I rabbini spiegano Genesi 3, di Rav Riccardo Di Segni
Riprendiamo sul nostro sito la trascrizione della relazione tenuta dal rabbino Riccardo Di Segni il 12 novembre 2014, nel corso della due giorni La Bibbia: un libro da “mangiare”, II edizione. Il male e la sua origine. Genesi 3, Giobbe e il Nuovo testamento, organizzato dall’Ufficio catechistico di Roma, dall’Apostolato Biblico di Roma e dal Centro culturale Gli scritti. La trascrizione è opera di Giulia Balzerani (che ha anche curato l’organizzazione dell’evento per Gli Scritti). Il testo non è stato rivisto dal relatore stesso. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Il Centro culturale Gli scritti (4/1/2015)
Grazie per l’invito e per questa presentazione, se sono qui è perché condivido questi sensi di amicizia e di cammino comune che ci legano e che sono un segno benedetto di tempi nuovi. E godiamoci questi tempi nuovi! Mi è stato dato il compito non facile di presentarvi dei commenti a Gen 3 che è un capitolo complicato, supersimbolico, nel quale si racconta la colpa di Adamo ed Eva e in cui uno degli attori è questo misterioso serpente.
La divisione in capitoli della Bibbia non l’hanno fatta gli ebrei, l’ha fatta un monaco cristiano nel Medio Evo, per cui c’è già un intervento esegetico nella divisione dei capitoli. Quando inizia il capitolo 3, in realtà il “capitolo” è già iniziato prima e la fine del capitolo 2 è fondamentale per capire la storia. È stato creato l’uomo, nel capitolo 2 è stato dato all’uomo un ordine preciso: puoi mangiare tutti gli alberi del giardino, ma quello non lo devi toccare.
Poi viene creata la donna e il capitolo si conclude con una frase che in italiano traduciamo con: erano entrambi nudi e non si vergognavano. Per capire questa frase che verrà contraddetta nel racconto successivo, la conoscenza della lingua biblica è fondamentale per due aspetti, la parola nudi e la parola vergogna.
Nudi è detto qui ‘arûmîm, direttamente collegato con l’inizio del capitolo nel quale presentando il serpente si dice che era ‘arûm: nella traduzione italiana però leggiamo che l’uomo e la donna erano nudi, mentre il serpente era furbo, astuto. Ma la parola è la stessa. L’enigma comincia già qui ed è un enigma micidiale, cosa c’entra la nudità con l’astuzia? Quando Giacobbe carpisce la primogenitura, di lui il padre dice:Tuo fratello è venuto con l’inganno, Gen 27,35. Ed, in effetti, si era mascherato di pelli.
Ma c’è anche un altro elemento: erano nudi e non si vergognavano(wayyihyū šənêhem ‘ărūmmîm hā’āḏām wə’ištōw wəlō yiṯbōšāšū). In effetti la parola vergognarsi qui è espressa con il rafforzativo yiṯbōšāšū – intensivo – ripetendo l’ultima radicale, ed è la stessa parola che viene usata in un contesto completamente differente, nel racconto su Mosè.
Quando Mosè sale sul monte Sinai e non scende (Es 32,1), la gente vede che lui esita (ḇōšêš) a scendere: qui la parola vergognarsi ha a che fare con la parola esitare e, soprattutto con la parola ritirarsi, scomparire dalla circolazione. Questo lo possiamo capire, perché chi si vergogna si apparta: in qualche maniera, non è un concetto di tempo distinto, ma di luogo distinto, Adamo ed Eva in un primo momento non si “appartavano”.
Ma rimane questo enigma micidiale del rapporto tra la nudità e la furbizia. Avevo citato il caso di Giacobbe ed Esaù: Giacobbe si traveste da fratello, indossando le vesti del fratello. La parola vestito, in ebraico beghed, è la parola che indica anche il tradimento: bagad è il traditore, non solo chi si veste, ma anche chi tradisce. Lo possiamo capire: chi tradisce si mette una maschera e simula di essere un’altra persona. La persona nuda non può tradire, nel momento in cui ci vestiamo già prendiamo un’identità.
