David Gianfranco Di Segni*
Rassegna Mensile di Israel – Settembre-Dicembre 2008 – Vol. LXXIV, N. 3
* Dedico con affetto questo lavoro ad Amos Luzzatto, cui mi unisce la cultura ebraica assieme a quella scientifica. E ci capiamo!: queste stesse parole Amos mi ha scritto come dedica sul frontespizio della sua autobiografia, Conta e racconta (Milano, Mursia 2008). Una versione diversa di questo mio lavoro è uscita, in inglese, con il titolo The Music of Chance: On the Origin of Species from a Jewish Perspective, in «Conversations», Winter 2010/5770, 6, pp. 14-28.
Quanto sono grandi le Tue opere, o Signore, molto profondi sono i Tuoi pensieri. L’ignorante non può conoscere né lo stolto potrà comprenderlo (Salmo 92, 6-7)
Una cosa ho domandato al Signore, solo quella chiederò: poter risiedere nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare lo splendore del Signore e meditare nel Suo Palazzo. Commento di Rabbi Abraham Ibn Ezra: «contemplare lo splendore del Signore» – affinché gli si rivelino i segreti della creazione che fino allora non conosceva (Salmo 27, 4)
Mosè disse al Signore: … Ebbene, di grazia, se io trovai favore ai Tuoi occhi, degnati di farmi conoscere le Tue vie affinché io Ti conosca… Allora Mosè disse: Fammi vedere la Tua gloria. Il Signore rispose…: tu Mi vedrai da dietro, ma la Mia faccia è invisibile… (Esodo 33, vv. 12, 13, 18, 19 e 23)
Perché i Miei pensieri non sono i vostri pensieri e le vostre vie non sono le Mie vie, dice il Signore. Come il cielo è alto sopra la terra, così le Mie vie sono più alte delle vostre e i Miei pensieri dei vostri (Isaia 55, 8)
Voglio conoscere come Dio creò questo mondo. Non sono interessato a questo o a quel fenomeno, allo spettro di questo o quell’altro elemento. Voglio conoscere i Suoi pensieri; il resto sono dettagli. … Sembra difficile riuscire a sbirciare fra le carte di Dio (Albert Einstein)**
** Il Salmo 92 è il Mizmor shir le-yom ha-Shabbat, che si recita accogliendo lo Shabbat il venerdì sera. Il Salmo 27 è il Le-David Ha-Shem, che si recita durante il mese di Elul, in cui, il giorno 25, la Creazione ebbe inizio. Il passo dall’Esodo è tradotto da Rav Dario Disegni, in Pentateuco e Haftaroth, Firenze, Giuntina 1998; cfr. il commento di Rashì ad loc., in cui spiega che le vie di cui si parla sono quelle della Provvidenza. La prima citazione di A. Einstein è tratta da E. Salaman, A Talk with Einstein, «The Listener» 54 (1955): 370-371, citato anche in R. W. Clark, Einstein, Milano, Rizzoli 1976 pp. 35 e 667, e in Max Jammer, Einstein and Religion, Princeton University Press 1999, p. 123; la seconda è tratta da A. Einstein, Il lato umano, a cura di H. Dukas e B. Hoffman, Torino, Einaudi 1980 p. 63. Benché il concetto di Dio di Einstein sia evidentemente diverso da quello del Salmista, Mosè o Isaia, l’anelito dell’Homo religiosus e dell’Homo scientificus a svelare i misteri del mondo è qualcosa che certamente hanno in comune, e così anche la sensazione della difficoltà insita in questo intento.
Nel 2009, per una coincidenza forse non voluta, in molte parti del mondo si sono celebrati due doppi anniversari: una duplice ricorrenza per l’astronomia e un’altra per la biologia. Il 2009 è stato, infatti, il quarto centenario dalle prime osservazioni celesti effettuate da Galileo con il cannocchiale da lui «inventato dopo aver ricevuto l’illuminazione della grazia divina», che nel giro di pochi mesi l’avrebbe portato a trovare prove a favore del sistema copernicano, eliocentrico, contrapposto a quello tolemaico-aristotelico, geocentrico. Galileo avrebbe pubblicato le sue scoperte il 12 marzo 1610 nel Sidereus Nuncius, il cui titolo completo recita (in trad. it.): «Avviso astronomico, che contiene e spiega osservazioni di recente condotte con l’aiuto di un nuovo occhiale sulla faccia della Luna, sulla Via Lattea e le Nebulose, su innumerevoli stelle fisse, e su quattro pianeti detti Astri Medicei non mai finora veduti».[1] Il 2009 è stato anche il quarto centenario da quando, nel 1609, Johannes Keplero pubblicò l’Astronomia nova, dove enunciava le prime due delle sue leggi sul moto dei pianeti attorno al Sole. Per questa doppia ricorrenza il 2009 è stato designato l’Anno internazionale dell’astronomia. Galileo pagò cara la sua difesa del sistema copernicano, dovendo subire ben due processi da parte della Chiesa cattolica, nel 1616 e nel 1633, e alla fine fu costretto all’abiura e agli arresti domiciliari a vita.[2] Nel 1616 fu anche messo all’Indice dei libri proibiti dalla Chiesa cattolica il De revolutionibus di Niccolò Copernico, benché fosse stato pubblicato già da tempo, nel 1543. È interessante notare che i protestanti osteggiarono la teoria copernicana fin dall’inizio: Martin Lutero, nel 1539, aveva infatti detto di Copernico che era «un matto che vorrebbe rivoluzionare l’intera astronomia. Ma la Sacra Scrittura mostra che Giosuè ha ordinato al Sole, non alla Terra, di fermarsi».[3]
Nei due secoli successivi sembrava che il conflitto fra scienza e religione fosse ormai destinato ad appianarsi, e nel 1835 le opere di Copernico e di Galileo furono tolte dall’Indice dei libri proibiti.[4] A metà dell’800, tuttavia, si ebbe un nuovo, forse ancor più furioso scontro. Charles Darwin (1809-1882), che nel 2009 è stato doppiamente celebrato essendo il duecentesimo anno dalla nascita e il centocinquantesimo dalla pubblicazione (nel 1859) del suo lavoro più noto, L’origine delle specie, avrebbe infatti inferto un nuovo colpo alla visione del mondo prospettata dalla religione. Darwin aveva teorizzato l’evoluzione di tutte le specie viventi da un antenato comune. Secondo la sua teoria, simile a quella cui era giunto, indipendentemente, anche Alfred R. Wallace, gli esseri viventi si sono modificati nel corso di migliaia o milioni di anni dando origine a nuove specie. Ciò contrasta con l’interpretazione tradizionale del testo biblico secondo la quale tutte le piante e gli animali furono creati come singole specie al momento della creazione. Fatto altrettanto grave agli occhi dell’establishment religioso, Darwin, pubblicando l’Origine dell’Uomo nel 1871, detronizzava l’Homo sapiens dal suo posto privilegiato fra gli esseri viventi, culmine della Creazione divina. Non solo la Terra non era più al centro dell’Universo, girando attorno al Sole, ma anche l’Uomo non era più al centro della creazione e derivava da una scimmia.[5]
Darwin era consapevole della portata rivoluzionaria della sua teoria: in una lettera a un amico scrisse che il diffonderla era per lui «come confessare un omicidio».[6] Da dove nasce il conflitto fra le scoperte scientifiche nell’astronomia e nella biologia e la religione? Il contrasto con l’interpretazione letterale del testo biblico è certamente considerato un problema. Il decreto di condanna di Galileo da parte del Sant’Offizio diceva esplicitamente che egli era «vehementemente sospetto d’heresia, cioè d’haver tenuto, e creduto dottrina falsa e contraria alle sacre e divine scritture…».[7] Il mettere in discussione il senso letterale del testo è problematico perché se alcuni passi della Bibbia non sono intesi in senso letterale, ugualmente sarà possibile farlo anche in altri casi. In realtà, è evidente che non tutta la Bibbia può essere intesa letteralmente (ad esempio, le espressioni antropomorfe riferite alla Divinità vanno chiaramente interpretate in senso allegorico): tuttavia, la tendenza delle autorità religiose è di minimizzare i casi in cui si ricorre a un senso allegorico. Come vedremo, quanto più una religione ha un patrimonio di tradizione interpretativa orale, associata al testo scritto, tanto più facile è ricorrere a un senso diverso da quello letterale. L’ebraismo, da questo punto di vista, ha ampi spazi in cui muoversi, ma anche presso alcuni pensatori ebrei il testo biblico va prevalentemente inteso nel suo senso letterale.
C’è un altro motivo, del tutto diverso, per cui si ritiene che le conquiste scientifiche possano causare un problema alla religione. La fisica, dal 1600 in poi, soprattutto dopo la sistematizzazione magistrale operata da Isaac Newton e continuata dai suoi successori, ha fornito una spiegazione razionale del movimento degli astri celesti e di tanti altri fenomeni naturali.
Ugualmente, la biologia negli ultimi centocinquanta anni, in particolare dopo la scoperta della struttura del DNA e del codice genetico, ha descritto nei dettagli i meccanismi fondamentali della vita e, con la teoria dell’evoluzione, ha fornito una spiegazione naturale all’enorme diversità degli esseri viventi unita a una loro essenziale uniformità strutturale. Come rispose l’astronomo e matematico P. S. Laplace a Napoleone, non c’è bisogno di Dio per spiegare il funzionamento del mondo. Il Creatore ne è, semmai, la «causa prima», ma dopo che il mondo è stato messo in moto va avanti secondo le leggi naturali (le «cause seconde»). Questa concezione può apparire incompatibile con la visione religiosa tradizionale di Dio che si cura del mondo giorno per giorno.
L’analogia fra astronomia e biologia, che sarebbe diventata un topos nella polemica pro e contro l’evoluzionismo dopo la pubblicazione dell’Origine delle specie, con Darwin nelle vesti di un novello Copernico/Galileo, era chiara già a Darwin stesso, che quindici anni prima, nell’Abbozzo della teoria scritto nel 1842 (ma non pubblicato), diceva:
[…] che direbbe l’Astronomo a proposito della dottrina secondo la quale i pianeti si muoverebbero sì secondo la legge di gravità, ma perché il Creatore ha voluto che ogni singolo pianeta si muovesse nella sua orbita particolare? Io credo che una tal proposizione … sarebbe legittima quanto l’ammissione che certi gruppi di organismi viventi ed estinti, nella loro distribuzione, nella loro struttura e nelle relazioni che intrattengono fra di loro e con le condizioni esterne, sono conformi alla teoria e mostrano i segni di una discendenza comune, eppure furono creati separatamente.[8]
In questo articolo esporrò brevemente alcune reazioni del mondo ebraico tradizionale a questa nuova visione del mondo, in particolare alla teoria di Darwin.[9] Rimando a un’altra occasione l’analisi delle reazioni ebraiche (che pur ci sono state, sia positive sia negative) alla teoria copernicana.[10]
I rabbini Benamozegh e Castiglioni
Non è forse una coincidenza che dei pochi pensatori ebrei che si occuparono della teoria dell’evoluzione nell’800 ben due furono italiani. Il primo pensatore ebreo che affrontò con un certo risalto l’opera di Darwin fu probabilmente rav Eliyahu Benamozegh (1822-1900), il grande rabbino e cabbalista di Livorno. In più punti delle sue opere egli nomina Darwin, in particolare nel commento alla Torà Em laMiqrà, pubblicato in ebraico a Livorno nel 1863 pochi anni dopo il capolavoro di Darwin. In un lungo passaggio a commento del divieto della Torà di mescolare specie diverse così scrive all’inizio:
Sembra chiaro che secondo l’opinione dell’Autore della Torà le specie animali sono intrinsecamente e permanentemente differenti l’una dall’altra e che ogni singola specie ha il suo inizio al momento della creazione. Vedo però che gli scienziati moderni, guidati da Darwin, hanno modificato le loro idee e dicono che le specie non sono entità immutabili ma sono derivate le une dalle altre… (comm. a Deut. 22, 10).
Rav Benamozegh, nel seguito del commento, critica la teoria di Darwin («una teoria del tutto nuova che ha appena mosso i primi passi e chissà se resisterà ancora a lungo»). Il suo rifiuto, tuttavia, non si basa su considerazioni dottrinali o teologiche, bensì logico-concettuali, sulla base delle scarse conoscenze dell’epoca.[11]11 Non sembra che Benamozegh veda nella teoria dell’evoluzione un insanabile ostacolo alla visione ebraica e non è un fautore della lettura letterale della Bibbia, che anzi respinge:
Recentemente, alcuni ricercatori hanno voluto spiegare che quei giorni [del libro della Genesi] non devono essere intesi in senso letterale ma corrispondono a mille anni o più. Ciò non è affatto nuovo, giacché ho visto che così ha scritto anche R. Avraham Ibn Ezra (Otzar Nechmad 2:215), che è d’accordo con il saggio che afferma che un giorno durava mille anni; e chissà, forse questo è ciò che intendevano dire i nostri Saggi quando dissero [in Bereshit Rabbà 3:7]: «Ciò ci insegna che c’era un ordine temporale precedente». (Em laMiqrà, comm. a Gen. 1, 5, p. 4b).
