In questa parashà è scritto: “Non commettete iniquità nella giustizia, nelle misure di lunghezza, nelle misure di peso e nelle misure di capacità: dovrete avere bilance eque, pesi equi, efà equa (l’efà è una misura di capacità per solidi) e hin equo (il hin è una misura di capacita per liquidi). Io sono l’Eterno vostro Dio che vi ho fatto uscire dalla terra d’Egitto” (Vaykrà, 19:36-37). Nel Midràsh Sifrà (84) i maestri affermano che chi usa pesi e misure è come un giudice. Pertanto l’uso di pesi e misure improprie è comparabile a falsare la giustizia.
R. Naftali Tzvi Yehuda Berlin, detto il Netziv (Belarus, 1816-1893, Varsavia), nel suo commento Ha’amèk Davàr osserva che è difficile capire per quale motivo in questo versetto è ripetuta la parola giustizia (mishpàt). In un versetto precedente (ibid., 15), nel quale la Torà si rivolge ai giudici, è già scritto “Non pervertire la giustizia; non favorirai il povero e non mostrerai rispetto a chi è importante; giudicherai il prossimo con equità”. R. Berlin spiega che vi una differenza tra l’iniquità dei pesi dalle altre iniquità. In genere l’iniquità è proibita quando il prossimo ha un’obiezione. (Perché la parte danneggiata può rinunciare a fare valere i suoi diritti). Nel caso dei pesi e delle misure invece vi è una proibizione anche se il prossimo non ha alcuna obiezione. Nel versetto è scritto che questa mitzvà di avere misure eque deriva dal fatto che l’Eterno ci ha fatto uscire dall’Egitto. In Egitto il cibo non mancava. Usciti dall’Egitto si è passati sotto la protezione della Provvidenza che divenne il garante dei nostri mezzi di sussistenza (parnassà). Chi commette frodi con pesi e misure, dimostra quindi di non avere fiducia nella Provvidenza.
I Maestri nel trattato Bavà Batrà (88b) sottolineano un altro motivo per la gravità di frodare con pesi e misure. Chi deruba il prossimo, può restituire il maltolto e fare così teshuvà. Chi invece commette frode con pesi e misure, ha certamente derubato un gran numero di persone e non ha modo di fare una propria restituzione del maltolto. Si racconta che nel periodo di Rosh Hashanà e Kippur, il maestro chassidico Levi Yitzhak di Berditchev, (Polonia, 1740-1809, Ucraina) osservò: “Nel passato erano tutti scrupolosamente onesti nel mercato ed erano bugiardi nella sinagoga. Oggi invece è il contrario. Sono onesti nella sinagoga, ma nei mercati, mi vergogno di dirvelo”. I suoi seguaci gli chiesero perché era così angosciato per il fatto che i suoi fedeli dicessero la verità è sinagoga?”. Egli rispose: “Nel passato erano tutti noti per la loro onestà nei rapporti con il prossimo. Prendevano sul serio le parole della Torà. La loro parola era una sola e avevano pesi e misure giuste. Nel periodo di Rosh Hashanà e Kippur recitavano con fervore le loro tefillòt, e confessavano dei peccati che non avevano commesso. Era tutta una bugia. Oggi invece accade il contrario. Nel mercato vi sono coloro che si comportano in modo disonesto, e quando vengono in sinagoga, dicono la verità” (adattato da: Martin Buber, Tales of the Hassidim, Early Masters, p. 230).