Il serpente parla alla donna e inizia questo discorso prendendola alla larga. La donna risponde alla domanda del serpente e dice: “Noi possiamo mangiare ogni frutto del giardino, ma del frutto dell’albero che sta dentro al giardino, il Signore ha detto non mangiatelo, non toccatelo, affinché voi non moriate”. Dice: “non mangiatelo e non toccatelo”. Andando a confrontare questa risposta che la donna dice al serpente per raccontare il divieto con il divieto reale dato ad Adamo, ci rendiamo conto che lei ha aggiunto una cosa fondamentale: il Signore ha detto: “Non mangiare”, mentre la donna dice: “non mangiare e non toccare”. Il divieto di toccare se l’è inventato lei.
Di qui poi il fatto che non bisogna allargarsi nei divieti, come immediato insegnamento rabbinico, anche se poi i rabbini hanno fatto di tutto per allargarsi nei divieti. Altro spunto interessante, quasi ironico, quando la Torah viene promulgata sul Monte Sinai, viene detto a Mosè: “Così dirai alla casa di Giacobbe e ai figli di Israele”. I commenti dicono che la casa di Giacobbe significa le donne, mentre i figli di Israele sono gli uomini. Perché la Torah viene data prima alle donne e poi agli uomini? Perché guarda che pasticcio è successo quando il Signore ha dato un divieto prima all’uomo invece che alla donna!
Che albero è? Che frutto è? Tutti risponderanno: “La mela!”. Ma dove sta scritto che è una mela? Sta nella rappresentazione di Raffaello o di altri artisti, ma non sta scritto da nessuna parte. I maestri si chiedono: “Perché non c’è scritto?” Perché se ci fosse scritto quale è l’albero che ha causato tutti i danni dell’umanità, sarebbe stato un albero maledetto, ma il Padreterno non ha voluto maledire nulla.
Rimane il dubbio, di che albero si tratta? In questo capitolo compare il fico, visto che si dice che l’uomo e la donna cuciono la foglia di fico per coprirsi, potrebbe essere che dallo stesso albero che aveva provocato il dramma si trovi una soluzione. Secondo un’altra interpretazione rabbinica gli alberi incriminati sono quattro: il fico, la vite, il cedro (l’agrume) o il grano. Mi si potrebbe obiettare che il grano non cresce sugli alberi, ma stiamo parlando di una situazione precedente la colpa, tutto cresceva sugli alberi e addirittura gli alberi stessi erano commestibili. Non c’era differenza tra corteccia e frutto, tutto era commestibile. Questo si deduce dall’inizio del racconto della Genesi in cui si dice albero da legna e poi albero che fa frutto. Anche la differenza tra albero e frutto è una conseguenza del peccato.
Che cosa significano queste quattro specie vegetali? In altri termini la riflessione è questa: qual è la cosa che rovina l’umanità? Se la risposta è il fico, visto che il fico copre la nudità, rappresenta il sesso. Se la risposta è la vite, allora è l’alcool, la droga. Se la risposta è il cedro, era l’unico agrume presente nell’antichità, è la bellezza, il culto estetico. Se la risposta è il grano, la grana, è il denaro, l’economia, la ricerca del denaro. È questa attrazione per qualcosa che non dovrebbe attrarre più di tanto, che determina il dramma.
Parliamo un po’ del serpente. Del serpente facciamo la conoscenza in questo punto, ma è una presenza abbastanza frequente nella Bibbia. Ci sono diverse parole per indicare il serpente, ma forse si riferiscono alle diverse specie. Qui serpente è reso con naḥásh. Da questa stessa radice derivano anche le parole che indicano il rame e le magie, sempre nella Bibbia.
Cosa c’entrano il rame e le magie con il serpente? Se si guardano le miniere di rame si vede che la vena del metallo è ondulata, con una forma che somiglia a un serpente, ma su questo la Bibbia gioca, perché quando c’è la storia del serpente di rame si fa un gioco di parole proprio nəḥásh nəḥōšeṯ (serpente di rame).