Rav Benamozegh cerca di armonizzare la Torà con le scoperte scientifiche, come afferma esplicitamente: «Le parole della Torà non possono essere capite se non in relazione con la tradizione orale, perché senza di questa non saremmo in grado di vederne la connessione con la scienza e le scoperte naturali degli ultimi tempi» (ivi p. 5b). In seguito avrebbe scritto:
Credo come insegna la Scienza che le forme animali sono apparse sulla terra sempre più perfette, che sia per rivoluzioni o cataclismi come voleva l’antica geologia con Cuvier, sia per lenti evoluzioni come vuole la moderna con Lyell, Darwin ed altri, specie e generi sempre più perfetti siansi succeduti per milioni di anni sulla faccia della terra. La forma sin ora più perfetta è l’uomo.
Ma la natura si fermerà qui? Questo davvero sarebbe strano. All’umanità presente, come ben dice Renan, un’altra più perfetta Umanità dovrà subentrare.[12]
Alcune decine d’anni dopo, un altro rabbino italiano, Vittorio Castiglioni (1840-1911), che sarebbe diventato rabbino capo di Roma all’inizio del Novecento, affrontò il problema dell’origine delle specie viventi, in particolare dell’Uomo, in Pe’er Adam («la Gloria dell’Uomo: Studi sulla creazione dell’Uomo e la sua dispersione sulla Terra, secondo il racconto della Torà e le opinioni degli scienziati della natura» – vedi la copertina in ebraico e latino nelle pagine seguenti), un libretto di 29 pagine pubblicato in ebraico a Trieste e Cracovia nel 1892. All’inizio del suo scritto Castiglioni si rivolge al lettore chiedendosi se sia giustificato il voler conciliare il testo biblico con le conclusioni cui giungono gli scienziati o si debba piuttosto accettare «a occhi chiusi» quanto il testo letterale dice riguardo argomenti scientifici. E risponde a sé stesso e al lettore che la tradizione ebraica vede con favore l’uso dell’intelletto: se si negassero i risultati della scienza moderna l’ebraismo si renderebbe ridicolo agli occhi del mondo, senza peraltro rafforzare la fede. Queste sono le sue parole in alcuni passaggi (in trad. it.):
Tanto le parole della Torà quanto i detti dei Rabbini nella Mishnà, nel Talmud e negli altri libri della tradizione che parlano a favore della libertà dell’intelletto e del pensiero nelle nostre indagini concordano con l’indurci a ritenere che siamo autorizzati da D. stesso a tentare di rafforzare la nostra fede con tutte le nostre possibilità, sia sulla base dei nostri libri e della nostra tradizione sia sulla base di quanto hanno insegnato i grandi sapienti del mondo, ebrei e non-ebrei che siano, giacché si può godere della luce a prescindere da chi l’abbia accesa. (p. 5)
Esaminerò ora l’opinione degli scienziati che ritengono e cercano di dimostrare con chiare prove che tutte le creature si sono formate per mezzo della «teoria della selezione»[13] l’una dall’altra, la specie più perfetta derivata da quella precedente, simile ad essa ma inferiore, fino alla comparsa dell’Homo sapiens dalle scimmie. Come possiamo conciliare questa teoria con quanto narrato riguardo alla creazione dell’uomo? E se la scienza riuscirà a dimostrare con prove chiare e irrefutabili quanto afferma, potremmo forse smentirla basandoci solo sulla Torà? Non ci dovrebbe bastare che non c’è alcuna dottrina filosofica al mondo che possa negare la possibilità dell’esistenza del Creatore o che Egli ci abbia rivelato la Sua eccelsa Torà, mettendola in dubbio? Che giovamento avremmo se ci intestardissimo a non voler ammettere che i nostri libri possono sbagliare nei passi narrativi o in altri casi che riguardano argomenti scientifici? (p. 12)
Non c’è motivo di pensare che i nuovi esseri si siano modificati improvvisamente invece che nel corso di migliaia di anni, dato che la parola «giorno» nel racconto della creazione non va intesa nel senso di 24 ore, come i nostri rabbini già insegnarono. Ugualmente, non è appropriato affermare che ogni singola creatura sia un’opera a sé stante del Creatore: solo l’Uomo pensa e poi mette in atto i suoi pensieri, invece per il Creatore il pensiero e l’azione coincidono; tutto ciò che Egli ha pensato di fare, in quel momento stesso già esisteva nel Suo pensiero, perché davanti a Lui non c’è né passato né futuro bensì solo il presente. (p. 14)
Se invece studiamo con amore e assennatezza i libri che ci hanno tramandato i pensieri dei nostri antichi padri troveremo molte allusioni che concordano con le scoperte recenti che sembra vadano contro le opinioni degli antichi. (p. 19)
Potremmo forse negare l’evidenza dei fossili trovati scavando sotto terra, che i nostri occhi hanno visto e le nostre mani hanno toccato? Potremmo contraddire la veridicità delle teorie geologiche come ci sono illustrate dagli scienziati attraverso prove sperimentali e dire che sono falsità? Se facessimo così, saremmo oggetto di ridicolo ai loro occhi, perché non si tratta di idee fantasiose o opinioni che si possono smentire, bensì fatti concreti la cui veridicità tutti possono constatare. Forse che il nostro rinnegarli senza prove concrete e razionali rafforzerebbe la fede nel testo biblico? (p. 22)
Il rabbino Castiglioni, come prima di lui Rav Benamozegh, cerca di armonizzare la scienza con l’ebraismo. L’interpretazione letterale del testo biblico, alla luce dell’evidenza scientifica, va abbandonata. Un giorno non è necessariamente costituito di 24 ore, come già dissero i Maestri del Talmud (Benamozegh e Castiglioni si riferiscono al midrash secondo cui «un giorno» divino equivale a mille anni, o più, terreni, che a sua volta si basa sul verso dei Salmi 90, 4). La selezione naturale, che è il motore dell’evoluzione, agisce perché Dio ha così designato: Dio ha creato la materia impartendo ad essa la capacità di cambiare e assumere nuove forme.[14]
Il dibattito sulle pagine del «Vessillo israelitico» a fine ’800
La teoria di Darwin suscitò un vivace dibattito nell’ebraismo italiano della seconda metà dell’Ottocento sulle pagine dei giornali «Il Corriere israelitico» e «Il Vessillo israelitico», a cui parteciparono laici e rabbini di diverse tendenze, modernisti e tradizionalisti.[15] Il rabbino Isaia Levi, da Mantova, così scriveva sul «Vessillo» nel marzo 1897 in un articolo intitolato «Scienza e religione»:
Le obiezioni, che i dotti in iscienza naturale muovono al testo Biblico, vanno esaminate, studiate, a parer mio, non coll’ostinarsi a voler sostenere l’insostenibile, ma coll’insistere nel ben distinguere fatti e cose. In tal modo mentre si riesce a fare spiccare viepiù la esattezza del racconto Biblico, senza urtare il vero, e senza cadere in sofismi e paradossi, si dà lustro alla Fede in Dio, conciliandola colla vera scienza. […] Ad esempio, chi non sa, la parte lignea degli alberi aumentarsi d’uno strato nel corso d’un dato volgersi d’anni? Ciò è talmente noto, che dall’osservare il tronco di un dato albero, reciso in senso orizzontale, se ne arguisce, con precisione, l’età. Ora, in certe parti del globo, trovansi alberi giganteschi, i quali accusano vita di migliaia e migliaia di anni, superiori, in numero, a quelli della cronologia Biblica, comunemente adottata. Come conciliare tale apparente contraddizione?
Non già col prorompere in avventate e superficiali accuse, ma distinguendo l’età del globo terracqueo, in relazione coll’universo tutto, da quello del genere umano… [… Il] Sommo Dio […] preferì creare d’un tratto il tutto, decretando però che la materia andasse gradatamente disponendosi, ordinandosi, assestandosi, in epoche più o meno lunghe, non in giorni di ventiquattro ore. In tal modo scompare il divario, che nasce dallo studio della natura, e quello che risulta dallo attenersi strettamente alle parole del testo Biblico. Non esiste antagonismo. Niun dubbio oscura il vero, e la Sacra Scrittura concorda colla scienza perfezionata, la quale dimostra pure, essere stata la terra sconvolta da tremende catastrofi, spaventosi cataclismi, in epoche antichissime, remote, prima della creazione dell’uomo. Ma ciò, anche, venne intuito dai savii nostri, che in Berescid Rabbà lasciarono scritto…[16]
Al rabbino Levi rispondeva da Ancona il 25 aprile 1897 il rabbino Isacco Raffaele Tedeschi (Ancona 1826-1908), che continuando altri suoi precedenti interventi sul «Vessillo» intitolati I sei giorni della creazione, considerati secondo la Bibbia e la scienza, in cui sosteneva che i giorni del racconto della creazione vanno intesi come «giorni naturali della durata di ore ventiquattro»,[17] scriveva:
[…] stimo far osservare come quelle due proposizioni aggadiche, nelle quali il Rabbino maggiore Isaia Levi nell’articolo «Scienza e religione» inserito nella puntata del Vessillo recente, vorrebbe trovare un appoggio od un’allusione alla tesi geologica di lunghi, indeterminati periodi, non ci sembrano d’alcun peso. […] Quella proposizione del Medrasc non può spiegarsi che in senso mistico volendo attenersi all’opinione dei teosofi, od intenderla in senso metaforico, per significare cioè l’atto del Creatore nel vagliare tra vari tipi ed attenersi a quello che nella infinita Sua sapienza giudicò più opportuno, nella creazione dell’universo.[18]
Qualche anno prima, nel 1892, «Il Vessillo» aveva pubblicato una domanda di un lettore che si firmava «Un ignorante che ama istruirsi», il quale chiedeva: «Le teorie di Darwin possono in qualche modo spiegarsi col racconto biblico?».[19] Nei fascicoli successivi arrivarono diverse risposte, fra cui quella del darwinista convinto rag. Samuele Levi di Savona, che nel febbraio del 1892 scrisse una lunga risposta intitolata La cosmogonia biblica e le teorie darwiniane che iniziava così:
Il pseudo Ignorante che ha fatto questa domanda, mosso forse dal desiderio di vedere fino a qual punto scienza e religione possano camminare di pari passo, non si è certo dissimulato quanto essa sia arrischiata e l’ha gettata nel campo dei minuti conoscitori della Bibbia, curioso di vederli arrabattarsi a ricercare nei sacri testi un qualcosa che abbia relazione con le teorie darwiniane. Non dico che il desiderio de l’egregio Ignorante non sarebbe pienamente soddisfatto se fossero ancora in uso i precetti di logica dell’esegesi talmudica, ma ora il metodo sperimentale si è infiltrato anche nelle scienze speculative e sarà ben difficile, alla stregua dei fatti positivi, il trovare un nesso veramente serio fra il racconto biblico e le teorie dell’evoluzione.
Dopo aver sostenuto che la «cosmogonia mosaica è una concezione talmente puerile, talmente antiscientifica che non potrà mai neppure lontanamente conciliarsi con la scienza moderna ed in ispecial modo col Darwin, il quale mostra chiaramente di volersi staccare dal sistema biblico», Levi conclude però con un’apertura alla sensibilità dei credenti, che non vuole offendere, e scrive:
[…] allo scopo di calmare la sua [dell’egregio Ignorante] coscienza di credente, per non lasciarlo invadere dal timore di dover abiurare alle di lui convinzioni religiose accettando i postulati darwiniani, ricorderò che la domenica dopo la morte del Darwin, un pastore anglicano disse dal pulpito: «Fra i più grandi interpreti della parola di Dio, deve sempre avere un alto ed onorevole posto Carlo Darwin». Si noti poi che la religione anglicana, come tutte le religioni cristiane accetta l’antico Testamento e perciò la cosmogonia mosaica.[20]20
Una nota redazionale, presumibilmente del direttore del «Vessillo», il rabbino cav. Flaminio Servi (Pitigliano 1841-Casale Monferrato 1904), prendeva le distanze dallo scritto di Samuele Levi («pubblichiamo volentieri l’articolo del nostro simpatico amico senza dividerne tutte le opinioni»). Nei numeri successivi arrivarono diverse repliche a S. Levi, fra cui quella del rabbino Donato Camerini (Reggio Emilia 1866-1921, ordinato chaver dal rabbino Isaia Levi citato sopra), che da Pitigliano, dove era rabbino nel marzo 1892, così scriveva in una lunga lettera:
Per più ragioni non avevo pensato a rispondere alla domanda del Vessillo sul darwinismo, non ultima quella che mi pare si possa occupare meglio il tempo che a mettere d’accordo la Bibbia, codice divino ed eterno con certe ipotesi scientifiche, le quali, come ebbi a dire in un mio sermone «una generazione fa e l’altra distrugge». Ma l’articolo del signor Rag. Levi mi spinge proprio a dirne qualche cosa. Padronissimo lo scrittore di essere darwinista fin che vuole, ma, mi pare, dovrebbe avere un po’ più di rispetto per la Bibbia, per questo libro dei libri, che ha visto passare e finire nell’oblio tante teorie scientifiche ed essa è rimasta sempre immutabile, sempre viva, come l’anima dopo la dissoluzione del corpo.
