Jonathan Pacifici – www.torah.it
“Osserva il giorno dello Shabbat per santificarlo, così come ti ha comandato il Signore tuo D.” (Deuteronomio, V,11)
“Ma nelle prime [parlate] ha detto: ‘ricorda’ (Esodo XX,7); ed entrambe in una sola parlata ed in una sola parola sono state dette ed in un solo ascolto sono state ascoltate.” (Rashì in loco).
Il Santo Benedetto Egli sia ci ha donato lo Shabbat con quattro espressioni/comandamenti. Due nella Torà e due nei Profeti. Nella Torà è scritto ‘ricorda il giorno dello Shabbat’ (Esodo XX,7) nelle prime Dieci Parlate ed è anche scritto, nelle seconde Dieci Parlate nella nostra Parashà, ‘Osserva il giorno dello Shabbat’. Nei Profeti si imparano poi due precetti rabbinici circa lo Shabbat: il precetto di onorare lo Shabbat (Kvod Shabbat) e di fare dello Shabbat la propria delizia (Onegh Shabbat).
Il ricordo dello Shabbat è legato alla sfera della parola, e si riferisce al Kiddush ed alla Avdalà con i quali ne segnaliamo rispettivamente l’entrata e l’uscita. I Saggi inseriscono sotto la categoria del ricordo anche il Kvod Shabbat e l’Onegh Shabbat.
L’osservanza dello Shabbat si riferisce invece al divieto di eseguire ‘melachot’, determinate operazioni generalmente malamente tradotte come ‘lavori’. Come più volte abbiamo visto si tratta delle trentanove categorie di attività legate alla costruzione del Santuario.
I Saggi hanno poi aggiunto una serie di ulteriori divieti. Si tratta di due tipi ben diversi: sejaghim, recinzioni, ossia norme miranti ad allontanare l’uomo dall’incappare in un divieto della Torà e shvut, cessazione, norme non legate alle trentanove categorie della Torà ma che mirano a preservare il giorno dello Shabbat come giorno distinto di riposo.
Il Ramban (nel suo commento alla Torà, Vajkrà XXIII, 24) ritiene che è precetto della Torà riposare durante lo Shabbat persino per quanto concerne cose non espressamente rientranti nelle trentanove categorie. In linea di principio sarebbe infatti possibile dedicare lo Shabbat a tutta una serie di attività lavorative pur non trasgredendo il divieto esplicito della Torà. Pertanto la Torà ha lasciato ai Saggi il potere di definire quali siano le attività che vanno proibite (oltre alle trentanove della Torà) per preservare lo Shabbat come giorno di riposo da dedicare al Signore.
Va ricordato che tanto il ricordo quanto l’osservanza dello Shabbat sono due componenti inscindibili. I Saggi affermano (TB Rosh Hashanà 27a, e poi ripreso in forma poetica nel Lechà Dodì) che ‘ricorda ed osserva in una sola parlata sono state dette’. Ossia non solo il Signore le ha pronunciate assieme in un solo suono, ma anche noi le abbiamo sentite assieme. Questo insegnamento non si limita alla sfera della haggadà, ma ha delle importanti ripercussioni legali. Infatti le donne, che sono ovviamente tenute ad osservare tutti i divieti dello Shabbat, sembrerebbero esentate dal Kiddush e dalla Avdalà in quanto ‘mizvot positive legate al tempo’ dalle quali le donne sono per definizione esenti. Eppure, proprio per via dello strettissimo legame che c’è tra il ricordo e l’osservanza esse sono tenute anche ai precetti del ricordo dello Shabbat. Non ha dunque senso, ovviamente, tentare di dar valore ad una parte (in genere ‘il ricordo’ perché lo si ritiene più facile) a discapito dell’altra. Iddio stesso ha detto ricorda ed osserva in un sol termine.
Rabbì Meir Simchà HaCoen di Dvinsk, il Meshech Cochmà, nel suo commento alla nostra Parashà affronta in maniera interessantissima i due termini in questione. Due sono, infatti, le radici dello Shabbat. La prima è la testimonianza del fatto che Iddio ha creato il mondo in sei giorni ex nihilo. La seconda è l’assegnazione di un giorno da dedicare alla spiritualità, liberi dalle costrizioni del lavoro. Un giorno per lo studio della Torà, ed è infatti scritto nel Talmud Yerushalmi (Shabbat 15,3): “Non sono stati dati gli Shabbatot ed i Giorni Festivi altro che per occuparsi in essi delle parole della Torà”. Per quanto riguarda l’aspetto della Creazione i Saggi hanno anche detto che lo Shabbat è stato dato per mangiare e bere. Ossia per godere del riposo Divino senza preoccuparsi del sostentamento e dei problemi della quotidianità ricordando che come Iddio ha creato il mondo, così ci aiuterà nella materialità.