Per quanto riguarda le magie è probabile, anzi quasi certo che i serpenti venissero usati dai maghi e dagli stregoni come strumenti di arti magiche. Tuttora nei repertori delle stregonerie ci sono pelli di serpenti, non è una cosa strana. Il serpente però, passando alla simbologia che è già nell’episodio del serpente di rame, ha anche un altro significato.
Il serpente di rame era stato fatto perché la gente si era comportata male e allora vengono i serpenti e mordono le persone e le uccidono. Allora il Signore comanda a Mosè di fare un serpente di rame, di innalzarlo come vessillo al centro dell’accampamento. La gente morsa che vedeva il serpente, guariva.
I maestri si sono chiesti se è il serpente che fa guarire. Non è il serpente, ma è il fatto che per guardare il serpente le persone guardano verso l’alto e per questo si salvano, perché guardano verso l’alto, non perché guardano il serpente. Il serpente qui indica opposizione vita-morte.
Questo serpente che compare qui è una creatura misteriosa e nei commenti rabbinici abbastanza tardivi, compare un’identità famosa che è condivisa – e forse c’è un’influenza reciproca – dalla esegesi cristiana. Il serpente è l’istinto del male, è Satana.
La teologia ebraica su Satana è diversa da quella cristiana: non c’è una personificazione esasperata, non c’è una presenza del demonio, del Maligno, come può esserci nel pensiero e nell’elaborazione cristiana.
Il Satana della Bibbia è il satàn, l’ostacolo, è quello che fa inciampare la persona o che gli fa da avvocato dell’accusa di fronte al tribunale celeste come nel libro di Giobbe. Là è idealmente personificato, ma non è detto che lo sia. Il problema è più interiorizzato, il male sta nelle nostre possibilità di scelta, il male che è dentro di noi, la pulsione a commettere azioni che non sono consentite, che sono di per sé male e che possono provocare male. Il serpente rappresenterebbe tutte queste cose.
Una delle spiegazioni presenti nella tradizione ebraica, ma non l’unica presente nella tradizione rabbinica, è che quello che succede in questo momento è che c’è un essere umano che è sottoposto, in virtù della sua libertà, a una tentazione. Gli si dicono delle cose e dice: ma quello che mi è stato detto è vero o no?
Il botta e risposta che c’è tra la donna e il serpente è la riflessione che la persona fa di fronte a una seduzione. A me questo oggetto proibito mi attira da matti: “una bellezza per gli occhi e dolce da comprendere”, ma allora è vero quello che mi è stato detto?
È veramente problematico il passaggio tra la conoscenza del bene e del male e l’astuzia. L’astuzia che è attribuita al serpente in realtà è attribuita anche ad Adamo ed Eva i quali vivevano in uno stadio primordiale in cui non potevano distinguere il bene e il male, ma non erano completamente cretini.
Questa idea della furbizia fa vedere che anche loro avevano capacità di scelta, perché se non c’è capacità di scelta non si capisce dove è il peccato.
Il primo divieto che l’umanità trasgredisce è un divieto alimentare: “non mangiare”. Nell’Ebraismo i divieti alimentari costituiscono un pilastro fondamentale della struttura religiosa. Nel Cristianesimo, anche a seguito delle parole di Gesù che dice che non è importante ciò che entra nella bocca ma ciò che esce, i divieti alimentari sono stati progressivamente spazzati via. Per cui abbiamo due mondi, quello Ebraico e quello Cristiano, nei quali il divieto alimentare rappresenta una sorta di pilastro, anche di differenza, almeno per come si è sviluppata la tradizione a un certo punto.