Dopo aver definito il darwinismo «un’ipotesi; null’altro che un’ipotesi, ipotesi nata da men di un secolo» e richiamato alla memoria del signor Levi altre teorie ormai dimenticate, come quelle dei «quattro elementi, degli umori freddi, caldi e secchi, dei fluidi, dell’orrore del vuoto e tante altre», Rav Camerini scrive:
Chi, dunque, lo garantisce della verità assoluta del darwinismo che egli non esita a dichiarare puerile il racconto biblico perché non collima, in tutto e per tutto con quello? […] Per me, ripeto, non trovo niente affatto necessario questo collimare. […] È inutile che la scienza si ostini a non voler vedere nell’uomo altro che materia; per convincerci di ciò non le rimangono che due espedienti: o strapparci questo pensiero che aleggia entro di noi e si innalza al di sopra della carne, o dimostrarci che è la materia che pensa e che ragiona, producendo sotto i nostri occhi un essere inanimato che pensi e ragioni.[21]
Come abbiamo visto da questa breve rassegna, le posizioni erano le più diverse, andando dai tentativi di armonizzare la teoria dell’evoluzione con il testo biblico fino all’impossibilità di operare una tale sintesi e quindi la necessità di scegliere l’una o l’altra visione; o infine, la possibilità della convivenza di entrambi i punti di vista, quello religioso e quello scientifico, ma in sfere separate, la posizione che un secolo dopo verrà chiamata da Stephen J. Gould, il grande evoluzionista scomparso di recente, con il termine «i due Magisteri non sovrapposti».[22]
Le posizioni dei rabbini Israel Lifschitz, Naphtali Levi e Samson Rafael Hirsch
Nell’Europa del centro-nord, Rabbi Israel Lifshitz (1782-1860), uno dei più importanti rabbini del suo tempo, autore del famoso commento alla Mishnà Tiferet Israel, tenne una volta un sermone a Danzica durante la festa di Pesach agli inizi degli anni ’40 del XIX secolo. In questo discorso Rabbi Lifshitz parlò fra l’altro delle scoperte di resti fossili di animali e uomini preistorici, addirittura invitando i membri della propria congregazione a visitare il museo zoologico di S. Pietroburgo (notare che era ben prima del 1859, l’anno di pubblicazione dell’Origine delle Specie di Darwin).[23] Nel sermone Rabbi Lifschitz affermò che il primo verso della Torà si riferisce all’atto creativo originale, mentre il secondo («e la terra era informe e vuota») si riferisce alle epoche di sconvolgimenti e distruzioni che precedettero l’attuale mondo, sulle quali la Torà non si dilunga non essendo per noi rilevanti. Aggiunge anche che gli uomini preistorici di cui sono stati trovati i resti sono quelli a cui si riferisce il Talmud (Chagigà 13b-14a) quando parla delle generazioni che precedettero Adamo.[24]
Un’opera che affrontò direttamente la teoria di Darwin è Toledot adam (La nascita dell’uomo), di Naphtali Levi (Polonia-Inghilterra, 1840-1894).[25] Levi, uno studioso che si destreggiava bene sia negli studi sacri che in quelli generali, tipico rappresentante dell’ortodossia moderna, mandò il suo libro, scritto in ebraico, a Darwin con una lettera di accompagnamento, anch’essa scritta in ebraico. Darwin incaricò Henry Bradshaw, bibliotecario della Cambridge University, di fare tradurre la lettera da un «learned Rabbi». La lettera iniziava, nello stile ampolloso tipico dell’epoca, con le parole «al Signore, il Principe, che “si erge come un vessillo dei popoli”, l’Investigatore della generazione, “brillante figlio del mattino”, Charles Darwin, che possa vivere!».[26] Anche nel libro Levi parla con molta stima di Darwin, colui «la cui gloria riempie il mondo delle scienze». Levi afferma di aver deciso di scrivere Toledot adam, indirizzato ai propri correligionari, per mostrare loro che la teoria di Darwin è già contenuta nella Torà e nella dottrina ebraica tradizionale. Darwin fece riferimento al libro di Levi in diverse occasioni; per esempio, nella Autobiografia, dove scrive: «È comparso anche un saggio in ebraico, in cui si dimostra che la mia teoria è contenuta nel Vecchio Testamento!».[27] Darwin, in una lettera a Bradshaw, definì il testo di Levi come «a real curiosity» e spedì a Levi uno dei suoi libri con una dedica che diceva «to the illustrious Hebrew author, from the author Darwin». In un’altra occasione Darwin scrisse del libro di Levi come di un testo che dimostrava che l’evoluzione è un’antica dottrina e che gli ebrei ortodossi possono recepirla senza timore.[28] Notevole quanto raccontò, più tardi, un’amica di Darwin, Louisa Nash, secondo la quale Darwin disse che la lettera di Naphtali Levi fu «il miglior tipo di lode che avesse mai ricevuto».[29] È possibile che l’opera di Levi fece sì che Darwin rivedesse i suoi giudizi non proprio lusinghieri espressi in passato nei confronti degli ebrei e dell’ebraismo. Meno bene fece invece a Levi stesso, che poco dopo aver spedito il libro a Darwin emigrò a Londra, come molti altri ebrei polacchi, ed ebbe problemi con la comunità ebraica locale proprio per le sue idee evoluzionistiche.[30]
In Germania, la voce più autorevole a favore di un’armonizzazione fra la tradizione ebraica e la teoria dell’evoluzione fu quella di Rabbi Samson Raphael Hirsch (1808-1888), il fondatore e massimo esponente del cosiddetto movimento neo-ortodosso. Egli scrisse che, benché non considerasse la teoria dell’evoluzione una ipotesi già dimostrata, se in futuro la scienza dovesse portare prove reali a suo favore, ciò non porrebbe un problema per la fede ebraica:
Anche se questa teoria [dell’evoluzione] dovesse essere completamente accettata dalla comunità scientifica […] in tal caso l’ebraismo richiederà dai suoi adepti di onorare ancora di più l’Unico Dio il Quale nella Sua illimitata saggezza creativa ed eterna onnipotenza non ebbe bisogno di creare se non un singolo nucleo amorfo e una singola legge «di adattamento ed eredità» per dare vita, da un apparente caos ma in realtà un ordine ben definito, alla varietà infinita di specie che noi oggi conosciamo, ciascuna con le sue uniche caratteristiche che la differenzia da tutte le altre creature.[31]
Le reazioni alla teoria dell’evoluzione nel primo Novecento: Rav Abraham Kook e Rav Isaac Herzog
Con l’inizio del ’900, particolarmente rilevante è stata la voce di Rav Abraham I. Kook (1865-1935), primo Rabbino Capo di Israele e uno fra i pensatori religiosi più profondi e importanti dei nostri tempi. Rav Kook, riferendosi alle scoperte scientifiche che contrastano con il senso letterale della Torà e in particolare alla teoria dell’evoluzione, scrive:
La mia opinione è che […] non siamo affatto obbligati a smentirle e a opporci ad esse, poiché lo scopo principale della Torà non è di raccontarci semplici fatti. Quello che conta veramente è il significato interiore. (Lettere, I, 105) Non vi è nessuna difficoltà nel conciliare i versi della Torà o degli altri testi tradizionali con una concezione evoluzionistica. Ognuno sa che qui [nella Torà] è il regno della parabola, l’allegoria e l’allusione […] il vero significato di quel verso o di quel detto va ricercato nell’ambito dei segreti della Torà, assai oltre il senso piano del poema sublime che si nasconde fra quelle antiche frasi. (Orot Ha-Qodesh, II, p. 542)
Se il testo dovesse essere interpretato letteralmente, che segreto ci sarebbe? (Lettere, I, 91) La teoria dell’evoluzione che sta ora conquistando il mondo è quella che si conforma ai segreti della Qabbalà più di qualsiasi altra teoria filosofica. L’evoluzione, che procede in senso ascendente, fornisce un fondamento ottimistico al mondo, perché come si fa a disperare quando si vede che tutto si evolve e sale? Quando si penetra nel significato interiore dell’evoluzione ascendente, troviamo in essa un elemento divino che risplende con una brillantezza assoluta. È precisamente l’Eyn Sof [Infinito] in atto che ha realizzato l’Eyn Sof in potenza. (Orot Ha-Qodesh II, p. 537)
Questi sono solo alcuni dei numerosi passi in cui Rav Kook affronta l’argomento. Egli vede una totale armonia fra l’evoluzione della vita e il misticismo ebraico, secondo cui il mondo è in continuo progresso verso la perfezione ultima.[32] La moderna teoria dell’evoluzione è, in vero, molto meno propensa a una visione così ottimistica della vita, ma è importante il fatto che per Rav Kook non c’era una contraddizione originata da una lettura letterale del testo biblico.
Il successore di Rav Kook fu Rav Isaac Halevi Herzog (1888-1959), nato in Polonia ed emigrato da bambino, con la famiglia, in Inghilterra. Oltre alla laurea rabbinica, conseguì un Ph. D. in biologia marina presso la London University. Fu nominato Rabbino Capo d’Israele nel 1937. L’approccio positivo alla cultura scientifica era connaturato alla preparazione di Rav Herzog. Le opinioni dei Saggi del Talmud – così dice – non possono essere accettate quando esse contrastano con la conoscenza scientifica acquisita ai nostri giorni, uniformandosi con ciò alla posizione del Maimonide[33] e di suo figlio Rav Avraham Maimoni, che aveva scritto: «Il fatto che noi ci inchiniamo all’autorità dei Saggi del Talmud in tutto ciò che attiene all’interpretazione della Torà e ai suoi principi e dettagli non comporta che noi dobbiamo accettare acriticamente tutti i loro detti in materie scientifiche, come la medicina, la fisica e l’astronomia».[34] L’atteggiamento di Rav Herzog nei confronti della teoria dell’evoluzione fu di cautela, meno entusiastico di quello di Rav Kook, conscio che a metà del XX secolo il problema non era più solo di ordine teologico-religioso bensì politico. Il mondo religioso, infatti, sia generale sia quello specificamente ebraico, ormai vedeva nella scienza, in particolare nel darwinismo, una minaccia alle concezioni religiose.[35]
Le reazioni ebraiche alla teoria dell’evoluzione dal secondo Novecento a oggi
I diversi rabbini e pensatori che abbiamo fin qui citato, come Lifschitz, Benamozegh, Levi, Hirsch, Castiglioni, Kook e Herzog (la lista non è esaustiva), cercarono tutti di armonizzare le conoscenze scientifiche con la tradizione ebraica. Pur con le cautele con cui alcuni di questi accolsero la teoria dell’evoluzione, alla base della loro posizione stava il fatto che in ultima analisi non poteva esserci contraddizione fra Torà e scienza, inclusa la scienza della vita. Durante il Novecento, però, le cose iniziarono a cambiare. Quando molti giovani ebrei entrarono nell’arena degli studi non ebraici, in particolare scientifici, per poi immettersi nel mondo del lavoro o dell’accademia, e andavano sempre più adottando modi di vita non sempre legati alla tradizione, i rabbini videro la scienza e in particolare la teoria dell’evoluzione come una minaccia da contrattaccare.
Indicativa di questa tendenza è la posizione di Rabbi Menachem Mendel Schneersohn (1902-1994), il Rebbe dei Lubavitch, un movimento chassidico charedì,[36] che in diversi scritti affronta il problema dei rapporti fra Torà e scienza. Nelle sue argomentazioni il Rebbe, una delle personalità più eminenti e influenti nel mondo ebraico della seconda metà del XX secolo, mostra una notevole familiarità con i metodi e le teorie della scienza, che gli deriva dall’aver studiato da giovane materie scientifiche in diverse università (a Berlino e alla Sorbona). Il suo atteggiamento verso la scienza non è in generale negativo, ma l’interpretazione letterale del testo biblico non è messa in discussione. Di conseguenza, la teoria dell’evoluzione è del tutto da rifiutare e così anche un’età del mondo diversa da quella tradizionale (ossia circa 6000 anni).[37] La novità, rispetto ad altre posizioni del passato che rifiutavano una visione diversa da quella tradizionale, è che Rav Schneersohn cerca di dimostrare le proprie idee attraverso argomentazioni di tipo scientifico (o presunte tali). La posizione del Lubavitcher Rebbe e di molti altri nel mondo charedì si appoggia in genere sulle opinioni di scienziati ebrei credenti e praticanti, o anche non-ebrei, soprattutto matematici e fisici, secondo i quali la teoria dell’evoluzione è considerata errata o quanto meno incompleta scientificamente e non sufficientemente convincente.[38] In questo atteggiamento, probabilmente, gioca il fatto che una teoria che non è esprimibile attraverso equazioni matematiche viene vista con supponenza dai matematici e fisici, come se non fosse vera scienza.[39]
In realtà, a parte il fatto che la genetica delle popolazioni, che è alla base della teoria dell’evoluzione, è piena di equazioni matematiche e di analisi statistiche, e che la biologia molecolare si basa grandemente sull’analisi cristallografica delle macromolecole biologiche (DNA, RNA, proteine) per mezzo dei raggi X, che ha chiaramente una formulazione fisico-matematica, affermare che una scienza che non si esprime matematicamente non ha fondamento significa non comprendere la peculiarità delle diverse branche scientifiche: ci sono diversi metodi per affermare la consistenza logica e la veridicità di una teoria.
