Marco Del Monte
Nella Torà troviamo due Parashot che condividono la stessa radice del loro nome: Beshalach e Shelach. La Radice שלח significa mandare, inviare, ed indica un movimento, un passaggio, da uno stato all’altro. Questo ci permette di vedere un filo conduttore tra l’apertura del Mar Rosso e l’episodio degli esploratori rivelando un profondo insegnamento sulla fede e sulla percezione della realtà. In Beshalach, Israele si trova davanti al Mar Rosso e ha paura; In Shelach gli esploratori vedono la Terra Promessa e si spaventano. Due situazioni di crisi con reazioni simili ma con due risposte differenti: Nel caso del Mar Rosso la paura viene superata dall’azione come è detto: “Parla al popolo e che avanzino!”; nel caso degli esploratori la paura prevale sull’azione: “quella notte il popolo pianse”. Nel primo caso ci troviamo nel mese di Nissan, nella festa di Pesach, e il passaggio del mare darà voce ad un canto, alla “cantica del mare”; nel secondo caso ci troviamo, secondo il Talmud (Sotà 35a, Taanit 29a), nella ricorrenza del 9 di Av dove leggiamo il Libro delle Lamentazioni oltre ad un famoso salmo in cui recitiamo la frase: “Come potevamo noi cantare” (Sal. 137,4). Nel caso in cui l’azione domina sulla paura, si canta, nel caso opposto, è proibito cantare.
I chachamim ci danno un grande insegnamento psicologico, cioè quello della trasformazione del lamento in canto, dell’immobilizzazione che diventa azione dinamica, come è detto nel Talmud (Ta’anit 29a): “Nel futuro, Dio trasformerà il pianto del 9 di Av in gioia. Come scritto: Trasformerò il lutto in gioia e la tristezza in festa (Geremia 31:13).” Non a caso si usa la candela di Tisha Beav, quella con cui abbiamo letto la distruzione del Tempio, del Bet Hamikdash, per accendere le candele di Chanukkà, quelle dell’Inaugurazione del Tempio”. Oggi il primo dei mesi è Nissan, in futuro sarà Av, come dice la parola stessa, Av, padre, cioè il padre dei mesi. La condizione di immobilità, a volte, è data dal timore del cambiamento, chi si volta e guarda costantemente indietro rischia di diventare una statua di sale, anche quando l’Egitto è alle spalle l’ignoto dell’orizzonte può sembrare più spaventoso della certezza di una vita difficile ma abitudinaria, direi familiare. Come dicono i maestri: “E’ stato più facile togliere gli Ebrei dall’Egitto che l’Egitto dagli Ebrei”.
Ma la lettera con cui inizia la Torà, la Bet, ci indicam nella sua forma, di vedere avanti. Hashem parla chiaro a Moshè e gli dice: “Perché gridi a me, parla al popolo e che avanzino”; D.o dice a Moshè: “Vai Avanti!”, chi si lascia prendere dal dubbio (Safek 240) è già nelle mani di Amalek (240), di quella voce interiore che insinua incertezza, paura, mancanza di fiducia. È il pensiero che sussurra: “Sei sicuro? Ne vale la pena? E se sbagliassi?” Rav Dessler (Michtav MeEliahu vol 2) scrive: “La differenza tra fede (Emunà) e paura sta nella nostra capacità di vedere oltre l’illusione del momento”. Nella vita dobbiamo costantemente scegliere se avanzare nonostante l’incertezza o lasciarci bloccare dalla paura. Il messaggio è chiaro: Il mare si apre per chi ha il coraggio di attraversarlo!
“Cancella il ricordo di Amalek da sotto il cielo, non dimenticare!”
Shabbat Shalom