Gli ultimi re di Shanghai. I Sassoon e i Kadoorie hanno avuto per decenni le redini degli scambi in Asia, spostandosi dall’India alla Cina. La loro vicenda, descritta in un libro dal giornalista premio Pulitzer Jonathan Kaufman, ha per sfondo l’ascesa economica e sociale cinese, dall’Ottocento fino ai giorni nostri
Negli anni ‘30 Shanghai ospitava quasi 20mila ebrei europei, la maggior parte tedeschi e austriaci in fuga dal nazismo. Il ghetto della città divenne un porto sicuro e ospitale. Merito soprattutto di alcune famiglie di ebrei trasferitesi lì alla fine dell’Ottocento, come i Sassoon e i Kadoorie: questi venivano dal Medio Oriente e avevano costruito un impero grazie al commercio e alle opportunità di business del vibrante porto cinese. Si dice che il generale tedesco Hermann Göring definisse l’imprenditore Victor Sassoon «un birichino playboy di Hollywood».
Shanghai, oggi la seconda città più popolosa del mondo e capitale economica della Cina, è ricca di storie come quella di queste due famiglie che hanno contribuito a costruire la narrazione di una città che vive di e per gli affari. La vicenda dei Sassoon e dei Kadoorie è raccontata da Jonathan Kaufman, giornalista premio Pulitzer e corrispondente dalla Cina per trent’anni, nel libro “The Last Kings of Shanghai” (pubblicato il mese scorso, non ancora tradotto in italiano) un’epopea multigenerazionale sulle due più grandi dinastie commerciali della città.
Kaufman ripercorre la strada che aveva intrapreso per primo David Sassoon, ebreo nato a Baghdad alla fine del Settecento e trasferitosi a Mumbai – nell’India controllata dalla corona britannica – nel 1830 per sfuggire alla persecuzione ottomana.
Un articolo pubblicato sul quotidiano hongkonghese South China Morning Post racconta la prima grande intuizione di mercato di David Sassoon: «Venne a conoscenza di una nuova invenzione chiamata nave a vapore, in grado di ridurre drasticamente i tempi dei viaggi. Si rese conto che sarebbero arrivate sempre più navi al porto di Mumbai e investì per acquistare parti del molo così da guadagnare facendole attraccare e poi ripartire con nuovi carichi».
Il suo business si ampliò fino a diventare uno dei più floridi dell’Asia. Grazie alle aperture concesse dal Trattato di Nanchino del 1842 creò triangolazioni economiche tra India, Cina e Gran Bretagna: Sassoon aveva appoggiato la corona durante la Prima guerra dell’oppio, sapendo che ne avrebbe tratto beneficio in termini commerciali strappando concessioni nel nuovo mercato cinese.
I suoi figli Elias e Albert Abdullah – primi eredi di quella che sarebbe poi stata conosciuta come “I Rotschild dell’Est” – portarono gli affari di famiglia in Estremo Oriente, fino a Hong Kong e Shanghai verso la fine dell’Ottocento. Qui coinvolsero nei loro commerci altre famiglie ebree originarie del Medio Oriente, tra cui i Kadoorie con cui avevano già lavorato in India.
In poco tempo, le due famiglie arrivarono a dominare i movimenti economici di Shanghai: avevano allargato il loro business in qualsiasi segmento di mercato e non erano necessariamente concorrenti, così da non danneggiarsi a vicenda.
Entrambe però ebbero alti e bassi negli affari. I Sassoon furono colpiti pesantemente dal bando al commercio dell’oppio, che li spinse a diversificare il loro portafogli acquistando terreni, immobili, fabbriche, banche. I Kadoories investirono nel caucciù malese, ma le oscillazioni di quel mercato rischiarono di mandare la famiglia in bancarotta, prima di renderli nuovamente milionari convincendoli a investire anche in altri settori.
«L’autore del libro – scrive Paul French sul South China Morning Post – contrappone in modo divertente gli indisciplinati Sassoon con lo stile di vita rigoroso dei Kadoorie. E se oggi la fortuna dei Sassoon è ampiamente frammentata, l’erede Michael Kadoorie (oggi 79enne) è uno dei miliardari più ricchi dell’Asia».
Victor Sassoon, il nipote di David, nato a Napoli per caso durante un viaggio della sua famiglia verso l’India, viveva in una lussuosa suite al nono piano del Cathay Hotel, un palazzo in stile Art Déco sul Bund di Shanghai – un viale lungo la riva sinistra del fiume Huangpu.
«Oltre alle macchine veloci, alle donne glamour e ai cavalli da corsa, amava le feste in costume e le feste in generale, inventava cocktail e ha tirato su edifici che hanno contribuito a ridisegnare lo skyline di Shanghai con meraviglie architettoniche», scrive French. Mentre i gusti degli esponenti della famiglia Kadoorie erano più misurati, «ma comunque amava ospitare sontuosi ricevimenti a Marble Palace, in una sala da ballo rivestita in marmo italiano, con un soffitto alto 20 metri».
Le due dinastie vengono raccontate, nel libro di Kaufman, sullo sfondo della storia politica e sociale della Cina: l’influenza coloniale, l’impero, la rivoluzione comunista che tagliò definitivamente le gambe ai ricchi imprenditori dopo i colpi inferti dal Giappone durante la guerra sino-giapponese (1937-1945).
Fino alla Seconda guerra mondiale Shanghai era sinonimo di denaro, di glamour, di spregiudicatezza. La città formalmente ricadeva sotto la sovranità cinese, ma i 40mila stranieri che la abitavano avevano importato uno stile di vita che, in qualche modo, permetteva di ignorare le disposizioni di Pechino. Poi arrivò l’invasione giapponese: un durissimo colpo per l’economia cinese.
Kaufman cita una lettera inviata da Victor Sassoon a un amico che sintetizza l’errore di valutazione dell’imprenditore: «Ci sono guerre, rivoluzioni, panico e allarme ogni giorno. Ma vedrai che non succederà nulla». Lawrence Kadoorie, invece, intuì il pericolo, spostando il grosso dei suoi investimenti da Shanghai a Hong Kong.
Quando i giapponesi presero la città i Sassoon furono molto più esposti dei Kadoorie, e la famiglia ancora oggi ha un business florido a Hong Kong. Come sottolinea Kaufman, la dinastia Kadoorie si è trovata dinanzi a diverse cesure storiche: «L’invasione giapponese del ‘41, la rivoluzione maoista, gli anni ‘60 e la Rivoluzione Culturale, poi di nuovo nel 1997. Di fronte a un bivio hanno sempre scelto di rimanere lì. Ora che Hong Kong sembra essere ad un altro punto di svolta, un’altra decisione incombe».