Fra i fisici ebrei che si oppongono alla teoria dell’evoluzione darwiniana è interessante il caso di Nathan Aviezer. Noto professore di fisica laureatosi all’università di Chicago e poi immigrato in Israele, dove è stato docente e preside del Dipartimento di fisica all’università Bar-Ilan, Aviezer ha scritto il best-seller In the beginning, tradotto in varie lingue, dove cerca di armonizzare le scoperte scientifiche con il testo della Torà. Il primo capitolo della Genesi sarebbe del tutto coerente con quanto la scienza, in particolare la teoria del Big Bang, ci dice sull’origine dell’universo, inclusa la datazione di più di 10 miliardi di anni. I sei giorni non sono giorni di 24 ore, bensì sei ere (e in questo si differenzia dal Lubavitcher Rebbe). Tuttavia, quando arriva a discutere dell’origine e sviluppo della vita, Aviezer sostiene che «la teoria dell’evoluzione di Darwin è incompatibile con i dati scientifici attuali. [D’altronde] un’attenta lettura del testo biblico rivela che esso è, di fatto, consistente con l’idea che gli animali odierni si sono sviluppati da animali precedenti».[40] Aviezer accetta l’idea di un’evoluzione degli esseri viventi, ma lo fa solo dopo aver sferrato un attacco frontale alla teoria di Darwin, sulla base dei problemi ancora irrisolti dalla teoria moderna dell’evoluzione o risolti diversamente rispetto a quella originale formulata da Darwin: l’importante è «smontare» il valore attuale delle idee di Darwin (pur riconoscendogli una statura scientifica di assoluta grandezza per la scienza del suo tempo). Un motivo per cui Aviezer è così deciso nell’attaccare Darwin sta nel fatto che la teoria dell’evoluzione è vista come quella che maggiormente contrasta l’ebraismo: molti ebrei credenti si sentirebbero a disagio, così ritiene, nel riconoscere che c’è compatibilità fra la teoria di Darwin e la Torà.[41]
Il prof. Aviezer è stato duramente criticato da entrambi i fronti: da una parte la corrente charedit («ultra-ortodossa») lo ha attaccato per il fatto che egli, un ebreo religioso e osservante, accetta un universo vecchio di miliardi di anni, ammette l’esistenza dei dinosauri e una qualche forma di evoluzione; dall’altra, è stato aspramente criticato dai biologi, studiosi dell’evoluzione, come il prof. Raphael Falk del Dipartimento di Genetica della Università ebraica di Gerusalemme, che ha scritto che Aviezer è un fondamentalista, scrive pseudo-scienza, manipola l’evidenza scientifica e così via.[42]
Un altro noto fisico ebreo, osservante, Rabbi Prof. Leo (Yehuda) Levi, che ha scritto numerose opere per mostrare la possibilità di armonizzare la Torà e la scienza, quando parla dell’evoluzione scrive: «Nonostante le belle e convincenti descrizioni [della teoria dell’evoluzione] in libri di scienza popolari e libri di testo per le scuole superiori, con le loro immagini persuasive, non solo la teoria dell’evoluzione è assolutamente non provata, ma è in pratica smentita».[43]
Rispetto ai fisici, la posizione dei biologi ebrei, credenti e osservanti (fra i quali includo me stesso), è fondamentalmente diversa, ben sapendo che, come disse il grande genetista Theodor Dobzansky, «niente in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione». I biologi sono quindi in genere molto più pronti ad accettare la ragionevolezza della teoria dell’evoluzione. Ad esempio, il rabbino e dr. Carl Feit, Direttore del Dipartimento di Biologia alla Yeshiva University di New York, così scrive:
La teoria dell’evoluzione […] non è una teoria morta, come qualcuno ha sostenuto, ma credo sia […] il pilastro centrale della biologia moderna. Essa fornisce un modo per spiegare e predire risultati scientifici come ogni buona teoria dovrebbe fare, con migliaia di fatti come sua base empirica. Al momento, non esiste nessuna teoria scientifica alternativa che spieghi i fenomeni che essa tratta […] La teoria dell’evoluzione è solidamente affermata, a livello della teoria della meccanica quantistica, della relatività, dell’elettricità […] In effetti, la teoria dell’evoluzione è la teoria scientifica della biologia contemporanea.[44]
Uno dei maggiori esperti mondiali nella biologia molecolare, il prof. Michel Revel, dell’Istituto Weizmann in Israele, un ebreo religioso e osservante, ha affermato che coloro che, fra gli ebrei ortodossi, si oppongono all’evoluzionismo non sono rappresentativi. Il racconto della creazione, come descritto nel libro della Genesi, mostra infatti una progressione da forme di vita semplici a quelle più complesse che è in generale accordo con il darwinismo.[45] Una posizione simile è sostenuta dal prof. David Weiss, un eminente scienziato nel campo dell’immunologia, professore prima a Berkeley e poi all’Università ebraica di Gerusalemme.[46]
Questa attitudine favorevole alla teoria dell’evoluzione da parte dei biologi ebrei credenti e osservanti non è sempre ben vista. Negli anni scorsi è sorto un grande scandalo attorno al caso del rabbino Natan Slifkin, inglese di origine e ora in Israele, autore di numerosi libri sulla biologia e, in particolare, la zoologia, in cui cerca di conciliare le Sacre scritture con le scoperte scientifiche. Le opere di Rav Slifkin sono state accolte all’inizio con un certo interesse e popolarità anche nel mondo charedì, fino a che qualcuno ha scoperto che in tali scritti c’erano diversi concetti considerati al limite della «eresia», quali l’idea di un universo vecchio miliardi di anni e la teoria dell’evoluzione. Come conseguenza, nel 2004, nei dieci giorni fra Rosh ha-Shanà (il capodanno ebraico) e Kippur, fu chiesto a Rav Slifkin di ritirare immediatamente i libri sotto accusa. Dato che Slifkin si rifiutò di ottemperare alla richiesta, alla vigilia del Kippur, poco prima del Kol Nidrè, fu apposta alle pareti di alcune sinagoghe una condanna pubblica della sua opera.[47] Dopo di ciò, Slifkin ha continuato a occuparsi dell’argomento e ha pubblicato una nuova edizione della sua opera principale, The Challenge of Creation. Judaism’s Encounter with Science, Cosmology and Evolution. Questo libro, un testo di grande valore sui rapporti fra Torà e scienza e, in particolare, sulla teoria dell’evoluzione, inizia con le seguenti parole, che sono indicative dell’atteggiamento verso questi problemi in alcuni settori dell’ebraismo contemporaneo:
This book was written for those who are committed to the tenets of Judaism, but also respect the modern scientific enterprise and are aware of its findings, and who are therefore disturbed by the challenges that are raised for their understanding of Torah. It addresses these challenges by following the approach of Rambam (Maimonides) and other similar Torah scholars towards these issues, which, while firmly within the framework of authentic Orthodox Judaism, is not the method of choice in many segments of the ultra-Orthodox community. But many have found that no other approach works as well in solving these difficulties. Other people may not possess as extensive a background in the sciences or may dispute the validity of the modern scientific enterprise. They may therefore simply not be bothered by the questions discussed in this book, or they may have different ways of dealing with such conflicts. Such people are not the intended audience of this book and they are advised not to read it.[48]
I motivi del rifiuto della teoria dell’evoluzione
Perché c’è una riluttanza così forte ad accettare la teoria dell’evoluzione da parte di alcuni credenti ebrei (ma il discorso vale anche per le altre religioni), anche – o soprattutto – fra le persone istruite? Per illustrare dove sta il problema, torniamo all’affaire Galileo. Oggi non c’è (quasi) più nessuna discussione teologica attorno alla teoria copernicana. Non fa differenza se sia il Sole che gira attorno alla Terra o viceversa. Difficilmente oggi un teologo direbbe che l’affermazione «la Terra gira su sé stessa e attorno al Sole» è errata ed eretica. Ugualmente, nessuno pensa che il fatto che noi non siamo più al centro dell’Universo, ma piuttosto su un piccolo pianeta che ruota attorno a una stella di media grandezza in una zona periferica di una fra miliardi di galassie, costituisca un problema dal punto di vista religioso.
Per la teoria dell’evoluzione, però, la situazione è diversa. Il problema è tuttora vivo. Non si tratta soltanto del fatto che la scienza ci dà una descrizione diversa dall’interpretazione letterale del testo biblico. Se fosse solo questo il problema, allora, così come i (pochi) riferimenti biblici che parlano di una mobilità del sole e della fissità della terra sono stati interpretati in modo non letterale, ugualmente si potrebbe fare per i primi capitoli della Genesi che parlano della creazione del mondo. Ci sono molte fonti ebraiche classiche che permettono una interpretazione non-letterale della Bibbia, in particolare dell’inizio della Genesi.[49] Ma spiegare non secondo il senso letterale non sarebbe sufficiente. Alla base della teoria dell’evoluzione c’è infatti la nozione di caso e contingenza: l’evoluzione segue vie imprevedibili. Per utilizzare la famosa immagine di Stephen J. Gould, se riavvolgessimo indietro il film della storia della vita sulla Terra e lo facessimo ripartire in avanti, non otterremmo di nuovo lo stesso film. E noi umani molto probabilmente, dice Gould, in questo film non ci saremmo. Così egli scrive: «La storia della vita sulla Terra è una gigantesca lotteria. Essa è segnata da tanti accidenti del fato, tanti capricci arbitrari, che lo schema secondo cui si evolve è essenzialmente casuale» e «Se si ritornasse indietro e si ricominciasse da capo, i milioni di eventi fortuiti che hanno creato la nostra linea di discendenza non si ripeterebbero mai e poi mai; la possibilità che si ottenga qualcosa di lontanamente simile a un essere umano deve ritenersi nulla».[50]
Questa idea è stata efficacemente illustrata da J. Monod (uno dei fondatori della biologia molecolare, premio Nobel nel 1965 insieme a F. Jacob e a A. Lwoff). Nel best-seller Il caso e la necessità, così scrive Monod: «L’universo non era gravido di vita, né la biosfera era gravida dell’uomo. Il nostro numero è uscito alla roulette».[51] Un altro illustre biologo, G. Simpson, ha scritto: «La supposizione – fatta così a cuor leggero dagli astronomi, dai fisici e da qualche biochimico – che ovunque nasca la vita compariranno infine inevitabilmente esseri umanoidi è chiaramente falsa».[52] In una discussione con Carl Sagan, che era un appassionato sostenitore della possibilità di vita extraterrestre, il famoso biologo Ernst Mayr così affermò: «Sulla Terra, tra i milioni di linee di discendenza, solo una ha portato all’intelligenza superiore e tanto basta per convincermi della sua assoluta improbabilità».[53]
In vero, non tutti pensano che la comparsa della vita e dell’intelligenza siano fenomeni altamente improbabili. Ad esempio, C. de Duve, biochimico belga premio Nobel nel 1974, sostiene invece che siano fenomeni ineluttabili e prevedibili, date le premesse fisico-chimiche dell’universo, e quindi, prima o poi, la vita e noi umani saremmo apparsi sullo scenario della Terra. All’affermazione di Monod citata prima («l’universo non era gravido di vita, né la biosfera gravida dell’uomo»), de Duve replicò: «Lei sbaglia, Monsieur Monod; erano gravidi». Anche de Duve attribuisce al caso un ruolo primario, ma esso agisce all’interno di un insieme di limiti e costrizioni che fanno sì che la vita e l’intelligenza debbano per forza apparire.[54]
Una posizione simile è quella di Simon Conway Morris, che non accetta l’opinione prevalente di quasi tutti i neo-darwiniani secondo cui l’evoluzione è dovuta a casi fortuiti, semplici incidenti della storia. A differenza di S. J. Gould, Morris ritiene che se dovessimo rimandare il nastro della vita, i risultati finali non sarebbero molto differenti e noi umani faremmo parte della storia. Sulla base dell’idea di convergenza evolutiva, egli sostiene che l’evoluzione è come ogni altra scienza, e cioè prevedibile.[55]
La stessa divergenza di opinioni riguardo all’evoluzione si può riscontrare anche in riferimento alla probabilità di trovare la vita (ed esseri intelligenti) su altri pianeti. Se parte dal presupposto che l’apparizione della vita è stata un evento casuale, un numero fortunato uscito alla lotteria, è molto probabile che la vita sulla Terra sia un unicum nell’universo. Altrimenti, è probabile – e forse inevitabile – che la vita sia sorta anche su altri pianeti ove si siano presentate condizioni simili a quelle della Terra.[56]
Non c’è dubbio che la posizione di de Duve e Conway Morris pone meno problemi dal punto di vista teologico: il Creatore mette in moto l’universo, all’inizio del tempo, e prima o poi la vita (e l’Uomo) comparirà.