Qua abbiamo che il primo divieto che viene dato all’umanità è alimentare, dove l’alimentazione è primordialità. È interessante che in questa primordialità istintuale non c’è un divieto sessuale, perché quale divieto sessuale poteva essere dato ad Adamo ed Eva, visto che a loro era stato dato l’ordine preciso di riprodursi? Non ci poteva essere adulterio, erano solo loro due! Non poteva esserci incesto, erano solo loro! A loro era tutto consentito, l’unico divieto avrebbe potuto essere la bestialità. Secondo alcuni maestri la bestialità c’è in questa storia, perché il serpente sarebbe stato geloso di Adamo, loro erano nudi, non si vergognavano e si univano senza avvertire in questa loro unione alcuna malizia. Il sesso era una cosa normale, senza alcuna problematica. Il serpente li vede e desidera Eva e la concupisce e secondo una tradizione della letteratura mistica, il serpente possiede Eva, si unisce a lei.
Il reato alimentare rappresenta uno stato di natura primitivo, originale. Quando a un lattante voi date un oggetto, lui se lo porta alla bocca. Il modo di relazionarsi di un bambino con l’ambiente esterno è portare tutto alla bocca, è la modalità basilare per rapportarsi con l’esterno. Il divieto alimentare sta a dire che nel rapporto con l’esterno non puoi fare qualsiasi cosa, ma devi scegliere.
Per tornare al rapporto tra Eva e il serpente, la tradizione mistica, ma su questo ci sono i segnali già nella letteratura rabbinica, il peccato di Adamo ed Eva comporta una sporcizia, l’uomo e la donna diventano sporchi in conseguenza del peccato e questa sporcizia si trasporta sulla loro discendenza.
Ma è una sporcizia che può essere tolta? La risposta è che sì, viene tolta, nel momento in cui c’è la rivelazione sul monte Sinai. La promulgazione del Decalogo, il dono della Torah, la scelta di Israele, tolgono la sporcizia. Immediatamente dopo c’è il vitello d’oro che la sporcizia la rimette.
Questo racconto è un campione molto interessante per vedere come le linee interpretative di ebraismo e cristianesimo vanno insieme fino a un certo punto e poi si distaccano. Quello che viene chiamato nella teologia cristiana il peccato originale, richiede, scusate se entro in un terreno che non è mio, l’incarnazione di Gesù per essere cancellato. Nel pensiero ebraico il dramma non è così radicale, è correggibile: è stato già corretto, con la rivelazione sul Sinai e non è necessario un evento epocale per risolvere un danno che può essere risolto tutti i giorni con le nostre azioni.
La sporcizia di cui si parla è una sporcizia da cui ci si pulisce, che non rimane in eterno e il compito di uscirne fuori è lasciato all’individuo attraverso l’osservanza di determinate norme.
A proposito del serpente c’è una interessante riflessione molto più recente, fatta da esegeti ebrei, – cito Cassuto – che cercano di fare un ragionamento comparativo con il materiale letterario e religioso di epoche remote dell’area in cui nasce la Bibbia, per capire quali sono le linee comuni e quelle distintive.
Il tema del serpente, così come è sviluppato nella Bibbia, è molto originale. Ma il simbolo è onnipresente soprattutto nelle religioni orientali: il ruolo che svolge nella Bibbia presenta differenze importanti.
Secondo Cassuto il serpente svolge il ruolo del pensiero dinamico di una persona che fa un ragionamento dentro se stessa e questo deriva dal fatto che nei sistemi mitologici delle culture che circondavano l’ebraismo, in tempi remoti, era costante il riferimento alla lotta tra il dio e una forza ostile che era rappresentata dai mari, dai fiumi e dalle bestie acquatiche grandi che le abitavano. Tutte queste realtà fanno la guerra contro la divinità, e la mitologia si sviluppa intorno a questo tema.
Cassuto ha dimostrato come questo tema sia ripreso in molte parti della Bibbia e sia sviluppato in forma completamente diversa dalle precedenti, perché nell’Ebraismo non può esserci una forza antagonista a Dio uguale a Dio, Dio è il creatore di tutto e domina tutto.
C’è per esempio un enorme serpente marino, il Leviatano, che compare in varie parti tardive della Bibbia, che diventa, in alcuni versi, il giocattolo di Dio: questo mostro che avrebbe guidato la ribellione diventa un duttile strumento nelle mani di Dio.
