Nella foto: SS musulmane nella II Guerra Mondiale
Il conflitto tra Israeliani e Arabo-Palestinesi ha superato il secolo: non è la prima volta che le guerre durano così a lungo e ci si chiede come porvi fine: lo slogan “due popoli per due stati” della risoluzione 181 dell’ONU del 1947, è stato rifiutato dai Palestinesi, con l’affermazione che vogliono uno stato arabo palestinese dal fìume Giordano al mare. Visto il reiterato rifiuta arabo palestinese, è necessario cercare altre vie per ripristinare il dialogo diretto tra le parti.
La base della controversia non è soltanto di natura nazionale, ma ha le sue radici nel rifiuto secolare da parte del mondo arabo-musulmano al ritorno degli ebrei alla Terra d’Israele: per i musulmani gli ebrei rimangono Dhimmi, cioè esseri inferiori che non possono occupare posizioni di comando, e la Terra Santa, una volta conquistata dai popoli dell’Islam, rimarrebbe per sempre di proprietà dell’Islam (Dar El Islam): come se Roma pretendesse di avere diritto su tutti i territori appartenuti all’Impero Romano o al Sacro Romano impero.
Il rifiuto islamico era iniziato molto tempo prima, fin dai tempi in cui gli ebrei non accettarono Maometto come profeta e non aderirono alla religione da lui proposta: anche se nel corso della storia i musulmani non si macchiarono di massacri paragonabili a quelli fatti dai cristiani, aggressioni e incidenti verso gli ebrei si verificarono nei paesi arabi.
In ogni caso è necessario raccontare la vera storia dell’invasione araba nella Terra Santa. Gli arabi che sono oggi in Palestina sono arrivati prevalentemente al seguito della rinnovata immigrazione ebraica: dapprima dopo la Caciata degli ebrei dalla Spagna e dai territori spagnoli all’inizio del 1500, con il rinnovamento prodotto da Donna Gracia Mendez Nasi che cercò di ricostituire lo Stato ebraico nel XVI secolo, sviluppando anche l’economia della Galilea; in secondo luogo dopo il 1850, al seguito dell’immigrazione degli ebrei – mai cessata ma divenuta più consistente dopo i pogrom in Europa. Gli arabi ci sono arrivati alla ricerca di lavoro: tanto è vero che i loro cognomi sono indicativi della loro origine territoriale (El Masri dall’Egitto, Sidawi da Sidone , Zarkawi da Zarka ecc).
Le storie dei padri, un simbolo per i figli
In questa controversia c’è un’evidente base religiosa e questo ci induce a rileggere la Torà per analizzare la realtà odierna, alla luce del principio espresso dai Maestri: “Ma’asè avot le-banim”, cioè le storie dei padri sono un simbolo per i figli.
I personaggi, i testi e le storie cui ispirarsi sono vari: Ismaele, anche lui figlio di Abramo; le popolazioni straniere insediate nei territori, che da temporanee divennero spesso definitive; i Filistei, Pelishtim in ebraico, cioè invasori, provenienti in varie ondate dalle isole greche, che si insediarono lungo tutta la costa ed ebbero rapporti controversi con gli abitanti della Terra di Canaan e con le tribù d’Israele. La loro presenza sulla cosa indusse i romani a cambiare il nome della Giudea con quello di Palestina.
I rapporti tra Isacco e Ismaele non furono mai idilliaci, così come quelli tra i filistei (Pelishtim,) e gli ebrei. Avimèlekh re dei filistei aveva rapito Sara (ma non abusò di lei!) e aveva permesso ad Abramo di abitare nella sua terra. Tuttavia, nonostante la controversia per il rapimento di Sara e il furto di un pozzo che apparteneva ad Abramo e rubato dai servi di Avimèlekh, entrambi riuscirono a trovare un punto di incontro e fecero un patto. Il patto serviva ad entrambi: Avimèlekh constata che Abramo ha successo e capisce che un accordo con Abramo porterà un benefico per lui e per tutta la sua gente (Genesi cap. 21).
Mentre il confronto con i filistei fu sempre complesso (ricordiamo la storia di Sansone e Dalila e la sconfitta di Golia ad opera di Davide), i rapporti tra Isacco e Ismael migliorarono dopo la morte di Sara con il reinserimento di Hagar, madre di Ismaele, nella famiglia di Abramo, e il loro incontro al funerale di Abramo.
I discendenti delle tribù di Israele sono gli unici che non hanno avuto una presenza transitoria (anche se non sempre maggioritaria) in quelle terre. Ciò nonostante, i massacri e gli attentati prodotti da Hamas sono approvati da TUTTI i palestinesi di Gaza e Cisgiordania con grida di entusiasmo. Poco o nulla considerano le parole di Salomone – “Quando il tuo nemico cade non gioire (Proverbi 24, 17) – la cui saggezza è rispettata dal Corano. I palestinesi si muovono nella direzione opposta all’eredità “religiosa” del patriarca Abramo e dei figli Isacco e Ismaele. I civili palestinesi che non vogliono essere confusi con Hamas avrebbero dovuto prelevare gli ostaggi e consegnarli ai loro parenti, anziché diventare di fatto collaboratori di Hamas: è impensabile che una popolazione di 2 milioni di persone non sapesse dove si trovavano gli ostaggi e non abbiano fatto nulla per porre fine al loro rapimento. Avrebbero dovuto difendersi dal rapimento prodotto da Hamas prima ancora che dalla reazione di Israele.