Il concetto di «eternità di Dio» vuol dire, appunto, che non fa differenza, per il Creatore, se la vita e l’Uomo compaiono dopo 10 miliardi di anni o 20 dopo il Big Bang. Dio è eterno ed è, per così dire, paziente. Quando l’uomo arriva, arriva. A quel punto, Dio gli si rivela e inizia a intrattenere un rapporto con l’umanità.
Invece, l’altra posizione, quella di Gould e Monod e di moltissimi altri scienziati, non è così facilmente accettabile in una dimensione religiosa. Non basta più dire che Dio è il primum movens. Secondo questa opinione, dare la «prima spinta» e lasciar procedere il mondo per conto suo, non produrrebbe necessariamente né la vita né l’Uomo. Se siamo frutto del mero caso e della contingenza, che senso ha parlare di Creatore? È questa in effetti una formidabile difficoltà.[57] L’idea che siamo frutto (anche) del caso e non di un «progetto intelligente» può lasciare in effetti smarriti e perplessi, e questo può spiegare perché essa faccia fatica ad essere accettata in ambienti tradizionalisti. In realtà, tale concezione è del tutto compatibile con una visione religiosa, specificamente ebraica, e trova supporto in diversi testi rabbinici talmudici e medioevali.
Come conciliare il concetto di caso con una prospettiva religiosa
Il caso interviene nell’evoluzione della vita a diversi livelli, molecolare, cellulare e ambientale. Il caso non è l’unica causa dell’evoluzione, c’è anche una notevole dose di «necessità», dovuta all’interazione con l’ambiente (la selezione naturale) e ad altre cause, ma è certo che l’aspetto casuale è una componente fondamentale (vedi l’Appendice in fondo).[58]
Un modo per conciliare l’idea di un mondo vivente (incluso l’uomo) sorto per caso con una visione religiosa e con il concetto di Dio, potrebbe essere asserire che ciò che sembra casuale ai nostri occhi, in realtà non lo è ma è in qualche modo indirizzato dal Creatore. Si potrebbe pensare che Dio ogni tanto «dia una spinta» a qualche meteorite, come quello che 65 milioni di anni fa colpì la Terra (nella penisola dello Yucatan, per la precisione) e causò l’estinzione dei dinosauri, permettendo l’affermazione dei mammiferi e, in ultimo, dell’uomo. In che modo il Creatore possa indirizzare l’evoluzione della vita e la nascita dell’intelligenza è al di là della nostra possibilità di conoscere. Già 3000 anni fa il profeta Isaia disse, riferendosi al Creatore: «I Miei pensieri non sono i vostri pensieri e le vostre vie non sono le Mie vie» (Isaia 55, 8). O come scrisse lo stesso Darwin in una lettera, riguardo a un presunto ruolo di Dio nell’origine dell’universo e della vita: «L’intera questione è troppo profonda per l’esser umano. Un cane potrebbe meditare altrettanto bene sul pensiero di Newton».[59]
La citazione di Isaac Newton in questa lettera di Darwin potrebbe non essere dovuta solo alla volontà di portare come esempio una delle menti più eccelse che l’umanità abbia mai prodotto. Il fondatore della fisica moderna, colui che unificò il cielo e la terra attraverso la legge di gravitazione universale, riteneva infatti che l’intervento del Creatore fosse continuamente necessario per evitare che l’universo, alla lunga, scivolasse verso condizioni di instabilità con collasso gravitazionale finale. Riguardo al sistema solare, l’intervento del Creatore sarebbe necessario, secondo Newton, non solo per disporre al momento iniziale i pianeti e i loro satelliti attorno al Sole con la giusta velocità e l’opportuna distanza, ma anche, di tanto in tanto, per «riaggiustare» il loro movimento: questa idea fu aspramente criticata da G. W. Leibniz, in una famosa corrispondenza fra il 1715 e il 1716 con Samuel Clarke, un fervente seguace delle idee newtoniane. È peraltro vero che la fisica successiva, in particolare da Laplace in poi, ha risolto molte delle difficoltà di Newton, ma rimane il fatto che al padre della fisica moderna l’idea che il Creatore intervenisse ogni tanto nella Sua opera non sembrava affatto antiscientifica.[60]
Questa idea, secondo cui ciò che è casuale in realtà non lo è ma è guidato da un Essere superiore, è seguita da molti scienziati ebrei credenti e legati alla tradizione, i quali accettano l’evoluzione come un dato di fatto ma ne danno una spiegazione, per così dire, teologica. Numerosi passi biblici, in cui eventi apparentemente casuali sono invece indirizzati dalla Provvidenza divina, vengono portati a supporto di questa concezione, come i libri di Ester e Giona e un passo dai Proverbi: «La sorte è gettata nel grembo ma tutta la decisione viene dal Signore».[61]
Tuttavia, l’idea secondo cui Dio ogni tanto dà una spinta qua e una là non sembra accettabile dal punto di vista scientifico-filosofico né da quello teologico. Tale concezione è simile all’idea che ci sia un Intelligent Designer dietro l’evoluzione della vita, e che determinate strutture cellulari e componenti di diverse reazioni biochimiche siano state progettate da un «artefice intelligente». Scientificamente questa idea è da rifiutare, perché presuppone che ci sia qualcosa di reale che non è spiegabile in termini razionali. Ma anche teologicamente tale concezione non è facilmente sostenibile perché raffigura un Creatore «tappa-buchi», che facciamo intervenire là dove non abbiamo una spiegazione scientifica valida, salvo poi non essere più necessario quando la spiegazione viene eventualmente trovata. D’altro canto, si potrebbe dire che l’intervento del Creatore a livello cellulare e microscopico non è credibile, e tuttavia potrebbe esserlo a livello macroscopico (le estinzioni di massa, ecc.), che sarebbero non molto diversi dai miracoli raccontati nella Bibbia, come il passaggio degli ebrei nel Mar Rosso e simili.[62]
Un altro modo per conciliare l’idea di caso con una visione religiosa, che appare decisamente preferibile, si basa su un approccio totalmente diverso. Un noto midrash, interpretando il versetto della Torah «e fu sera e fu mattina» (Genesi 1, 5), afferma che prima del primo giorno c’era una «successione di tempi» (seder zemanim); alla domanda di cosa facesse il Santo Benedetto durante questo tempo primordiale, Rabbi Abbahu risponde: «Creava mondi e li distruggeva, fino a che creò l’attuale mondo e disse: Questo mi piace, quelli non mi piacevano».[63]63 Si potrebbe quasi dire che R. Abbahu sostenga che neanche il Creatore sapesse, dando inizio alla creazione, cosa ne sarebbe uscito fuori. In altre parole, non c’è una creazione pre-ordinata, ma si tratta di una sorta di «work in progress», con uno sviluppo che è legato anche al caso e alla contingenza.[64] Quando alla fine, nell’ultimo mondo creato (o, se vogliamo, nell’ultima estinzione), l’Homo sapiens fece la sua comparsa sulla terra, Dio gli si rivelò, iniziando a interagire con lui. Così scrive Rabbi Slifkin commentando questo midrash:
The “loving deity” clearly manifests His love in more subtle ways than by simply letting everything live forever. Some may still ask how the idea of “trial and error” fits with the concept of a God Who knows the consequences of His actions. Still, it is clear from this Midrash that such was part of the Jewish understanding of God many thousands of years before extinctions were discovered by science. If such phenomena were always our understanding of how God works, then the explanation of the physical mechanisms via evolution cannot be said to challenge religion.[65]
Il concetto di caso non è affatto nuovo nella filosofia e nella teologia. Così scrive il Maimonide nella Guida dei perplessi:
Ed ora vengo ad esporti quello che è il mio personale pensiero su tale fondamentale principio, cioè sulla Provvidenza divina. Per questa opinione, che vado ad esporti, non farò ricorso a prove dimostrative, ma a ciò che mi è sembrato essere l’intenzione del Libro di Dio e degli scritti dei nostri profeti. La concezione che io professo presenta meno inverosimiglianze di quelle precedenti e si avvicina maggiormente alla logica dell’intelligenza. Io credo che […] la Provvidenza divina non abbia per oggetto, in fatto di individui, che quelli della sola specie umana e che, unicamente in tale specie, tutte le condizioni degli individui e ciò che di bene e di male loro capita, siano conformi al merito, come è detto: «poiché tutte le Sue vie sono giustizia» (Deuteronomio 32, 4). Per quanto concerne gli altri animali e, a maggior ragione, i vegetali, la mia opinione è identica a quella di Aristotele. Io non credo assolutamente che quella foglia sia caduta per effetto di una Provvidenza, né che quel ragno abbia divorato quella mosca a causa di un decreto di Dio e per una Sua volontà, espressa in quel preciso momento a proposito di quel preciso particolare, né che quello sputo, emesso da Tizio, sia andato a cadere su quel moscerino in un punto particolare, uccidendolo, a seguito di un giudizio e di un verdetto, né che quel pesce abbia inghiottito quel verme dalla superficie dell’acqua, per una precisa, particolare volontà divina. Tutto ciò, al contrario, è – secondo me – effetto del puro caso, come pensa Aristotele. […] Se è vero – come egli (Aristotele) dice – che l’affondamento della nave e dell’equipaggio, nonché il crollo del soffitto sugli abitanti della casa, sono l’effetto del puro caso, non è – secondo la mia opinione – effetto del caso che quegli uni siano saliti a bordo della nave e che quegli altri si siano trovati in casa, ma, al contrario, ciò è accaduto per effetto della volontà divina, in base a ciò che quella gente aveva meritato, secondo un giudizio i cui criteri rimangono inaccessibili alle nostre intelligenze.[66]
Quando il Maimonide parla di «puro caso»[67] in relazione a ciò che avviene agli animali, ricorda quanto lo stesso Darwin scrisse ad Asa Gray, un botanico di Boston, nella lettera sul «pensiero di Newton» già citata:
Confesso che non riesco a vedere, come fanno invece altri e come vorrei, l’evidenza di un progetto e di una benevolenza attorno a noi. Sembra esserci troppa infelicità nel mondo. Non posso persuadermi che un Dio onnipotente e benevolo avrebbe intenzionalmente creato gli icneumonidi [vespe con larve parassite] con l’esplicita intenzione che [le larve] si nutrano all’interno del corpo vivente di bruchi, o che un gatto giochi con il topo.[68]
Nel passo riportato, il Maimonide non parla della creazione del mondo o dell’uomo, bensì del problema della provvidenza. Egli distingue fra quanto attiene all’uomo e quanto invece è riferibile ad altri esseri viventi. Se trasferissimo automaticamente questa sua concezione all’evoluzione della vita, si potrebbe pensare che il Maimonide ritiene che ci sia una sorta di «salto ontologico» nel passaggio da animali a uomo. In realtà, questa non è una conclusione necessaria. Una cosa è la provvidenza, che consiste nel rapporto fra Dio e l’uomo dopo che l’uomo è emerso sulla faccia della terra, a prescindere da come la sua comparsa sia avvenuta: in questo caso il rapporto di Dio con l’uomo è chiaramente diverso da quello con gli animali. Un’altra cosa è invece l’evoluzione dell’uomo dagli altri animali, che si può presumere si sia verificata secondo modalità non differenti dal resto delle specie viventi.[69]
Conclusioni
Molti dei problemi che sorgono nel tentativo di conciliare la teoria dell’evoluzione e l’ebraismo hanno origine dall’enfasi posta nel concetto di Dio come creatore del mondo. Invece, quando Dio si presenta ai figli d’Israele sul Monte Sinai durante la promulgazione del Decalogo, non afferma di «aver creato il cielo e la terra», bensì di «averli fatti uscire dalla terra d’Egitto, dalla casa di schiavitù» (Esodo 20, 2). Il Dio che si rivela a Israele è il Dio della storia, non quello della natura. È vero che la Torà si apre con la descrizione dell’inizio di tutto l’esistente, ma l’intenzione della Bibbia non è di essere un libro di testo di fisica o di biologia (ce ne sono di migliori in circolazione). Secondo molti commentatori, il motivo per cui è raccontata la creazione del mondo in sei giorni è per insegnarci di santificare il settimo giorno, il Sabato. Il Talmud dice che il racconto della creazione fa parte dei segreti della Torà, e come disse Rav A. Kook nel brano sopra riportato, «se si dovesse intendere alla lettera, che segreti sarebbero?». Chi crede in Dio, pensa che il mondo esiste perché così Dio ha voluto e che il mondo ha le sue leggi, come del resto già il profeta Geremia aveva affermato (cap. 33, 25). Il mondo segue il suo corso (ha-‘olam ke-minhagò noheg[70]), e la teoria dell’evoluzione originalmente formulata da Darwin e via via perfezionata dagli scienziati successivi ci fornisce una spiegazione naturale dell’origine delle specie viventi, incluso l’uomo. Una volta apparso l’uomo, Dio ha finalmente qualcuno con cui comunicare. La storia della relazione fra Dio e l’Umanità è quella di Dio che cerca l’uomo, che a volte risponde.[71] Questo modo di vedere ci permette forse di capire il famoso detto dei Maestri del Talmud e del Midrash secondo cui «l’uomo è partner di Dio nell’opera della creazione».[72] È attraverso l’uomo che Dio può intervenire nella storia e nel mondo, comunicando con lui con l’ispirazione o con la rivelazione: in altre parole, Dio ha bisogno dell’uomo per poter agire nella storia. È difficile credere che Dio si comporti come un ingegnere genetico, ma che Egli comunichi con l’Uomo sembra più accettabile: spetta all’uomo ascoltarLo e risponderGli. Vedere la «mano» di Dio nella storia è forse più arduo per alcuni che vederla nella struttura dell’Universo, ma come la scienza non può escluderla riguardo alla natura, così non lo può fare per la storia.[73]
Concludo con queste illuminanti parole di Hans Jonas, tratte da Il concetto di Dio dopo Auschwitz: Una voce ebraica:
Per interi eoni il mondo è al sicuro, affidato alle mani laboriose del caso cosmico e alle combinazioni probabili prodotte dal suo gioco mentre incessantemente si accumula, così dobbiamo supporre, una memoria paziente, in condizione di registrare le rotazioni della materia […]. Poi il primo moto della vita – un nuovo linguaggio del mondo: e con esso un enorme incremento di interesse nell’ambito dell’Eterno e un salto qualitativo repentino e non previsto nella crescita tesa al recupero della propria pienezza. Questa è l’occasione cosmica che la divinità diveniente da sempre attendeva […] e, per la prima volta, il Dio che si risveglia può affermare che la creazione è un bene.[74]
Appendice: Il ruolo del caso nell’evoluzione
Il caso interviene nell’evoluzione a diversi livelli, molecolare, cellulare e ambientale.[75] Il materiale genetico (DNA o RNA) è soggetto a occasionali mutazioni che avvengono spontaneamente durante la replicazione o possono essere indotte da cause esterne (radiazioni o sostanze chimiche). Altri fenomeni essenzialmente casuali sono la ricombinazione di diversi geni o di intere parti di cromosomi; anche la distribuzione dei cromosomi paterni e materni durante la riproduzione è un evento casuale. Tali eventi non sono in alcun modo prevedibili (a meno che siano artificialmente indotti). Solo la frequenza con cui accadono le mutazioni in una certa zona può essere predetta, ma non il punto esatto in cui, per esempio, una G (guanina) del DNA si trasforma in A (adenina). (Tali modifiche e il rimescolamento del materiale genetico sono osservati quotidianamente in centinaia di laboratori di biologia molecolare in tutto il mondo, impegnati nel sequenziamento del DNA per scopi di ricerca o per la determinazione del profilo genetico dei singoli individui.) A livello macroscopico, il caso (o meglio, la contingenza storica) interviene modificando l’ambiente in cui si trovano gli organismi viventi: le catastrofi naturali, come i terremoti, le alluvioni, l’impatto con meteoriti sono gli eventi più drammatici. Altri eventi, meno spettacolari, sono la migrazione di un determinato gruppo ristretto di individui di una popolazione in un’isola o altro posto geograficamente isolato, che possono indirizzare l’evoluzione in un senso anziché un altro: è questo il cosiddetto genetic drift (deriva genetica) o «effetto del fondatore».