Nelle rappresentazioni messianiche molto simboliche, quando arriverà il Messia, mangeremo la carne del Leviatano. Il messaggio è molto chiaro, mangeremo la rappresentazione del male, lo divoreremo, ormai è finito. Così come con la sua pelle costruiremo le capanne per la festa dei Tabernacoli, servirà per proteggerci anziché per farci del male.
In una concezione in cui c’è soltanto Dio che gestisce tutto è chiaro che non può esserci un serpente che comanda. Il serpente è soltanto una creatura, residuo simbolico del processo di ribellione a Dio che appunto verrà ulteriormente bastonata e sconfitta alla fine di questo racconto.
A proposito del fatto che il serpente non esiste, ma è qualcosa che agisce dentro la mente di Eva , Eva in ebraico è Hawwah e c’è il riferimento esplicito etimologico al fatto che Eva è la madre di ogni vivente, dà vita, ma in aramaico con un termine analogo si dice serpente, quindi donna e serpente hanno lo stesso nome.
Il serpente poi lo incontriamo nella storia del bastone dato da Dio a Mosè. Quando Mosè incontra Dio nel roveto ardente riceve una verga che, gettata a terra si trasforma in serpente e ritoccandola torna un bastone. La Bibbia racconta che Mosè all’inizio scappa perché ha paura, cosa che nella letteratura mistica è diventato l’inizio di un romanzo in tantissime puntate. Perché Mosè ha paura? In Proverbi 30,18-19, il re Salomone, che passa per essere la persona più intelligente della storia, dice che ci sono delle cose che non riesce a comprendere:
Tre cose sono troppo ardue per me,
anzi quattro, che non comprendo affatto:
la via dell’aquila nel cielo,
la via del serpente sulla roccia,
la via della nave in alto mare,
la via dell’uomo in una giovane donna.
Sono i misteri che il re Salomone non riesce a comprendere. Cos’ha di strano la strada del serpente sulla roccia? I maestri dicono che roccia, ṣūr, è l’attributo divino. Dio è chiamato roccia, ṣūr. La strada del serpente nella roccia è il male su Dio. Qual è il rapporto del male con Dio, questo è il mistero che Salomone non riesce a comprendere. Questo è il motivo per cui quando Mosè vede il serpente, mentre parla con Dio, scappa perché non sa come può controllarlo. Una delle soluzioni che dà la mistica ebraica, ma anche la filosofia ebraica, è che tutto quanto deriva da Dio, già il Deutero-Isaia dice:
Io sono Dio e non c’è altro all’infuori di me; all’infuori di me non c’è divinità. Affinché sappiano dall’oriente all’occidente che non c’è nulla all’infuori di me … Dio forma la luce e le tenebre, fa la pace e crea il male. Io sono Dio, che faccio tutte queste cose (Is 45,5-7).
Il Signore crea il male, ‘oseh shalom u-bore ra’. Nella preghiera di tutte le mattine noi ripetiamo questa frase, nella quale invece di dire che il Signore crea il male, diciamo che il Signore crea la pace e crea tutto (‘oseh shalom u-bore et ha-kol).
Il male fa parte della creazione, ma secondo questo racconto il male è in realtà un derivato della libertà. Uno dei significati di questo racconto è che nel momento in cui il Signore lascia la prima coppia di esseri umani in uno stadio primordiale, infantile, in cui loro hanno soltanto una scelta da fare, quella di non crescere, ovviamente scelgono di crescere. Il Signore praticamente ha detto loro che se resteranno in questo giardino isolato, avranno soltanto delizie e tranquillità.
Praticamente gli è stato detto che se scelgono la strada dell’uomo che vuole scegliere, la vita non sarà più di delizie, non sarà più uno stipendio assicurato e la tranquillità, ma disseminata di dolori e di durezza. È il passaggio dell’umanità dallo stadio infantile della protezione totale allo stadio adulto.
