Ne’ilà 5774-2023
Nel giorno più solenne dell’anno, forse l’ora di Ne’ilà, l’ultima tefillà di questo giorno tutto di tefillà, è il momento più solenne.
È il momento in cui intravediamo la fine di questa lunga e pesante giornata, la fine dei 10 giorni da temere, e la fine del periodo delle Selichòt da recitare all’alba, che per alcuni sono iniziate più di 5 settimane fa. Ma è soprattutto il momento culminante di un’introspezione per l’anno passato e di nuovi progetti per l’anno futuro.
E non c’è vita ebraica senza un progetto di studi ebraici.
Quando in passato le popolazioni vivevano nell’analfabetismo quasi assoluto, una piaga che toccava ricchi e poveri, nobili e contadini, le famiglie ebraiche si toglievano anche il pane dalla bocca perché i figli potessero studiare fino dalla tenera età al chèder e poi nelle numerose yeshivòt.
Quando dobbiamo aspettare fino alla riforma protestante nel XVI secolo e all’invenzione della stampa, perché ogni fedele potesse leggere da solo la Bibbia (prima era esclusiva del solo clero), mentre l’ultimo dei 613 precetti (lo abbiamo letto lo shabbàt appena passato) già comanda nel deserto Sinai a ogni ebreo di scrivere e di possedere un sèfer Torà, perché possa essere studiato ogni giorno.
Anche quando gli ebrei si allontanarono dalla Torà e arrivò l’emancipazione, lo studio rimase una loro caratteristica fondamentale. Nella Germania del 1901 il 56.3% degli ebrei aveva un titolo di studio superiore alla licenza elementare, mentre i non ebrei arrivavano solo al 7,3%.
Contrariamente ai luoghi comuni, è proprio lo studio della Torà che aiuta a superare i pregiudizi e ad allargare la mente. Sono i diversi commentatori al testo, ognuno con la sua visione particolare, che aiutano a sviluppare lo spirito critico. Impariamo così a distinguere le sottigliezze e le diverse sfumature non solo del testo sacro, ma di ogni testo che ci capita di leggere. Riusciamo a dedurre principi generali da una serie di esempi, e possiamo formulare nuovi esempi per dei principi astratti.
Il vero segreto della continuità ebraica è nello studio dei testi che già i nostri bisnonni affrontavano e che noi trasmettiamo ai nostri figli e ai nostri nipoti.
La benedizione che pronunciamo ogni mattina unisce sapientemente lo studio per il solo amore dello studio e la continuità ebraica: «Rendi piacevole, Eterno, Dio nostro, alle nostre labbra e a quelle del Tuo popolo, la Casa d’Israèl, ripetere le parole della Tua Torà, così che noi, i nostri discendenti, i discendenti dei nostri discendenti e i discendenti di tutta la Casa d’Israèl, Tua nazione, potremo divenire rispettosi del Tuo nome e studiosi della Tua Torà, senza altri scopi che la Torà stessa. Benedetto sii Tu, o Eterno, che hai insegnato la Torà al Tuo popolo, Israèl».
Ma lo studio non è solo il motore della continuità. È anche funzione sociale di un gruppo. Uno straordinario collante che ha tenuto unite le nostre comunità e i suoi singoli, attorno agli stessi testi comuni, nell’infinità diversità di opinioni.
I padri fondatori dello Stato d’Israele, pur nella loro visione secolare e rivoluzionaria dell’ebraismo conoscevano a memoria interi brani del Tanàkh, la Bibbia ebraica, i nuovi generali avevano in mente le battaglie dei re biblici quando progettavano le loro, e gli archeologi trovavano conferma di quello che avevano studiato sui libri ingialliti studiati nella Diaspora.
Possiamo infatti discutere tra noi solo se c’è un terreno comune, e questo terreno comune è spesso non nell’osservanza dei riti o nelle memorie che a volte possono affievolirsi, ma soprattutto nella capacità di studiare gli stessi testi. Leggiamo con invidia le descrizioni di Levinas o di Elie Wiesel di gruppi di studio anche secolarizzati di Talmud, la vera palestra del pensiero ebraico.
Oggi abbiamo, grazie alle nuove tecnologie, un’offerta senza precedenti di opportunità di studio in italiano e per gli interessi più disparati. Possiamo cogliere queste occasioni in gruppo, che è sempre la strada maestra del confronto, o anche da singoli, mentre guidiamo o mentre laviamo i piatti, seduti sul divano o mentre corriamo, alla mattina presto a mente fresca o alla sera liberi dalle preoccupazioni.
Nel mese in cui ci abboniamo alla palestra, alla stagione teatrale o a quella musicale; nel mese in cui iscriviamo i nostri figli al corso di scherma, di nuoto o di danza classica, prendiamo anche l’impegno di seguire regolarmente un corso, scegliendo un insegnante tra i tanti che abbiamo a disposizione. Non importa quale.
Lo dobbiamo non solo a noi, ma anche ai nostri figli e al nostro stare insieme tra ebrei.
Che Dio ascolti le nostre preghiere in questo momento di Ne’ilà e ci dia la possibilità di studiare quest’anno più di quanto abbiamo studiato l’anno scorso.