Rav Dr. Roberto Bonfil – Milano 1962
LA PASQUA EBRAICA
“Che cosa c’è di diverso questa sera da tutte le altre sere? Che tutte le altre sere noi mangiamo indifferentemente pane lievitato o azzima mentre questa sera mangiamo solo azzima?”. Con questa domanda, ed altre come questa, semplici, ingenue, i bambini d’Israele da più di 3000 anni a questa parte, si rivolgono ai loro genitori nella notte di Pasqua perché si spieghi loro “che cosa c’è di diverso questa sera dalle altre sere”, quale il significato di questa ricorrenza essenzialmente allegra, gioiosa, festosa, una ricorrenza in cui hanno il permesso di stare alzati fino a tardi, a bere le tradizionali quattro coppe di vino nella cerimonia del Seder, a far domande ai grandi, a sentirsi rispondere con pazienza ad ogni domanda, anzi ad essere come i protagonisti della serata, ad essere insomma come i grandi. E noi rispondiamo ai nostri bambini con un racconto ormai antico di 3000 anni: “Schiavi fummo del Faraone in Egitto e di là ci fece uscire il Signore D-o Onnipotente. E noi festeggiamo questa sera perché se D-o non ci avesse fatto uscire di là saremmo ancora schiavi del Faraone in Egitto”.
Domande semplici, risposte altrettanto semplici, intonate alle domande infantili. E per tutta la sera continuiamo a raccontare così, semplicemente; mescolando leggenda con storia, il capitolo della schiavitù d’Egitto, e della nostra miracolosa salvezza.
Raccontiamo del Faraone e dei suoi assurdi decreti, improntati a quella astuzia diabolica e criminale atti a fare del popolo ebraico il nemico nazionale numero uno degli Egiziani. “…Ecco il Popolo d’Israele è diventato più numeroso e più forte di noi: agiamo dunque con astuzia perché egli non faccia alleanza con i nostri nemici e se ne vada via dal Paese”.
E pensiamo anche a tutte le altre volte che nella sua secolare storia il popolo d’Israele ha dovuto ascoltare simili dichiarazioni dalle esedre, dai balconi, dalla radio, dai giornali.
Raccontiamo del Faraone e pensiamo alle tristi favole sulla forza del Giudaismo internazionale, sulle accuse di omicidio rituale ecc., ecc. e i tristissimi rimedi adoperati dai popoli in nome della giustizia, della morale e di altre elevatissime idee, per abbattere “tanto male”.
Raccontiamo del Faraone e pensiamo a come quell’assurda propaganda s’è sempre materializzata in campi di concentramento e di lavori forzati, in roghi, in pogrom, in forni crematori.
Raccontiamo ai nostri bambini in questa notte: “che non uno solo si è levato contro di noi per distruggerci ma che in ogni generazione qualcuno si leva contro di noi per distruggerci ma D-o, Santo e Benedetto, ci salva dalle loro mani”.
E semplicemente, pazientemente, adagiati sul gomito sinistro, simbolo di libertà, spieghiamo ai nostri figli la tradizionale fede d’Israele nella Provvidenza Divina e tentiamo di trasmettere nei loro giovani cuori questa fiducia che noi abbiamo imparato ad avere per bocca dei nostri genitori e questi dai nostri nonni e quelli dai loro genitori e così giù giù fino alla generazione che assisté al miracoloso evento dell’uscita dall’Egitto e costatò per prima l’onnipotenza della divinità.
Sì, l’uscita del nostro popolo dall’Egitto simboleggia l’azione eternamente immanente della mano di D-o che mai lo ha abbandonato.
Simboleggia la fede del nostro popolo in questo D-o che allora imparò a conoscere, che allora e poi mille altre volte nella storia s’è dimostrato padrone assoluto del creato, unico arbitro dei destini degli uomini e delle nazioni.
Simboleggia l’attaccamento del nostro popolo a questo D-o, l’amore per Lui e per la Sua legge, dataci allora ai piedi del Sinai perché ci fosse di guida, di luce e di consolazione nel nostro cammino.
L’uscita dall’Egitto fu per noi la dimostrazione della esistenza di D-o e della Sua provvidenza. Gli antichi maestri dissero che “vide una schiava attraversando il mar Rosso quel che non videro neanche i profeti”.
E tutto quel miracoloso evento culminò nella rivelazione del Sinai con la promulgazione del decalogo, importante non tanto per le proposizioni che esso contiene quanto invece perché fu D-o stesso a pronunciarLe stabilendo una volta per sempre il principio che ogni comandamento della legge eterna a sua volontà ed in quanto tale va osservato, non solo in quanto buono e utile.
