Denaro, potere, posizione. Il desiderio ardente e la ricerca di queste cose materiali hanno definito e continuano a definire gran parte della storia dell’umanità. La nostra brama e il bisogno che sentiamo di avere di queste cose sono alla base del nostro comportamento come individui e nazioni. La ricerca di queste cose a volte ha prodotto il meglio di ciò che il mondo offre ma, più spesso, il peggio. Gli uomini che hanno bramato queste cose hanno costruito ferrovie transcontinentali; hanno costruito biblioteche, musei e ospedali. Hanno anche distrutto innumerevoli vite.
La ricerca di queste cose sembra esaltare i nostri più grandi punti di forza quando, in realtà, spesso tradiscono le nostre più grandi debolezze. Così, spesso, il fuoco che brucia dentro di noi, guidando la nostra brama di denaro, di potere o posizione nella società, non è altro che l’emozione che grida in nostro favore ad esclusione di tutti gli altri. È gelosia, la gelosia che ci fa desiderare queste cose a discapito di altri che le hanno già. La gelosia è il terrore di vedere qualcuno ottenere più di noi. Nei beni posseduti, nello status o nella posizione di un altro, non vediamo la gloria del suo successo, ma solo le nostre mancanze. Il problema nasce quando invece di riconoscerlo e dedicarci ad affrontare queste mancanze, umiliamo e sminuiamo gli altri, cerchiamo di sminuire il prossimo invece che lavorare su noi stessi per innalzarci.
A volte la nostra gelosia inasprisce i nostri pensieri e le nostre anime, inaridendo solo noi stessi. Altre volte, questo sentimento ci spinge a commettere atti indicibili. Il primo omicidio della storia fu il risultato diretto della gelosia. Quando D-o accettò l’offerta di Abele, Caino divenne pazzo di gelosia e uccise suo fratello. Quando a Yosef fu data la sua tunica dai molti colori, i suoi fratelli divennero gelosi e lo gettarono in una fossa. Ma davvero la gelosia è un sentimento solo negativo? Le connotazioni che accompagnano questo sentimento sono tutte negative? Esiste un lato positivo della gelosia?
Nella Parashà di Vayishlach, leggiamo che “Yaakov eresse un monumento sulla sua tomba; quello è il monumento della tomba di Rachel fino ad oggi“. La costruzione di questo versetto sembra contenere elementi ridondanti e ci costringe a guardare più da vicino al suo significato. Che Yaakov “eresse un monumento sulla sua tomba” sembra dirci già tutto ciò che dobbiamo sapere. Perché, quindi, nel versetto successivo la Torà scrive che “…il monumento della tomba di Rachel fino ad oggi”? Partendo dal presupposto che nella Torà non ci sono parole o frasi che non siano strettamente necessarie, questa ripetizione va analizzata per capire cosa ci voglia insegnare la Torà. Analizzando questa ripetizione, possiamo ricavare profondi insegnamenti su come la spinta che genera l’emozione distruttiva della gelosia possa anche portare al sentimento più nobile dell’invidia.
Un passo del Talmud ci aiuta a fornire una risposta. Nel Trattato di Shabbat (daf 152b) viene riportato un episodio. Il Talmud racconta di alcuni lavoratori che scavavano su un terreno di proprietà di Rav Nachman. Nel loro lavoro, si imbatterono in una tomba, disturbando la pace del defunto. Furono spaventati dall’urlo dell’uomo all’interno della tomba e, correndo impauriti, andarono ad informare Rav Nachman che “un uomo deceduto ci ha rimproverati!” Sentendo questa notizia, Rav Nachman si affrettò con i lavoratori alla tomba, si sporse e chiese il nome dell’uomo deceduto. “Sono Achai figlio di Yoshiya”, fu la risposta. Rav Nachman guardò verso gli operai impauriti e poi si voltò verso la tomba. “Rav Meri non ha insegnato che anche i corpi degli tzadikim si disintegreranno nelle loro tombe?” chiese, “come mai il tuo corpo non si è disintegrato?” “Chi è Rav Meri? Non so chi sia” rispose il defunto. “Potresti non sapere chi è Rav Meri, ma sicuramente hai familiarità con Kohelet, ‘… e la polvere torna alla terra com’era.’ (12:2). “Chiunque ti abbia insegnato il pasuk di Kohelet chiaramente non ti ha insegnato il pasuk di Mishlei, ‘Urkav atzamot – la putrefazione delle ossa – kin’aa – gelosia.’ (14:30) Cioè, chi vive con gelosia nel corso della sua vita si trasformerà in polvere quando morirà, ma chi non porta gelosia, le sue ossa non si disintegreranno. “Ora, il pasuk in Kohelet parla della maggior parte delle persone che conducono la propria vita contrassegnate dalla gelosia, ma quando ero vivo, non portavo gelosia nel mio cuore e così le mie ossa non sono marcite”. Rav Nachman fu molto colpito dalla spiegazione. In effetti, il Talmud conclude l’episodio riportando come lui, allungata la mano e toccato il corpo di Achia, scopre che era intero; persino la carne non era marcita.
