Con la parashà di Vaikrà che leggeremo questo shabbat, inizia il terzo libro della Torà, chiamato
“Torat ha korbanot – la Legge dei Sacrifici”.
In esso si tratta dell’istituzione del culto sacrificale nel Mishkan e in seguito nel Bet ha Mikdash.
Il libro di Shemot, che abbiamo concluso la scorsa settimana, si chiude con il completamento della grande opera della costruzione del Mishkan, avvenuto il primo giorno del primo mese del secondo anno dall’Uscita dall’Egitto, ossia il primo di Nissan del secondo anno dall’uscita degli ebrei dall’Egitto.
Non è a caso che la parashà di Vaikrà si legga quasi sempre in questo shabbat che è il primo sabato del mese di Nissan.
Alcune tradizioni- minhaghim – usano leggere nei primi giorni del mese, il brano chiamato “parashat ha nesiim – brano dei principi” (Numeri cap. 6 vv 22-27 fino al cap.8 vv. 1-4), dividendolo in dodici giorni, infatti in quei capitoli vengono descritte le offerte portate dai principi delle dodici tribù, una tribù al giorno, proprio in occasione dell’inaugurazione del Mishkan.
Con la conclusione dell’opera del Mishkan inizia per il popolo ebraico un nuovo periodo: se fino a quel momento le leggi, la vita culturale e spirituale venivano istituite in occasione di un evento che richiedeva una nuova regola, con il sorgere del Mishkan tutto viene codificato, ed ogni membro del popolo ha un suo compito istituzionale da eseguire.
Con le prime parashot del libro di Vaikrà, vengono legiferati i sacrifici nel Tempio; ogni offerta doveva essere fatta in un modo stabilito, doveva esserci qualcuno addetto alla presentazione delle offerte (i Cohanim) e soprattutto, erano codificati i tempi per le offerte.
Nessuno poteva offrire un sacrificio in qualsiasi momento della giornata e con qualsiasi modalità, ma doveva attenersi scrupolosamente alle regole dettate dalla Torà, che erano insegnate al popolo, proprio dai Cohanim.
Con l’ingresso del mese di Nissan, inizia il periodo semi-festivo che precede la festa di Pesach, la festa della libertà, in cui ricordiamo la miracolosa uscita dall’Egitto e la liberazione dalla schiavitù.
Durante questo periodo ci si deve occupare della preparazione alla festa e soprattutto della pulizia accurata delle nostre case, in modo che non rimanga la briciola più piccola di chamez.
Il chamez è assolutamente proibito durante la festa di Pesach, non soltanto per l’alimentazione, ma anche nel possedimento e nel trovarlo nella propria abitazione.
E’ per questo motivo che abbiamo bisogno di disfarcene del tutto, anche attraverso una particolare vendita che potrà effettuarsi presso ogni comunità.
Il chamez, proibito durante gli otto giorni della festa di pesach, simboleggia la schiavitù; infatti i Maestri della Mishnà giocano sulle lettere che compongono la parola chamez dicendo:
“al tikrè chamez ellà chamas – non leggere chamez (lievito) ma leggi chamas (violenza)”.
La violenza nell’uomo è il risultato di una reazione che gli proviene dal lievitare di una sensazione che cresce giorno dopo giorno, violenza che, impedisce al prossimo di esprimere le sue opinioni, giungendo in alcuni casi fino all’annientamento.
La mazzà invece, è chiamata dai Maestri “lechem ‘oni – pane dell’umiltà”, poiché chi si pone davanti al prossimo con umiltà, dà a costui la libertà di esprimersi.
La parola “vaikrà” con cui inizia il libro omonimo e naturalmente la parashà che leggeremo questo shabbat è scritta con la alef più piccola, rispetto alle altre lettere.
I Maestri danno alcune motivazioni a questo: una è quella che dice che nonostante fosse il Signore che chiamava Mosè (vaikrà significa chiamò), lo chiamava con umiltà; l’altra sostiene che con ciò che è scritto “vaikrà el Moshè vaidaber A’ elav – e chiamò Mosè e il Signore disse a lui” la Torà ci vuole insegnare che quando una persona deve parlare con un’altra, è necessario che prima lo chiami per conoscere la sua disponibilità.
Anche questo è sinonimo di umiltà, perché chi si rivolge a qualcuno senza chiamarlo e quindi chiedere l’autorizzazione a parlare, dimostra ignoranza e arroganza.
Shabbat shalom