Il piano religioso e quello politico
La soluzione al conflitto deve trovare una sua preparazione con una riflessione e un accordo innanzi tutto sul piano religioso: gli ebrei non hanno mai aggredito i musulmani, a differenza di quanto è stato fatto da questi ultimi. Il piano “religioso” è quello che va risolto per primo, e a partire da questo si potrà affrontare e cercare di risolvere tutti gli altri problemi. I palestinesi devono riconoscere che gli Stati arabi, cui loro si erano affidati, hanno causato loro solo dolori. Devono riconoscere la verità storica, e gli errori che hanno fatto rifiutando la 181, che non può essere riesumata senza una profonda riflessione e revisione dei propri comportamenti e il debito religioso che hanno verso gli ebrei. Ecco alcuni punti che vanno evidenziati nella ripresa del dialogo:
- Maometto ha imparato molte delle sue idee dagli ebrei della Mecca;
- Maometto e i suoi contemporanei hanno distrutto tre tribù ebraiche che vivevano alla Mecca in piena armonia con gli altri abitanti;
- Le uccisioni fatte dai palestinesi di Hamas erano fatte al grido di “Uccidi il giudeo”, esattamente come venne fatto dai musulmani nel nei pogrom antiebraici a Tripoli (Libya) 1945 e nel 1948;
- I membri di Hamas devono essere sottoposti a un tribunale internazionale, innanzi tutto per gli stupri fatti alle donne ebree, ma anche per avere fatto uso dei propri cittadini palestinesi come scudi umani;
- Hamas deve restituire i fondi ricevuti per migliorare la situazione della popolazione civile, fondi utilizzati per acquistare armi e costruire i tunnel sotterranei nei quali trovare riparo, senza metterli a disposizione della popolazione civile.
- I palestinesi devono imparare a trasformare l’odio in amore: molte delle persone che hanno barbaramente stuprato e ucciso erano dei pacifisti che avevano collaborato con i palestinesi e che conoscevano molto bene.
- I palestinesi devono finire di impartire ai bambini l’educazione a divenire Shahidim, fin dall’età dell’asilo.
- Gli Imam più autorevoli devono fare una chiara dichiarazione simile a quella fatta da Papa Giovanni Paolo II che gli ebrei sono loro fratelli, abbandonare l’idea che gli ebrei sono esseri inferiori Dhimmi o da massacrare sottomettere;
- Israeliani e arabi musulmani devono prendere l’esempio di Abramo e Avimelekh che hanno vissuto per lungo tempo nello stesso territorio senza farsi la guerra.
- Esiste una base religiosa comune che può essere individuata e in qualche modo riconosciuta da entrambi i membri delle due religioni: ricordando che il peggior servizio che possono fare alla memoria di Abramo è quello di continuare ad ammazzarsi reciprocamente.
Abramo, come esempio
Così come Avimelekh aveva capito che la strada migliore era quella di un patto da fare con Abramo perché avrebbe comportato il successo per tutti e due, anche i palestinesi (il cui nome si rifà ai Pelishtim) dovrebbero fare altrettanto. Ricordare che la Torà afferma che i diritti dello straniero sono uguali a quelli del cittadino residente, purché rispetti i principi fondamentali dettati dal Signore a Noè e ai suoi discendenti,
Rabbini e Imam autorevoli devono incontrarsi per definire nei dettagli il processo che tutte le parti (anche quella israeliana) devono fare se vogliono cercare di chiudere questa controversia.
Gli ebrei che si trovavano nella Palestina mandataria accettarono la divisione, nonostante le resistenze della destra, contrari alla rinuncia a dei territori che storicamente appartengono al Popolo ebraico. Gli arabi palestinesi non accettarono la soluzione dei due stati né prima né dopo, in base al principio di Dar El Islam. Bisognerà usare la fantasia diplomatica per trovare una soluzione che sia accettata definitivamente dai contendenti: sarà necessario che un comitato di storici che accompagni le discussioni tra le parti.
La soluzione non sarà facile: infatti Hamas ha avuto ed ha l’appoggio soprattutto dell’Iran, un paese musulmano Sciita: mentre i Sunniti (l’Arabia Saudita) stavano avviando un rapporto di collaborazione con Israele, gli Sciti ritengono di essere i veri ebrei (concetto simile a quello della Chiesa prima del Vaticano II). L’odio covato per centinaia di anni è esploso nel momento in cui gli ebrei sono tornati ad acquisire un’entità statale. Gli ebrei non hanno voluto accettare la predicazione di Maometto e l’Islam: un vulnus che non è stato “perdonato” agli ebrei, ma come s’è detto, ha prodotto il massacro di tre tribù di ebrei presenti in Arabia.
L’obiettivo della pace tra le parti potrà essere raggiunto se gli arabi palestinesi riconosceranno il debito che hanno nei confronti del popolo ebraico e della sua resistenza ai tentativi di assimilarli cui sono stati oggetto nel corso dei secoli. Solo un’alleanza strategica tra gli e ebrei e gli arabi palestinesi in Medio Oriente potrà risolvere il conflitto: la violenza rivolta dai palestinesi di Hamas verso gli ebrei, già oggi viene usata da Hamas stesso verso gli altri palestinesi che non aderiscono al loro movimento: domani la violenza colpirà tutti come un boomerang.
Gli arabi dovrebbero sempre avere presente quanto afferma Bertrand Russel: se non ci fossero stati i Maccabei – i soli ad opporsi all’Ellenismo – non ci sarebbero stati né il Cristianesimo né l’Islam.
Scialom Bahbout