È importante sottolineare che i cambiamenti a livello genetico o a livello macroscopico non sono accidenti di cui faremmo volentieri a meno, ma sono funzionali all’evoluzione. Se il meccanismo di copiatura del DNA fosse molto difettoso e inserisse numerosi errori a ogni ciclo di replicazione, la vita non potrebbe perpetuarsi; d’altronde, se esso fosse assolutamente perfetto e nessun errore venisse introdotto, allora non ci sarebbe evoluzione. Le mutazioni e il rimescolamento genetico sono il motore e la materia prima dell’evoluzione. Lo stesso si può dire per gli sconvolgimenti dell’ambiente. Un ambiente fisso e immutevole non permetterebbe la selezione di nuove varianti e nuove specie viventi.
Una considerazione simile, anche se in un differente contesto, fu fatta da Primo Levi, che oltre a essere diventato famoso come scrittore, testimone di Auschwitz, era un chimico (anche per questo, fra l’altro, si salvò dallo sterminio). Nel suo libro Il sistema periodico affronta il fatto che lo zinco puro non reagisce chimicamente. Così scrive:
Sulle dispense stava scritto un dettaglio che alla prima lettura mi era sfuggito, e cioè che il così tenero e delicato zinco, così arrendevole davanti agli acidi, che se ne fanno un solo boccone, si comporta invece in modo assai diverso quando è molto puro: allora resiste ostinatamente all’attacco. Se ne potevano trarre due conseguenze filosofiche tra loro contrastanti: l’elogio della purezza, che protegge dal male come un usbergo; l’elogio dell’impurezza, che dà adito ai mutamenti, cioè alla vita. Scartai la prima, disgustosamente moralistica, e mi attardai a considerare la seconda, che mi era più congeniale. Perché la ruota giri, perché la vita viva, ci vogliono le impurezze, e le impurezze delle impurezze: anche nel terreno, come è noto, se ha da essere fertile. Ci vuole il dissenso, il diverso, il grano di sale e di senape: il fascismo non li vuole, li vieta, e per questo tu non sei fascista; vuole tutti uguali e tu non sei uguale…[come ebreo] sono io l’impurezza che fa reagire lo zinco, sono il granello di sale e di senape. L’impurezza, certo: perché proprio in quei mesi iniziava la pubblicazione di «La Difesa della Razza», e di purezza si faceva un gran parlare, ed io cominciavo ad essere fiero di essere impuro.[76]
[1] G. Galilei, Sidereus Nuncius, a cura di F. Flora, tr. di L. Lanzillotta, Torino, Einaudi 1976, p. 11. La frase sull’invenzione per «illuminazione della grazia divina» è a p. 13, dove Galileo racconta anche che sentì che «era stato costruito da un certo Fiammingo un occhiale, per mezzo del quale gli oggetti visibili, pur distanti assai dall’occhio di chi guarda, si vedevan distintamente come fossero vicini» e di conseguenza Galileo si ingegnò per «giungere all’invenzione di un simile strumento, che poco dopo conseguii, basandomi sulla dottrina delle rifrazioni».
[2] Fra i tanti libri sull’argomento, segnalo alcuni recenti: l’agile volumetto di P. Odifreddi, Hai vinto, Galileo! La vita, il pensiero, il dibattito su scienza e fede, Milano, Mondadori 2009, in cui l’eccessiva vis polemica antireligiosa dell’autore è compensata dalla godibilità della lettura e dalla messe di citazioni in poco spazio; Egidio Festa, Galileo. La lotta per la scienza, Roma-Bari, Laterza 2007, che dedica ampio spazio al processo; e J. Reston, Galileo, Casale Monferrato, Piemme 2004. Tutti e tre riportano un’estesa bibliografia.
[3] Cit. da Odifreddi, Hai vinto, cit., p. 15.
[4] Si è dovuto però aspettare papa Giovanni Paolo II per sentire dire, in un discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze del novembre del 1979, che Galileo «ebbe molto a soffrire […] da parte di uomini e organismi della Chiesa». In conseguenza di questo intervento fu istituita una Commissione per un riesame dell’affare Galileo, guidata dal cardinale P. Poupard, che presentò le sue conclusioni il 31 ottobre 1992. In realtà, non c’è stata alcuna riabilitazione né una revoca della condanna o un’ammissione di errore da parte della Chiesa, se non quello per cui «i giudici di Galileo, incapaci di
dissociare la fede da una cosmologia millenaria, credettero a torto che l’adozione della rivoluzione copernicana, peraltro non ancora definitivamente provata, fosse tale da far vacillare la tradizione cattolica e che era loro dovere il proibirne l’insegnamento». Il papa stesso non è andato oltre un discorso generale sulla «tragica incomprensione reciproca», lasciando insoddisfatti molti studiosi, inclusi alcuni membri della Commissione (Odifreddi, Hai vinto, cit., pp. 118-125; Festa, Galileo, cit., pp. VI-XI, 322-326; Reston, Galileo cit., pp. 195-197, 379-382).
[5] Fra i numerosi testi sull’argomento, segnalo: N. Eldredge, Darwin. Alla scoperta dell’albero della vita, Torino, Codice Edizioni 2006; F. Ayala, L’evoluzione. Lo sguardo della biologia, Jaca Book 2009 (è utile ricordare, nel contesto di questo articolo, che Ayala, uno dei massimi biologi evoluzionisti contemporanei, è cattolico e in passato fu anche ordinato prete domenicano).
[6] Lettera a J. D. Hooker dell’11 gennaio 1844, pubbl. in Ch. Darwin, L’origine delle specie. Abbozzo del 1842, a cura di T. Pievani, tr. di I. Blum, Torino, Einaudi 2009, pp. 69-71. Queste le parole esatte: «Alla fine si è acceso un barlume di luce e io sono quasi convinto (un’opinione opposta a quella che nutrivo all’inizio) che le specie non siano (è come confessare un omicidio) immutabili. Il cielo mi scampi e liberi dalle in sensatezze di Lamarck […] io penso di aver scoperto (ecco la presunzione!) il semplice modo mediante il quale le specie si adattano mirabilmente a vari fini».
[7] Il testo completo della condanna di Galileo e della sua successiva abiura si può trovare, p. es., in Festa, Galileo, cit., pp. 315-317.
[8] Darwin, Abbozzo, cit., pp. 29-30. Sulla stessa scia, più avanti (p. 61), riguardo alle affinità fra diverse specie di animali che il Creazionista crede siano stati creati in modo indipendente, scrive: «allo stesso modo io potrei credere che i pianeti ruotino nelle loro orbite attuali non seguendo un’unica legge di gravità, ma per atti di volizione distinti del Creatore». Vedi anche qui, p. 95, nota 60.
[9] Per le reazioni in ambito più generale, vedi T. Peters & M. Hewlett, Theological and scientific commentary on Darwin’s Origin of Species, Nashville, Abingdon Press 2008, che include anche un utilissimo CD con il testo completo e annotato della 6a edizione di The Origin of Species di Darwin. Il libro contiene una breve sezione sull’ebraismo e sull’islam (pp. 70-72), per quanto l’affermazione degli autori secondo cui «relatively little difficulty with Darwinian evolution has arisen within Judaism» sembra un po’ troppo ottimistica. Altri testi utili sono: T. Pievani, In difesa di Darwin, Milano, Bompiani 2007; O. Franceschelli, Dio e Darwin, Natura e uomo tra evoluzione e creazione, II ed., Roma, Donzelli 2005; L. Galleni, Darwin, Teilhard de Chardin e gli altri…, Pisa, Felici ed., 2010; il numero di «Protestantesimo», vol. 65:1, 2010, interamente dedicato all’argomento, con scritti di D. Garrone, G. Corbellini, F. Ferrario, P. Naso, E. Noffke; per il mondo cattolico, H. Kung, L’inizio di tutte le cose, Milano, Rizzoli 2006.
[10] Qui mi limito a segnalare il recente articolo di J. Brown, Rabbi Reuven Landau and the Jewish reaction to Copernican thought in Nineteenth Century Europe, in «The Torah u-Madda Journal», 15: 112-142 (2008-09); vedi lì alla nota 4 altre referenze sull’argomento. Sulle relazioni, in generale, fra Torà e scienza, vedi il recente articolo di Rav prof. Avraham Steinberg, Esistono contraddizioni tra Torà e scienza?, in «Segulat Israel», 5770, 8, pp. 27-38.
[11] L’intero passo è riportato in ebraico e in traduzione inglese nel lavoro di J. Faur, The Hebrew species concept and the origin of evolution: R. Benamozegh’s response to Darwin, in «La Rassegna Mensile d’Israel», LXIII, 3, sett.-dic. 1997, pp. 43-66. Vedi anche Rav Elihau Zini, Due Maestri del nostro tempo: i rabbini Elia Benamozegh e Avraham Itzhak Hacohen Kuk, ivi, pp. 67-78.
[12] Teologia dogmatica e apologetica, Livorno 1877, pp. I: 276-277. Vedi anche R. Shuchat, Attitudes Towards Cosmogony and Evolution among Rabbinic Thinkers in the Nineteenth and early Twentieth Centuries: The Resurgence of the Doctrine of the Sabbatical Years, in «The Torah u-Madda Journal» 13 (2005), pp. 15-49.
[13] In italiano fra parentesi, seguito dall’espressione in tedesco. La parola ebraica corrispondente usata da Castiglioni è atzilut.
[14] Al Pe’er Adam è stato dedicato un approfondito studio di Lois Dubin, The Reconciliation of Darwin and Torah in «Pe’er ha-adam» of Vittorio Hayim Castiglioni, in «Italia Judaica» IV, Ministero per i beni culturali e ambientali, Roma 1993, p. 273-284. Anche Id., Pe’er ha-Adam of Vittorio Hayim Castiglioni: An Italian chapter in the Jewish Response to Darwin, in Yakov Rabkin & Ira Robinson (eds), The Interaction of Scientific and Jewish cultures in modern times (Lewiston, NY: Mellen, 1994), pp. 87-101.
[15] «Il Corriere israelitico», 1870 (9), pp. 95-96, e 1887-88 (26), pp. 147-149, 170-173, 196-198. «Il Vessillo israelitico», 1891 (39), pp. 38-41, 69-71; 1892 (40), pp. 25, 46-51, 69-73, 107-110; 1896 (44), pp. 366-369, 402-404; 1897 (45), pp. 110-111, 138-139.