Sappiamo dalla nostra esperienza come la gelosia possa divorare l’essenza del nostro essere. La gelosia non solo alimenta i nostri desideri, ma rischia di abbattere il raggiungimento dei nostri obiettivi. L’invidia, invece, correttamente intesa e correttamente diretta è il lato positivo della gelosia, nel senso che è possibile essere invidiosi della gentilezza di un altro, della sua sensibilità, della sua decenza, conoscenza e diligenza. In altre parole, invidiare questi attributi positivi, dovrebbe spingerci a raggiungere quegli stessi attributi positivi. Quel tipo di invidia, potrebbe migliorare il comportamento di una persona e fungere da motivatore per migliorare. Questo è il significato ultimo dell’espressione talmudica, kina’at soferim tarbe chochma – l’invidia dei saggi aumenterà la saggezza.
“Yaakov ha eretto un monumento sulla sua tomba” – qual è il punto? Perché è di Rachel che la Torà ci dice che (dopo aver visto che non aveva dato figli a Yaakov), “… Rachel divenne invidiosa di sua sorella” (Bereshit 30:1). A causa di questo avremmo potuto pensare che Rachel, defunta, divenne come la “polvere della terra” ma, se fosse così, il monumento eretto da Yaakov non si erge su nient’altro che un grumo di terra. La ripetizione nel versetto ci insegna che Rachel provò un’invidia positiva verso la sorella, Come commenta Rabbenu Ovadia da Bertinoro, Rachel non era gelosa di Lea, perché era tzaddeket e, come scritto nei Pirke Avot, la gelosia, la lussuria e l’onore portano una persona fuori dal mondo ma, come scrive Rashi, Rachel era invidiosa delle buone azioni di sua sorella. Disse: “se non fosse più giusta di me, non avrebbe il privilegio di avere così tanti figli” .
Come possiamo trasformare il sentimento negativo della gelosia, in un sentimento positivo, nell’invidia intesa positivamente? I Chachamim ci insegnano che questo è possibile partendo dall’espressione usata da Yaakov per esprimere la sua tefillà di ringraziamento a D-o al suo ritorno in Eretz Canaan proprio nella Parashà di Vayishlach (Bereshit 32:3-36:43), “Katonti”, letteralmente, sono troppo piccolo, per aver meritato tutte le misericordie e tutta la verità che mi hai concesso…” Rabbenu Bahya ben Asher commenta questo versetto: “Dobbiamo tutti riflettere, nelle nostre tefillot, sulle nostre insufficienze e sulle nostre mancanze in contrasto con il Signore Benedetto che serviamo. Non meritiamo nulla e Lui non ci deve nulla, nulla è dovuto. Tutto ciò che riceviamo da Lui deriva dalla Sua pura amorevolezza”. I successi che riusciamo ad ottenere derivano dal Suo “otzar mattenat chinam”, il Suo tesoro di doni dati liberamente. Abbiamo la possibilità, riconoscendo questi dati di fatto, di raggiungere la “maturità spirituale”. La “maturità spirituale” deve essere anche alla base delle nostre tefillot. Dobbiamo capire che abbiamo bisogno dell’aiuto del D-o non solo per le nostre esigenze fisiche, la nostra salute, il nostro benessere e il nostro successo materiale, ma anche per ottenere quei benefici “spirituali” che spesso consideriamo secondari e che spesso tralasciamo ma che non sono meno importanti.
Abbiamo bisogno del Suo supporto per controllare le nostre passioni più oscure, abbiamo bisogno del Suo incoraggiamento per diventare persone migliori, abbiamo bisogno del Suo aiuto per districare passaggi difficili nel corso dei nostri studi della Torà. Dobbiamo pregare per il Suo soccorso mentre lottiamo con le sfide personali, morali, etiche e politiche dei nostri tempi. Il nostro miglioramento personale deve travalicare la gelosia, superare l’invidia ed usarla come spinta per un percorso positivo attraverso il quale fare emergere, con la partnership indispensabile di D-o stesso, la parte migliore di noi stessi. In questo modo potremo diventare non solo la versione migliore di noi stessi, ma potremo diventare un kelì, un recipiente, pronto a contenere le berachot infinite di D-o, potremo portare del bene in questo mondo e potremo ispirare il prossimo a fare altrettanto.