A proposito delle varie maledizioni che ci sono in questo testo che sembrano terribili, la tradizione sottolinea che le maledizioni sono terribili all’inizio, ma poi si stemperano, diventa tutto più leggero, non è una punizione eterna, ma qualcosa che man mano si alleggerisce. Lo vediamo nella nostra epoca in cui il pane non si ricava con il sudore della fronte, non ci si va ad ammazzare di lavoro in campagna in mezzo alle spine, le donne non partoriscono più con tutto il dolore e soprattutto non muoiono di parto. Tutto sembra immerso in una prospettiva di non angoscia totale, ma un’angoscia iniziale che poi si risolve.
Un’altra prospettiva interessante è come questo capitolo vive il tema del rapporto tra la terra e la donna. In altre strutture mitologiche, soprattutto nel mondo greco e latino, ma anche in altre culture, c’è l’idea della grande madre terra, è la terra che dà la vita, che è portatrice di vita e di morte.
In questo capitolo c’è una divisione fondamentale dei ruoli, perché è la terra che viene in qualche modo maledetta, ma è la donna che rimane portatrice di vita. La grande maledetta è la terra, ma la grande madre è Eva, anche dal punto di vista linguistico: Hawwah è la madre dei viventi, Adamo viene da Hadamah, la terra. L’uomo è legato alla terra, l’elemento maschile porta in sé il senso di questa condanna, laddove la condanna non tocca la donna se non nella procreazione, ma il dono di procreare non glielo toglie nessuno.
Interessante lo scaricabarile di questo racconto. Il Signore se la prende con Adamo, lui scarica la colpa sulla moglie, Eva la scarica sul serpente in un gioco di sistematica irresponsabilità. In qualche modo troviamo questo meccanismo di ricerca della verità nel capitolo successivo, nel racconto parallelo di Caino e Abele.
C’è una parola che torna in entrambi i racconti, la parola dove. Quando Dio cerca Adamo gli dice: “Adamo dove sei?” E quando si rivolge a Caino gli chiede: “dove sta Abele?” Dio sa benissimo la riposta.
La domanda dove? nell’ebraico biblico, può essere espressa con due parole diverse: efo, che è usata in condizioni particolari, e ’ayye. Qui viene usato sempre ’ayye, sia per Adamo che per Caino, ma questa parola non significa soltanto dove stai, ma anche perché stai, qual è il motivo per cui.
È una domanda per capire il motivo, si inizia un processo nel quale si vuol tirare fuori la responsabilità, ma anche la possibilità di venirne fuori. Non è un processo di deresponsabilizzazione, ma di responsabilizzazione.
Il Signore quando parla ad Adamo gli dice: forse hai mangiato dall’albero? (hămin hā‘êṣ). I maestri si sono chiesti questo per storie successive alla Bibbia. C’è una storia che a noi è molto cara, con il suo significato dolce-amaro, la storia della festa di Purim, nella quale si racconta di un perfido primo ministro persiano che voleva sterminare tutti gli ebrei e aveva costruito una forca alta 50 braccia per poterci impiccare il suo nemico Mordechai.
I maestri si chiedono: da dove si deduce che si parla di Haman, il cattivo ministro, già nelle prime pagine della Bibbia? Lo si deduce appunto da questo testo, le vocali non sono presenti nel testo biblico, hămin hā‘êṣ e hăman hā‘êṣ sono la stessa frase, il male del persecutore viene da qui.
C’è un midrash, una interpretazione rabbinica molto interessante per i suoi paralleli con un torrente sotterraneo di comunicazione tra ebraismo e cristianesimo. Il legno della forca di Haman è il legno dell’albero di Adamo ed Eva, così come nella simbologia cristiana il legno della Croce è lo stesso dell’albero di Adamo ed Eva. La tematica è sovrapponibile, come a dire che peccato e salvezza si esprimono in modi diversi nelle due diverse religioni. Nello sviluppo ebraico di questo ragionamento si tratta di una salvezza storica, non escatologica.