[16] Il rabbino Levi prosegue con il midrash, in ebraico, secondo cui Dio creò e distrusse numerosi mondi prima di quello attuale, sul quale torneremo più avanti. Prima I. Levi riporta un altro midrash dal Yalqut Shim‘onì. Vedi «Il Vessillo israelitico», 1897 (45), pp. 110-111 (corsivo nell’orig.).
[17] «Il Vessillo israelitico», 1896 (44), pp. 366-369, 402-404.
[18] Ivi, 1897 (45), pp. 138-139.
[19] Ivi, 1892 (40), p. 25.
[20] Ivi, pp. 46-51.
[21] Ivi, pp. 107-110. Corsivo nell’originale.
[22] S. J. Gould, I pilastri del tempo: sulla presunta inconciliabilità tra fede e scienza, Milano, Il Saggiatore 2000. Gould (1941-2002), uno dei massimi studiosi dell’evoluzione e divulgatori dei nostri tempi, si autodefinisce «agnostico». Nato in una famiglia ebraica di New York ormai distaccatasi dalla tradizione, così scrive in questo libro (p. 16): «Ho avuto anche l’enorme beneficio del rispetto per la cultura che ispira lo spirito ebraico anche ai livelli economici più bassi, ma non ho avuto una formale educazione religiosa e non ho nemmeno fatto il bar mitzvah, perché i miei genitori si erano ribellati a una tradizione familiare fin’allora indiscussa. (Secondo il mio attuale punto di vista, si erano ribellati anche troppo, ma le opinioni in merito tendono a oscillare da una generazione all’altra, per poi forse stabilizzarsi in una saggia via di mezzo.)».
[23] Il sermone fu poi pubblicato con il nome Derush Or ha-Chayim nelle edizioni della Mishnà con il commento Tiferet Israel (nell’Ordine Neziqin).
[24] Il discorso di R. Lifschitz è in parte tradotto in A. Carmell & C. Domb (eds), Challenge, Torah Views on Science and its Problems, Associations of Orthodox Jewish Scientists, Feldheim publ., Jerusalem-New York 5738/1978, pp. 132-135. Vedi anche C. Feit, Modern Orthodoxy and Evolution: the Models of Rabbi J. B. Soloveitchik and Rabbi A. I Kook, in G. Cantor and M. Swetlitz (eds.), Jewish Tradition and the Challenges of Darwinism, Chicago and London, The University of Chicago Press 2006, pp. 222-223; R. Shuchat, Attitudes, cit. sopra alla n. 12.
[25] Il cognome è anche trascritto Levy o Lewy. Toledot adam fu pubblicato, in ebraico, nella rivista «Ha-Shachar» 6 (1874), pp. 3-60. È stato oggetto di almeno due studi specifici: R. Colf Jr. & D. Kohn, “A real curiosity”: Charles Darwin’s reflection on a communication from Rabbi Naphtlai Levy, in «The European Legacy» 1:5 (1996), pp. 1716-1727; E. O. Dodson, Toldot Adam: A little-known chapter in the history of Darwinism in «Perspectives on Science and Christian faith», 52 (2000), pp. 47-54. Vedi anche Y. Shavit & J. Reinharz, Darwin and some of his kind [Darwin we-khama mi-benè minò, in ebr.], Tel-Aviv, Hakibbutz Hameuchad 2009, pp. 74-83.
[26] Le due citazioni sono riprese, rispettivamente, da Isaia 11, 10 e 14, 12. Da notare che la prima si riferisce al Messia.
[27] Ch. Darwin, Autobiografia, Torino, Einaudi 1962, pp. 104-105.
[28] Lettera a Baruch Placzek, citata in Colf e Kohn, “A real curiosity”, cit., p. 1720.
[29] «It is the best bit of praise I ever received». Ivi, p. 1719.
[30] Ivi, p. 1716-1717, 1721, 1724.
[31] S. R. Hirsch, Collected writings, vol. 7, pp. 262-264.
[32] C. Feit, Modern Orthodoxy, cit., pp. 208-209, 215-217; Shai Cherry, Three twentieth-century Jewish responses to evolutionary theory, in «Aleph: Historical studies in science and Judaism» 3 (2003), pp. 247-290.
[33] M. Maimonide, La guida dei perplessi, Parte III, 14, in fondo (ed. it. a cura di M. Zonta, Torino, Utet 2003, p. 557). Vedi anche nota seguente.
[34] A. Maimoni, Introduzione alla Aggadà; cit. da I. Herzog in The Talmud as a source for the history of ancient science, in Chaim Herzog (ed.), Judaism: Laws and Ethics, essays by the late Chief Rabbi Dr. Isaac Herzog, London 1974, p. 152. Sia le parole del Maimonide che di suo figlio Avraham sono ampiamente riportate anche in A. Steinberg, Esistono contraddizioni fra Torà e scienza?, cit. nella nota 10, pp. 36-37.
[35] R. Shuchat, R. Isaac Halevi Herzog’s attitude to evolution and his correspondence with Immanuel Velikovsky, in «The Torah u-Madda Journal», 15 (2008-09), pp. 143-171.
[36] Il termine charedì significa «timorato (di Dio)» ma è generalmente tradotto con ultra-ortodosso.
[37] M. M. Schneersohn, A letter on Science and Judaism, in Carmell & Domb (eds), Challenge, cit., pp. 142-149. Questa impostazione probabilmente è dovuta al timore che una messa in discussione del significato letterale del testo narrativo della Bibbia possa avere conseguenze negative anche sull’interpretazione delle parti normative della Torà.
[38] Questa tendenza di molti fisici è ben descritta da Baruch Sterman, Judaism and Darwinian evolution, in «Tradition» 29, 1 (1994), pp. 48-75, vedi in part. pp. 50-51.
[39] Tale concezione è simile a quella del prof. A. Zichichi, che ha ripetutamente affermato che la teoria dell’evoluzione non è «scienza galileiana», p. es. in Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo, Milano, Il Saggiatore, 1999, pp. 82-91.
[40] N. Aviezer, In the beginning…Biblical Creation and Science, Hoboken, New Jersey, Ktav 1990, pp. 53-54 e 60. Vedi anche Id., Fossils & Faith, Understanding Torah and Science, N. J., Ktav 2001, capp. 4, 6, 14-18.
[41] Sterman, Judaism and Darwinian evolution, cit., p. 60.
[42] Vedi entrambi questi autori in «Alpayim – A Multidisciplinary Publication for Contemporary Thought and Literature» 9, 1994 [in ebraico]; vedi anche N. Aviezer, The Anthropic Principle in «B’Or Ha’Torah» 17 (5768/2007), pp. 69-84 in part. p. 78, e Id., Fossils & Faith, cit., p. 235. I libri di Aviezer sono discussi anche da Rav Giuseppe Laras, La natura nel pensiero ebraico, L’origine del mondo e i concetti di spazio e di tempo, a cura di P. Pozzi, Milano, Cuem 2006, in part. la parte IV.
[43] L. Levi, Torah and Science, Jerusalem, Feldheim 1983, p. 105. Altri due fisici che hanno scritto sulla relazione fra Torah e scienza, inclusa la teoria dell’evoluzione (senza peraltro accettarla nella sua formulazione neo-darwiniana), sono: Gerald L. Schroeder, Genesis and Big Bang, New York, Bantham 1990 (un best seller tradotto anche in italiano: Genesi e Big Bang, Milano, Tropea ed. 1999); Id. The Science of God: the convergence of scientific and biblical wisdom, New York, Free Press 1997; Id., The hidden face of God: Science reveals the ultimate truth, New York, Simon & Schuster 2002; e Judah Landa, Torah and Science, Hoboken, New Jersey, Ktav 1991. Su Aviezer, Schroeder e Landa, vedi l’approfondito studio di S. Cherry, Crisis management via biblical interpretation: Fundamentalism, Modern Orthodoxy, and Genesis, in Cantor & Swetlitz (eds.), Jewish tradition, cit. alla nota 24, pp. 166-172.
[44] C. Feit, Darwin and Drash: The interplay of Torah and Biology, in «The Torah U-Madda Journal», 1990, II, pp. 29-30.
[45] In «Nature» 302, p. 648 (21 April 1983).
[46] D. W. Weiss, The Wings of the Dove, Jewish Values, Science and Halachah, Washington, D.C, B’nai B’rith Books, 1987; Id., Judaism and Evolutionary Hypotheses in Biology: Reflections on Judaism by a Jewish Scientist, in «Tradition» 19(1), 1981, pp. 3-27. Sia D. Weiss che R. Falk (vedi nota 42) sono stati miei docenti alla facoltà di Scienze biologiche presso l’Università ebraica di Gerusalemme negli anni 1973-1978. Mentre Weiss è un ebreo osservante e devoto, Falk è stato definito da Aviezer come un «militant secularist». Questo fatto mostra come due approcci ebraici totalmente diversi possono entrambi essere considerati coerenti con la teoria dell’evoluzione.
[47] Venti importanti rabbini charedim, sia israeliani sia americani, hanno poi messo al bando tutti i libri di Rav Slifkin. Un intenso dibattito si è sviluppato, soprattutto su Internet, su questa faccenda, con posizioni a favore e altre contro. Vedi il sito di Rav Slifkin www.zootorah.com. Sull’atteggiamento fra i charedim riguardo all’evoluzione, vedi anche M. D. Angel, Reflections on Torah Education and Mis-Education, in «Conversation» 2010, 6, pp. 29-38 e in «Tradition» 41: 2, 2008, pp. 10-23, e 42: 1, 2009, pp. 108-110, dove Rabbi Angel riferisce di un alunno di dieci anni in una scuola ebraica ortodossa cui l’insegnante di Torà aveva detto che le ossa di dinosauro viste al Museo di Storia Naturale di New York non sono in realtà tali ma sono ossa di cane gonfiatesi durante il diluvio universale dell’epoca di Noè.
[48] N. Slifkin, The Challenge of Creation, Judaism’s Encounter with Science, Cosmology and Evolution New York, Yashar Books, 2006, p. 11. L’editore (Targum Press) della prima edizione del libro, intitolato The Science of Torah, uscito nel 2001, ha interrotto la pubblicazione e distribuzione dei libri di Slifkin a causa dell’editto rabbinico. Il testo di Rav Slifkin è sicuramente il miglior libro sull’argomento dopo l’opera di Rabbi Aryeh Carmell e Prof. Cyril Domb, Challenge: Torah Views on Science and its Problems, citato sopra alla nota 24. Lascio intenzionalmente le parole di Slifkin nella lingua originale per la precisione dei termini usati in questo «avvertimento» al lettore.
[49] M. Maimonide, Guida dei perplessi, Intr. e Parte II, capp. 25 e 29; Rav Sa‘adià Gaon, Emunot we-de‘ot, VII; Ralbag (Levi ben Gershon), Milchamot Hashem, p. 98, dove scrive: «Dobbiamo credere in quello che la ragione ha determinato essere vero. Se il senso letterale della Torà differisce da quello fornito dalla ragione, allora è necessario interpretare quei passaggi in accordo a quanto la ragione richiede». Vedi queste ed altre fonti in Slifkin, Challenge, cit., cap. 7.
[50] S. J. Gould, Life’s Grandeur, London 1996, pp.175, 214, 216, Wonderful Life, New York: W. W. Norton, 1989, pp. 14, 289, 318 (3a ed. it. La vita meravigliosa, Milano, Feltrinelli 2008); L’evoluzione della vita sulla Terra, in «Le Scienze» (ed. ital. di «Scientific American»), 316, 1994, pp. 64-72.
[51] J. Monod, Il caso e la necessità, Milano, Mondadori 1970, p. 118.
[52] G. G. Simpson, On the Nonprevalence of Humanoids, in «Science», 143, 1964, p. 15. Vedi anche: Evoluzione: una visione del mondo, Sansoni 1972.
[53] Dibattito fra E. Mayr e C. Sagan, The Search for Extraterrestrial Intelligence: Scientific Quest or Hopeful Folly?, «The Planetary Report», 16, 1996, p. 4. Questa e le precedenti citazioni si possono anche trovare nel libro di P. Davies, fisico di fama mondiale, Da dove viene la vita?, Milano, Mondatori 2000, pp. 281-283, 306-307.
[54] C. de Duve, Polvere vitale, Longanesi 1998, p. 490; Id., Alle origini della vita, Milano, Longanesi 2008, pp. 256-263.
[55] S. Conway Morris, Life’s Solution: Inevitable Humans in a Lonely Universe, Cambridge University Press, 2003; Id., Darwin’s compass: How evolution discovers the song of Creation, The Boyle Lecture 2005.
[56] Su questo argomento, vedi A. Aczel, Probabilità 1, Garzanti 1999; dal punto di vista ebraico, vedi l’eccellente testo, che tocca numerosi altri argomenti correlati, di Norman Lamm, The religious implications of extraterrestrial life, in Faith and Doubt, 2nd edition, New York, Ktav 1986, pp. 107-160.
[57] Vedi Sterman, Judaism and Darwinian evolution, cit., p. 74, nota 38.
