che l’animo antifascista del premier saprà prevalere.
Non svenderemo la difesa delle ragioni d’Israele a scapito della Memoria della Shoàh. Non svenderemo la Memoria della Shoàh perle ragioni d’Israele. Mi permetto, in conclusione, di portare un contributo di etica ebraica che traiamo da due versi del Pirkè Avot (Massime dei Padri) che usiamo far leggere ai nostri bambini nelle Sinagoghe nel periodo fra Pesach (Pasqua ebraica) e Shavuot (la festa della Legge), in cui è scritto «siate cauti con le autorità perché non vi si avvicinino quando hanno bisogno di voi» e «prega per la pace dello Stato, perché se non vi fosse il timore di esso, gli uomini si inghiottirebbero vivi a vicenda».
Presidente Comunità ebraica di Roma
Corriere della Sera 5.10.2010
Antisemitismo e pace in Medioriente. Un problema di tutti o no?
Stefano Jesurum
Un premier chiama «scuole israeliane» le scuole ebraiche del proprio Paese. E per annacquare gaffe e barzellette – più raccapriccianti che antisemite – sue e dei suoi alleati, si precipita a dichiarare che, però, lui è «amico di Israele». C’è qualcosa che non va.
E c’è qualcosa che non va anche in ciò che sta accadendo intorno alla manifestazione organizzata da Fiamma Nirenstein «Per la Verità, per Israele», che si terrà a Roma dopodomani. Roberto Saviano, Walter Ve!troni, Giovanna Melandri e altri personaggi di spicco del centrosinistra si sono visti recapitare in queste ore una lettera in cui si chiede loro di meditare sulla propria adesione (già data da tempo). Firmato JCall.
In molti sanno che Fiamma Nirenstein è deputato del Pdl, orgogliosamente ebrea. La sua chiamata in piazza vuole porre fine «alla valanga di bugie che ogni giorno si rovescia su Israele», l’unico Paese «che può essere sicuro di essere attaccato qualsiasi cosa faccia». Su queste parole d’ordine – più che condivisibili – arriveranno a Roma politici, intellettuali e artisti, da mezza Europa.
Pochissimi sanno invece che cosa sia Jcall, un movimento nato a maggio – Bernard-Henry Lévy, Alain Finkielkraut in testa, e a seguire 7000 ebrei europei – che esorta il governo israeliano a porre fine all’occupazione e a giungere a una soluzione negoziata basata sul principio di «due Stati per due popoli».
Jcall condivide la condanna dei tentativi di delegittimazione dello Stato di Israele, e tuttavia precisa che «una difesa lungimirante dello Stato ebraico non può tacere le responsabilità del -governo Netanyahu». Per questo – scrivono nella lettera – c’è il timore che «aderire al raduno romano non sia il modo migliore per esprimere solidarietà a Israele».
Una analisi politica che può essere condivisa (almeno da chi scrive), ma perché esprimerla pubblicamente – da «destra» come da «sinistra» – in quanto ebrei? L’antisemitismo di certe barzellette altolocate e la pace in Medio Oriente non riguardano forse tutti? La continua sovrapposizione – conscia, inconscia, voluta o «sfuggita» – tra israeliani e ebrei è sintomo di un problema. Stiamo parlando di cittadini italiani, non di «israeliani all’estero».
Consigliere Comunità Ebraica di Milano
Corriere della Sera 5.10.2010