Yesha’yahu 41, 14 e comm.: אַל תִּירְאִי תּוֹלַעַת יַעֲקֹב
מצודת דוד תולעת יעקב. עדת יעקב החלושה כתולעת ואין כחה אלא בפה היא התפלה כתולעת הזו שבפיה מנסרת בארזים : (מצודת דוד)
“Non temere, baco di Y a’aqov”: come il baco ha tutta la sua forza nella bocca, così la Comunità di Ya’aqov ha tutta la sua forza nella bocca: attraverso la Tefillah.
Vi ricordate il detto per cui se siamo in due persone e abbiamo due polli, una volta che io li abbia mangiati entrambi e il mio compagno nulla, per la statistica risulta che abbiamo comunque mangiato un pollo a testa?
Sheminì ‘Atzeret per alcuni versi è considerato un reghel bi-fnè ‘atzmò, per altri è invecela continuazione dei sette giorni di Sukkot, come attesta il suo nome: “ottavo giorno”. Uno degli aspetti che lo legano a Sukkot, dice la Mishnah (Sukkah 4, 8), è la recitazione del Hallel, che avviene per otto mattine consecutive (e fuori da Israel anche la nona, Simchat Torah):
הַהַלֵּל וְהַשִּׂמְחָה שְׁמֹנָה כֵּיצַד. מְלַמֵּד שֶׁחַיָּב אָדָם בַּהַלֵּל וּבַשִּׂמְחָה וּבִכְבוֹד יוֹם טוֹב הָאַחֲרוֹן שֶׁל חָג, כִּשְׁאָר כָּל יְמוֹת הֶחָג
Il Hallel è una Mitzwah stabilita dai Chakhamim per i Shalosh Regalim e per Chanukkah. A questo proposito la Mishnah (3, 10) ci insegna una Halakhah:
אִם הָיָה גָדוֹל מַקְרֵא אוֹתוֹ, עוֹנֶה אַחֲרָיו הַלְלוּיָהּ
Se l’interessato non è in grado di recitare il Hallel per suo conto ma è in grado di ripeterlo, ha la facoltà di ascoltarlo da un’altra persona che glielo legge ed egli ripete verso per verso. Ma se non raggiunge neppure questo livello e non riesce a pronunciare parola, può limitarsi a rispondere Halleluyah al termine di ciascun versetto. La fonte di questa regola è nel din ‘arevut, per cui “tutti gli Ebrei sono garanti l’uno per l’altro” (כל ישראל ערבים זה לזה). Per qualsiasi Mitzwah è riconosciuta la possibilità che un altro Ebreo compia l’atto al posto mio, se io per qualsivoglia ragione non riesca ad adempierlo. Se io non sono capace di recitare il Qiddush, per esempio, posso ascoltarlo da un’altra persona che ne abbial’obbligo, sebbene egli non intenda dirlo per sé in quel momento, nel senso che non vuol mangiare, o se la ha già recitato per sé in precedenza. Come deve atteggiarsi colui cheascolta? Semplicemente stando in silenzio, perché anche chi si limita ad ascoltare, in questo caso, è come se rispondesse (שומע כעונה).
I commentatori si interrogano perché la regola non sia la stessa relativamente al Hallel. Nel nostro caso, infatti, il silenzio dell’ascoltatore non è sufficiente. Gli si richiede comunque una partecipazione almeno simbolica: rispondere a ogni versetto Halleluyah, un’espressione di lode generica, conosciuta da tutti. Per quale ragione? La risposta è che il Hallel non è una Mitzwah qualsiasi. Esso costituisce una Tefillah e come tale è בקשתרחמים. La preghiera è “richiesta di misericordia”: 1) un atto voluto e non (solo) dovuto; 2) un atto “strettamente personale e non cedibile”. Non è sufficiente uscire d’obbligo incaricando altri, perché nessuno in definitiva può pregare per conto terzi. La Tefillah è anzitutto trasfusione di sentimenti e questi si prestano a essere espressi in modo compiuto e autentico solo dal soggetto che prega. La delega può arrivare solo fino a un certo punto: copre le esigenze più tecniche della Mitzwah, favorendone l’adempimento nelle forme, ma non tocca i suoi contenuti più profondi.
Questa Halakhah del Hallel non ha più applicazione pratica da alcuni secoli, avendo ormai a disposizione libri stampati e persino traslitterati che consentono a chiunque di seguirne la lettura. Ma come tutti gli argomenti di Torah va studiata per gli insegnamenti che ci comunica. Siamo ormai abituati a impegnarci personalmente solo in ciò che sentiamo piùvicino. Per il resto deleghiamo altri. Fra queste incombenze vi sono per molti di noi quelle della vita comunitaria e del Bet ha-Kenesset. Ci fa piacere sapere che altri assolvono a queste funzioni per noi. Almeno finché il numero degli assenti non è ancora tale daannullare quello dei presenti vanificandone di fatto il contributo.
La Tefillah è come il cibo: come non possiamo affidare ad altri la nostra alimentazione perché mangino al posto nostro e noi ci manteniamo, così dobbiamo essere noi in persona a pregare per noi stessi. La Tefillah è ancora attuale? Certamente. Anche in una societàdell’utile e dei consumi come la nostra ci sono beni che non si possono acquistare con denaro: la salute, per esempio. La scienza ha fatto progressi da gigante, ne siamo testimoni, eppure non giunge dappertutto. La salute non si conquista solo con mezzi umani. Si deve richiedere a H. E nessuno dei viventi può dirsi esente da quest’obbligo, o meglio, da questa necessità. Il Dukhan del Bet ha-Kenesset non è una scrivania accanto alla quale si colloca un funzionario che assolve ai propri compiti per dovere d’ufficio, semplicemente perché così si è sempre fatto e così si deve seguitare a fare. Statistiche,lunari, newsletters e notiziari non fanno ancora una Comunità. Per portare avanti la Comunità è necessario credere fermamente negli ideali che essa rappresenta, tradurli in pratica e trasmetterli ai nostri figli. Come diceva Hillel nei Pirqè Avot (cap. 1):
אִם אֵין אֲנִי לִי, מִי לִי
“Se io non sono per me, chi sarà per me?” E si affretta a soggiungere:
וְאִם לֹא עַכְשָׁיו, אֵימָתָי
“Se non ora, quando?”
Shabbatot li-Mnuchah u-Mo’adim le-Simchah.
Rav Alberto Moshe Somekh