Ed è questo un principio che pare non sia stato ancora compreso sufficientemente dagli uomini che si permettono di giudicare i comandamenti divini in base alle loro personali concezioni sul bene e sul male, sull’utile e sul dannoso, arrivando spesso a sostenere il contrario di quanto è volontà di D-o Benedetto. Non uccidere, non fare falsa testimonianza: è scritto in quella legge; e gli uomini hanno ucciso; ed altri, molti uomini, quando non hanno potuto uccidere, hanno fatto falsa testimonianza; hanno diffuso false accuse, per difendere o giustificare o quantomeno per far lasciare impuniti i delitti di altri. E tutto ciò hanno fatto in nome della giustizia, della morale, del bene.
Ma il popolo ebraico ha sempre tenuto cara quella legge, essa è stata la sua unica ragione d’essere perché unicamente per ricevere quella, il popolo fu liberato dalla schiavitù egiziana.
Nella sera di Pasqua ai bambini che domandano tanti “perché” su questa ricorrenza rispondiamo con il versetto dell’Esodo: “Per questo ci fece uscire dall’Egitto”: perché ne osservassimo le leggi.
Il popolo ebraico accettò allora quella legge e vi consacrò la sua esistenza. Dice il Salmista in uno dei salmi che noi leggiamo in questa sera: “Quando Israele uscì dall’Egitto, la Casa di Giacobbe di mezzo da un popolo straniero, Giuda divenne consacrato al Signore, Israele Suo reame”.
Non abbiamo mai frainteso il profondo significato della nostra missione. Se abbiamo ostinatamente rifiutato di sopprimere quei peculiari nostri caratteri che ci distinguono dai popoli in mezzo ai quali abbiamo vissuto, non lo abbiamo fatto per superbia, per alterigia, ma perché siamo sempre stati convinti del dovere nostro di osservare la legge che D-o ci dette quando ci trasse fuori dall’Egitto. Perché siamo sempre stati doverosamente fedeli a quel D-o, che liberandoci dall’Egitto ci consacrò a Sé imponendoci di osservarne la parola in tutti gli esili e le persecuzioni, ben più dure di quella egiziana, che si susseguirono nella nostra storia. Lo facemmo perché abbiamo sempre fermamente creduto che la nostra missione, consistendo solo ed unicamente nel fare il bene, nel comportarci rettamente secondo il volere divino, apportasse un notevole contributo alla “restaurazione del mondo nel Regno di D-o”.
Lo facemmo perché non abbiamo mai accettato di ridurre la nostra religiosità a generiche affermazioni di carattere etico sociale ma perché per secoli e secoli, giorno per giorno, abbiamo inteso di attuare questa nostra missione accettando con gioia il peso della disciplina che l’Ebraismo impone; questa disciplina è stata la nostra più grande felicità; perché ogni atto formale che abbiamo eseguito testimonia il nostro amore per D-o, che è D-o di tutta l’Umanità.
E questa disciplina è stata anche la nostra forza.
Il popolo ebraico la accettò più di 3000 anni or sono nel deserto, l’ha osservata, e per avere il diritto di osservarla ha tanto lottato e tanto sofferto. Ed ora dopo tanti secoli, esso è tornato di nuovo al deserto per farlo vivere e con esso rivivere e continuare a vivere esso stesso.
In quel deserto che i pionieri d’Israele fanno rinascere, sono volti i nostri occhi perché in esso l’ebraismo intende lavorare serenamente per assolvere la sua missione nei confronti di D-o e dell’Umanità. L’Ebraismo crede profondamente nel futuro raggiungimento del bene da parte dell’Umanità e crede di avere ancora molto da lavorare per spianare la via, e ricostruire la casa dell’Eterno a cui affluirono tutte le nazioni secondo la visione profetica di Isaia.
“Avverrà, negli ultimi giorni, che il monte della casa dell’Eterno si ergerà, sulla vetta dei monti e sarà elevato al di sopra dei colli e tutte le nazioni affluiranno ad esso. Molti popoli Vi accorreranno e diranno: “venite saliamo al monte dell’Eterno alla casa del D-o di Giacobbe. Egli ci ammaestrerà intorno alle sue vie e noi cammineremo per i suoi sentieri. Poiché da Sion uscirà la Legge e da Gerusalemme la parola dell’Eterno. Egli giudicherà tra nazioni e nazioni e sarà l’arbitro fra molti popoli.
Ed essi delle loro spade fabbricheranno vomeri d’aratro e delle loro lance roncole. Una nazione non leverà più la spada contro un’altra e non impareranno più la guerra”.
L’Ebraismo ha fede che D-o non lo abbandonerà nel suo compito e che il Santuario distrutto tornerà restaurato per volontà divina in quel futuro giorno del Regno della Giustizia., dell’Amore, del Bene.
Rav Dr. Roberto Bonfil – Milano
Testo della conversazione tenuta alla RAI – Radio-Televisione Italiana il 18 aprile 1962