Ecco però che nel deserto Israele si trovava in una condizione del tutto particolare, totalmente dedito allo studio della Torà e perennemente alimentato dalla Manna. Dunque non ha senso parlare del secondo motivo giacché essi erano dediti tutti i giorni alla Torà e non avevano preoccupazioni materiali di sorta. Quando invece Israele si appresta ad entrare in Erez Israel si pone il problema di conciliare una vita materialmente attiva con l’imperativo di studiare Torà. Ed ecco allora che lo Shabbat diviene l’àncora della spiritualità per delle settimane così piene di lavoro nei campi e nelle vigne. Per questo nelle prime Parlate non furono comandati circa il ‘shvut’ giacché essi non lavoravano e non si correva il rischio che il loro Shabbat fosse occupato da attività non proibite ma non in linea con l’idea Sabbatica. Per questo spiega il Meshech Cochmà, la Torà ha qui accennato al concetto di ‘shvut’ con la parola ‘shamor’, osserva, che secondo il Talmud (TB Yevamot 21 a ) si riferisce alle limitazioni rabbiniche. Proprio quando Israele entra in Erez Israel e si prepara ad una vita materialmente attiva il suo Shabbat deve essere il Santuario del Tempo, da dedicare allo studio della Torà.
In questo senso capiamo le due differenti motivazioni che la Torà usa per lo Shabbat. Nelle prime Tavole, nelle quali è scritto ‘ricorda’, il motivo per lo Shabbat è la Creazione del Mondo. Nelle Seconde invece, nelle quali è scritto ‘osserva’ il motivo è che eravamo schiavi in Egitto. Ossia il fatto che il Signore ci ha tratti dalla schiavitù e ci ha resi suoi servi. Se il ‘ricordo’ è legato all’universalità della Creazione è proprio l’osservanza con le sue scrupolose regole che è peculiare d’Israele in quanto legata al rapporto particolare D. – Israele dell’uscita dall’Egitto.
In questo senso è comprensibile come mai i Saggi si riferiscano allo Shabbat come ad un buon dono che Iddio ha fatto ad Israele.
Il Chovat Hallevavot individua la Creazione del Mondo come fonte per la sottomissione delle genti alle sette leggi noachidi e nell’uscita dall’Egitto la fonte per la sottomissione d’Israele alla Torà. La Creazione è universale e con essa, sembrerebbe, anche lo Shabbat. Infatti la santità dello Shabbat dipende direttamene dal Signore ‘che santifica lo Shabbat’ e non come per le feste da Israele (‘che santifica Israele ed i Tempi’). Eppure se un gentile osserva lo Shabbat è reo di morte! (Talmud Bavlì Sanedrhin 58b). Questo perché, spiega il Meshech Cochmà, proprio l’esperienza dell’uscita dall’Egitto rende Israele testimone unico della stessa Creazione. Il Maestro di Dvinsk, individua in ciò proprio la differenza che c’è tra i Maestri ed i Filosofi. Questi ultimi si contentano dell’attaccamento al sapere ed allo spirito come bene ultimo; di contro i Saggi si misurano solo sul campo delle azioni. Spiega Rabbì Akiva la sua straordinaria sopravvivenza nel Pardes, nel livello più profondo della comprensione della Torà in Shir HaShirim Rabbà (1, 4): ‘Non perché sono più grande (in Torà) dei miei compagni, ma perché così hanno insegnato i Maestri (Eduiot V, 7): ‘Le tue azioni ti avvicineranno e le tue azioni ti allontaneranno’’.
È per questo che lo Shabbat è un buon dono, giacché di principio non è specifico di Israele come le Feste ma ci viene assegnato proprio per la nostra capacità di essere nelle azioni testimoni della Creazione.
In questo senso le limitazioni rabbiniche dello Shabbat sono un lato della medaglia mentre l’altro lato è la santificazione dello Shabbat come giorno dedicato allo studio della Torà. Giorno nel quale tutto diviene Torà e non c’è contraddizione nel dire che è giorno da dedicare al mangiare ed al bere, perché è proprio la Tavola dello Shabbat che diviene l’Altare della Casa ebraica sul quale si mangia e si beve, ma si studia rendendo anche il cibo, cibo consacrato.
