La Parashà di Mishpatim, a prima vista, appare come un insieme di leggi che regolano la vita sociale, in realtà, secondo il commento dello Zohar, è una descrizione di una dimensione ben più profonda: quella dei Ghilgulim, i cicli di reincarnazione e di rettificazione dell’anima. Lo Zohar ci insegna che le leggi di Mishpatim non sono meri regolamenti giuridici, ma riflessi delle dinamiche dell’anima nel percorso del Tikun, della rettificazione. Le norme della Torah, quindi, sono il linguaggio attraverso cui il Divino intesse il percorso dei Ghilgulim.
Ogni prescrizione, ogni ordine, contiene in sé la traccia delle esperienze passate e delle necessità di rettificazione futura. In questo senso, ogni norma diventa una tessera dell’immenso mosaico della giustizia cosmica, predisposta ben prima che l’anima discenda in questo mondo. Così, le leggi non agiscono solo sul piano terreno, ma sono parte integrante del destino dell’anima, già programmato nel recesso spirituale. La frase “asher tasim lifnehem”, letta non come “le leggi che porrai di fronte a loro”, ma come le “leggi che porrai prima di loro”, cioè prima della loro venuta al mondo, ci suggerisce che le condizioni e le “regole del gioco” per il ghilgul vengono stabilite ancor prima che l’anima entri nel mondo materiale. In altre parole, il destino e il percorso di rettificazione sono preordinati: il contesto legale (mishpatim) diventa la cornice entro cui il tikun – la riparazione – deve avvenire. Tale visione ci ricorda che nulla è lasciato al caso (En Mikrè BaTorà), e che persino le sfide e le prove che incontriamo sono parte di un disegno Divino, già scritto nei reami celesti.
A questo proposito, va ricordato il passo presente in Masechet Nidda, secondo il quale l’anima, prima di venire in questo mondo, si impegna con un giuramento: gli si chiede di essere Tzaddik e non Rasha. Questo giuramento pre-incarnazionale rafforza l’idea che ogni anima, ancor prima di incarnarsi, abbia già stabilito le proprie condizioni di rettificazione, in un patto solenne con il Divino. La cosa straordinaria in tutta questa dinamica è che si agisce sempre secondo il libero arbitrio ma…nulla sfugge all’Eterno, i conti alla fine tornano sempre, come è scritto nell’Igdal: “Egli ricompensa l’uomo giusto secondo le sue azioni e restituisce il male al malvagio secondo la sua malvagità”. Un episodio straordinario riportato in Masechet Makot ci mostra come l’azione Divina si manifesti in modi sorprendenti: in una locanda, Hashem fa incontrare un omicida volontario (senza testimoni) con un omicida involontario (anch’esso senza testimoni).
Sembrerebbe che la mancanza di testimoni non permetta all’omicida volontario di essere giustiziato e all’involontario di essere esiliato ma…in un atto di intervento sovrannaturale, in cui la giustizia divina non scherza affatto, l’omicida involontario cade dalle scale proprio davanti a testimoni, provocando la morte dell’omicida volontario. Così, ciascuno riceve il peso della propria azione – l’uno la pena capitale, l’altro l’esilio. Questa vicenda, che a tratti può apparire quasi surreale, ci insegna che l’ordine cosmico non ammette ambiguità: la giustizia, pur operando in modalità misteriose, è sempre impeccabile e completa, anche se, a volte, difficile da comprendere all’intelletto umano. Nella Parashà troviamo anche il tema dell’Eved Ivrì, del servo ebreo. Come conciliare questo argomento nel contesto del Ghilgul? Secondo la Torah, un servo ebreo lavora per sei anni e il settimo anno gli garantisce la libertà.
Questa realtà giuridica si riflette in una visione cosmica più ampia: il tempo umano, misurato in 6000 anni, diventa il periodo necessario per completare il tikun attraverso i vari ghilgulim, per correggere e perfezionare il mondo. Lo schema del tempo del mondo è racchiuso nei sei giorni della creazione: L’idea che “un giorno di Hashem equivale a mille anni” (Ki elef Shanim beenecha Keyom) ci spinge a considerare questi millenni come un lungo percorso di lavoro, sfide e trasformazione, fino al momento in cui, come il servo liberato, l’umanità entrerà nella fase finale della redenzione, fino a che si entrerà nel Grande Shabbat. “Oggi” è venerdì, e siamo appena prima dell’entrata di Shabbat. Ognuno di noi sta aspettando impazientemente di accendere le candele, di illuminare la casa, e sedersi finalmente in tranquillità nella grande tavola imbandita per “Lo Shabbat”.
Shabbat Shalom