[58] Ho usato i termini di caso e necessità, perché più immediatamente comprensibili e di uso comune, ma va detto che nella scienza contemporanea si preferisce usare quelli di variabilità e vincoli alla medesima. Ringrazio il prof. Marcello Buiatti, del Dipartimento di biologia evoluzionistica dell’Università di Firenze, per stimolanti discussioni sull’argomento.
[59] Ch. Darwin, Lettera ad Asa Gray, 22 maggio 1860.
[60] I. Newton, Philosophiae naturalis principia mathematica, 1687, Libro III, Scolio generale (tr. it. Principii di filosofia naturale, a cura di F. Enriques e U. Forti, ed. A. Stock, Roma 1925, pp. 158-164; vedi anche l’edizione a cura di A. Pala, Torino, Utet 1965, pp. 791-796 e l’intr. pp. 22-26); Id., Four Letters to Richard Bentley on God and Gravity, pubblicate in H. S. Thayer, (ed.), Newton’s Philosophy of Nature, New York, Hafner Publishing Company 1953, pp. 46-58; vedi anche ivi, pp. 58-67 e pp. 177-179, dove sono riportate le Queries pubblicate da Newton in appendice all’Opticks (ho il privilegio di avere la copia del libro curato da Thayer che era in possesso del prof. Yeshayahu Leibowitz, Maestro di Amos Luzzatto, in senso lato e letterale, essendo stato suo insegnante di scienze al Liceo; vedi l’Introduzione di Luzzatto a Y. Leibowitz, Lezioni sulle «Massime dei Padri» e su Maimonide, Firenze, Giuntina 1999 e A. Luzzatto, Una vita tra ebraismo, scienza e politica, Brescia, Morcelliana 2003, pp. 32-33). Sulla concezione newtoniana dell’universo, vedi anche M. Hoskin (a cura di), Storia dell’Astronomia di Cambridge, Milano, BUR-Rizzoli 2001, pp. 175-180. La corrispondenza fra Leibniz e Clarke si può trovare in Leibniz, Scritti filosofici, vol. III, Torino, Utet 2000, pp. 487 sgg. e 642-645, e in D. R. Danielson (ed.), The Book of the Cosmos, Cambridge, Usa, Perseus 2000, pp. 245-249. Vedi anche l’ottimo libro di A. Frova, Il Cosmo e il Buondio. Dialogo su astronomia, evoluzione e mito, Milano, BUR Rizzoli 2009, pp. 188-189: ringrazio sentitamente il prof. Frova, del Dipartimento di Fisica dell’Università “La Sapienza” di Roma, per avermi fornito chiarimenti su questo argomento. Per un’introduzione, divulgativa ma rigorosa, sul sistema solare, vedi A. Celletti e E. Perozzi, Ordine e Caos nel Sistema solare, Torino, Utet 2007: ringrazio il mio amico prof. Massimo Bassan, fisico all’ISFN-Università Roma2 Tor Vergata, per questa preziosa indicazione bibliografica. Per l’origine del sistema solare, vedi C. A. Böhm, Le chiavi del cosmo, Padova, Muzzio ed. 1989, in part. cap. 24. Sulle implicazioni teologiche delle contrapposte visioni di Newton e Laplace, vedi avanti nota 74.
[61] Proverbi 16, 33. Vedi il commento ad loc. del Malbim (Rabbi Meir Leibush ben Yechiel Michel, Russia 1809-1879), che spiega che ciò che appare casuale è determinato da Dio, come avvenne per la distribuzione della terra d’Israele fra le varie tribù (Numeri 26, 52-56, Talmud, Bavà Batrà 122a).
[62] Questa sembra essere la via scelta da alcuni scienziati credenti, come Schroeder, in Genesi e Big Bang, cit.
[63] Bereshit rabbà 83 (trad. it. di Rav Alfredo Ravenna z.l., Torino, Utet 1981). Vedi anche in Torà Shelemà di Rabbi Menachem Kasher, I, 423. Il Rambam, nella Guida dei perplessi (II, 30), considera questo midrash «incongruous» (nella traduzione inglese di Sh. Pines, Univ. of Chicago 1963), «assurdo» (in quella italiana di M. Zonta, cit.), megunnè (spregevole) nella traduzione ebraica classica di Shemuel Ibn Tibbon (ca. 1150-1230), ra‘ (cattivo) in quella di Yehudà Al-Charizi (1165-1225), muzar (strano) in quella moderna di Rav Yosef Kappach (Mossad Harav Kook Gerusalemme 1977), e di nuovo megunnè in quella di Michael Schwarz (Tel Aviv University Press 2001). Tuttavia, è ipotizzabile che se il Rambam avesse saputo, come sappiamo oggi, che in effetti sulla Terra si sono verificate numerose estinzioni di massa, avrebbe considerato questo detto di R. Abbahu con più benevolenza, come del resto fece Rabbi Yehudah Halevi nel Kuzari, I, 67 (tr. it. di Elio Piattelli, Torino, Boringhieri 1960).
[64] Sulla stessa linea, vedi quanto dice George Coyne, astronomo e padre gesuita, in R. Chiaberge, La variabile Dio, Milano, Longanesi 2008, pp. 40-41, e nelle due interviste rilasciate a «Micromega» 7/2005, pp. 216-228 e «Le Scienze», n. 449, 2006, pp. 18-19. Vedi anche G. Coyne e A. Omizzolo, Viandanti nell’universo, Astronomia e senso della vita, Milano, Mondadori 2000.
[65] Slifkin, Challenge, cit., p. 315. Lascio il brano intenzionalmente in inglese, peraltro di facile comprensione, per non alterare in alcun modo le esatte parole dell’autore. Vedi anche il commento del Malbim sulle ripetute parole della Torà «e Dio vide che quello che aveva fatto era cosa buona» (Genesi 1, vv. 4, 10, 18, 21 e 31). Sul verso 31 il Malbim riporta in dettaglio la nota idea di Leibniz (pur senza nominarlo e dicendo semplicemente «i filosofi») riguardo a questo mondo come «il migliore dei mondi possibili»; ringrazio mio figlio Jacov per avermelo fatto vedere.
[66] G. Laras, Il pensiero filosofico di Mosè Maimonide, Roma, Carucci ed. 1985, pp. 128-129 (il brano è tratto dalla Guida parte III, cap. 17; vedi anche il cap. 51, alle pp. 124-128); Id., Scienza e provvidenza di Dio nel pensiero di Maimonide e Gersonide, Milano, a cura di P. Pozzi, Cuem 1999; per una traduzione integrale, vedi M. Maimonide, La Guida dei Perplessi, a cura di M. Zonta, Torino, Utet 2003, pp. 570-571 e 745-748.
[67] «Miqrè barur» (caso evidente), nella traduzione di Al-Charizi; «miqrè gamur» (completamente per caso) nella traduzione di Ibn Tibbon; M. Schwarz traduce con «be-miqrè la-chalutin (by pure chance)» (assolutamente casuale), e così Rav Kapach: «ha-miqrè ha-muchlat» (caso assoluto); «pure chance» in quella inglese di Pines. Una discussione sulle implicazioni teologiche del caso si può trovare in D. W. Weiss, Randomness and determinism in nature: a consideration, in Id. The Wings of the Dove, cit. nota 46, e in J. D. Loike and M. D. Tendler, Molecular Genetics, Evolution, and Torah Principles, in «The Torah u-Madda Journal» (2006-7), 14, pp. 173-192. Questi ultimi così scrivono: «In short, randomness is not a synonym for atheism and need not conflict with a Torah-based outlook. When evidence of randomness is used to deny the existence of a supreme being, we have a non sequitur that rests on a simplistic understanding of theology, the persistence of which may reflect an antecedent personal belief or bias».
[68] Ch. Darwin, Lettera ad Asa Gray, 22 maggio 1860. Vedi una discussione su questa lettera in F. Ferrario, Il Creatore, il caso e la necessità. La teologia di fronte a Darwin, nel XXI secolo, in «Protestantesimo» 65: 1 (2010), pp. 35-53.
[69] Ringrazio Michele Luzzatto, biologo evoluzionista, per avermi stimolato a fare questa precisazione; vedi i suoi ottimi lavori sull’argomento: Preghiera darwiniana, Milano, Raffaello Cortina 2008 e l’articolo Darwin e Qohèlet, in «Micromega, Almanacco di Scienze», 2009, pp. 28-33. Sull’origine dell’uomo, A. R. Wallace riteneva che un’intelligenza superiore ne guidò lo sviluppo, un’opinione molto diversa da quella di Darwin, che infatti criticò Wallace duramente. Per questa e altre idee a favore di fenomeni paranormali Wallace fu marginalizzato dal mondo scientifico e fu accusato di non essere in grado di accettare fino in fondo una spiegazione razionale dell’evoluzione di tutti gli esseri viventi: vedi F. Focher, L’uomo che gettò nel panico Darwin. La vita e le scoperte di Alfred Russel Wallace, Torino, Bollati Boringhieri 2006, e le Lettere sul naturalismo, di Ch. Darwin e A. R. Wallace (tr. di Isabella Blum), a cura di S. De Cesare e T. Pievani, «Micromega» 7/2010, pp. 99-117.
[70] Talmud bavlì, Avodà zarà 54b; Rambam, Mishnè Torà, Regole dei re, 12, 1 (anche in D. G. Di Segni, Messianismo e Halakhà in I. Bahbout, D. Gentili, T. Tagliacozzo (a cura di), Il Messianismo ebraico, Firenze, Giuntina 2009).
[71] Non a caso mi riferisco qui al titolo dell’opera più famosa del filosofo ebreo del XX secolo Abraham Joshua Heschel, Dio alla ricerca dell’uomo (tr. it. di E. Mortara, Torino, Borla 1983, 2a ed.). Che Dio abbia bisogno degli uomini è infatti il messaggio centrale di quest’opera, che rappresenta uno dei pochi casi in cui il titolo racchiude in sé, compiutamente e perfettamente, il messaggio di tutta l’opera. Si tratta invero di un’affermazione contro-corrente, anche rispetto alla teologia ebraica convenzionale, un ribaltamento di prospettiva di quelli cari a Heschel. Ma, come Heschel sapientemente illustra, è un concetto ben presente nella Bibbia e nella letteratura ebraica post-biblica.
[72] Talmud bavlì, Shabbat 10a, 119b. e altrove. Su questo concetto vedi il bell’intervento di Itzhak Siegelmann z.tz.l., Bereshit: La creazione di un mondo migliorabile sul sito www.morasha.it/zehut/is03_bereshit.html, dove fra l’altro scrive: «La perfezione della creazione si ritrova nella associazione tra il Divino-naturale e l’azione umana. Iddio richiama l’uomo ad unirsi a Lui e completare la Sua opera nel guarire i malati e nello sviluppare il proprio potenziale, nel curare la società, nello sviluppare le risorse naturali, tutto a condizione che l’uomo vigili sul mondo, lo curi, lo badi, lo preservi, in quanto l’uomo è un socio di Iddio nella sua creazione, e non nella sua distruzione». Vedi anche il recente libro di Rav Gad Eldad, dayan del Bet Din della Comunità ebraica di Roma, Ha-adam ben yetzur le-yotzer, (L’uomo fra creatura e creatore), Hotza’at tevunot-Mikhlalat Herzog, Alon Shevut 5771 (in ebr.).
[73] Per conclusioni simili a queste, vedi l’ottimo articolo di L. Troster, The Order of Creation and the Emerging God: Evolution and Divine Action in the Natural World, in Cantor & Swetlitz (eds), Jewish Tradition, cit., pp. 225-246: buona parte di questo lavoro è dedicata al pensiero di Hans Jonas (vedi nota seguente). Vedi anche R. David, Creazione o evoluzione, Roma, Città nuova 1995.
[74] H. Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Genova, Il melangolo 1989, pp. 24-25. Nota le parole finali di questo discorso pubblico (p. 38): «Signore e signori! Tutto ciò è un balbettio. Ma anche le incomparabili parole dei grandi vati e uomini di fede, dei profeti e dei salmisti, erano un balbettio di fronte al mistero divino». Vedi anche Id., Organismo e libertà. Verso una biologia filosofica, a cura di P. Becchi, Torino, Einaudi 1999, le sezioni Aspetti filosofici del darwinismo, Dio è un matematico? e Immortalità ed esistenza odierna, in part. pp. 300-302; Id., La domanda senza risposta. Alcune riflessioni su scienza, ateismo e la nozione di Dio, a cura di E. Spinelli, Genova, Il melangolo 2001, in cui c’è un’approfondita discussione sulle implicazioni teologiche delle contrapposte visioni di Newton e Laplace; e Id., Memorie, Il melangolo 2008, in part. pp. 281-282.
[75] Cfr. supra nota 58.
[76] P. Levi, Il Sistema Periodico, Torino, Einaudi 1975, pp. 34-37. Sulle imperfezioni dell’evoluzione, vedi i libri dei due Premi Nobel Rita Levi-Montalcini, L’elogio dell’imperfezione, Milano, Baldini Castoldi Dalai Ed. 2010, e François Jacob, Evoluzione e Bricolage, Torino, Einaudi 1978.