Di contro è proprio chi profana lo Shabbat che scardina la testimonianza d’Israele della Creazione del Mondo.
Impariamo infatti nel Talmud (TB Chulin 5a) che per quanto si accettino korbanot dai peccatori d’Israele affinché facciano Teshuvà, ciò non si applica per gli apostati, gli idolatri e coloro che profanano pubblicamente il Sabato. Rashì spiega che l’idolatra rinnega Iddio e colui che profana il Sabato rinnega il suo creato, ossia testimonia il falso dicendo che Iddio non si è fermato al settimo giorno.
Al contrario è proprio lo Shabbat che difende Israele: “Ha detto Rabbì Chià bar Abbà a nome di Rabbi Jochannan: ‘Chiunque osserva lo Shabbat secondo la Halachà, persino se è idolatra come nella generazione di Enosh, gli viene perdonato; come è detto ‘Felice l’uomo (Enosh) che fa questo [ed il figlio dell’uomo che persevera in questo: chi osserva lo Shabbat] sì da non profanarlo…’ (Isaia LVI, 2). Non leggere ‘sì’ da non profanarlo’ (mechallelò) ma [leggi] ‘gli viene perdonato’ (mechol-lo).’” (TB Shabbat 118b).
Ed è proprio lo Shabbat la chiave per il ritorno al Signore. Abbiamo infatti letto nella Parashà di Nizzavim “E tornerai fino al Signore tuo D-o” (Deuteronomio XXX, 2). La parola ‘veshavta’, ‘e tornerai’ è scritta in forma difettiva sicché si può leggere anche ‘VeShabbat’, ‘e Shabbat’. La chiave per il ritorno continuo è lo Shabbat.
Le seconde Tavole sono le Tavole della Teshuvà, ed infatti Moshè scende con esse nel giorno di Kippur. All’indomani Moshè aduna tutto il popolo per una grande assemblea.
La prima cosa che Moshè ordina al popolo, una volta sceso con le Tavole, è lo Shabbat. Ed i nostri Maestri autori del Midrash sottolineano nel Yalkut Shimonì su Vajakel come Moshè abbia posto l’accento sull’aspetto halachico dello Shabbat: “…disse il Santo Benedetto Egli Sia: ‘Fatti delle grandi comunità ed insegna loro in pubblico le regole dello Shabbat in maniera che imparino da te le generazioni future a riunire le comunità ogni Shabbat e Shabbat entrando nelle Case di Studio per studiare ed insegnare ad Israele le parole della Torà circa il proibito ed il permesso in maniera che il Mio Grande nome sia impresso tra i Miei figli…”
Il percorso inizia quindi con lo studio della Halachà. Con il ritrarsi da quanto è proibito. Nelle parole del Salmista il ‘rifuggi il male’ che precede il ‘fai il bene’.
Non dimentichiamo che Moshè scende dal Sinai con le nuove Tavole ed il perdono che coincide con l’ordine della costruzione del Santuario. Iddio vuole risiedere in noi e Moshè, nel comandare la costruzione e la preparazione della residenza per la Presenza Divina, comincia esattamente da dove deve cominciare ognuno di noi se vuole fare di se stesso una degna residenza per il Padrone del Mondo. Dalle regole dello Shabbat. Da questa anteposizione il Talmud (Shabbat 70a) impara infatti le 39 categorie di azioni proibite di Shabbat.
Ci troviamo questa settimana nello Shabbat Nachamù, lo Shabbat della consolazione. Quella consolazione che parte dall’introspezione e dalla comprensione degli errori e che dopo Tishà BeAv ci porta verso la grande festa di Tu BeAv ed al percorso di ritorno al Signore del Mese di Elul.
Ebbene proprio in questo Shabbat vale la pena soffermarsi sulla centralità dell’osservanza dello Shabbat come strumento principale del nostro processo di ritorno al Signore. Nelle nostre comunità per troppo a lungo l’osservanza scrupolosa delle regole dello Shabbat è stata retaggio di pochi.
È sempre più imperativo che ci si ponga l’obbiettivo collettivo di rafforzarsi nell’osservanza dello Shabbat. Di quelle regole dello Shabbat che sono un tutt’uno con lo studio della Torà che ci hanno insegnato i nostri Saggi, nelle cui mani è affidata la Torà.
Shabbat Shalom, Jonathan Pacifici