Dopo i “Dieci Comandamenti” e le altre mizvot comandate nella parashà di Mishpatim, il popolo ha bisogno di un punto di ritrovo, un centro spirituale, che abbia la funzione di raccogliere tutti gli ebrei.
“Ve asù li mikdash ve shachantì betocham – Facciano per me un santuario ed abiterò in mezzo a loro”, con queste parole la Torà apre il discorso riguardo la costruzione del mishkan, il tabernacolo del deserto.
Esso doveva essere un punto di riferimento, di convergenza per tutto il popolo durante i quaranta anni di permanenza nel deserto, come lo sarà quello costruito prima da re Salomone e poi ricostruito ritornando da Babilonia, a Gerusalemme.
La costruzione del Mishkan deve avvenire per mezzo di denaro raccolto dalle offerte di tutto il popolo (ish ke mattenat iadò – ognuno a seconda della sua possibilità), affinché sia considerato di appartenenza a tutto il popolo.
Ogni ebreo ha il diritto di sentirsi in pare proprietario del tempio dove si reca a pregare.
La presenza divina è tanto più accentuata quanto più è forte la partecipazione del popolo, il quale favorisce la presenza della shechinà: “ve shachantì be tocham – e abiterò in mezzo a loro”.
C’è da notare che, per la raccolta delle offerte per la costruzione del mishcan, la Torà adopera il verbo la kachat – “ve ikkechù li terumà… e prendano per me un’offerta” non “diano a me un’offerta”!
Questo perché D-o non ha bisogno del danaro degli uomini, ma esso serve per costituire nel caso specifico, un qualcosa per l’ebreo stesso; il popolo aveva il dovere di considerare il mishkan o il bet ha mikdash, come il punto di accomunamento e di unificazione.
Il bet ha mikdash era unico al mondo, non poteva essere costruito in nessun altro luogo che a Gerusalemme; quindi aveva la funzione di raccogliere almeno tre volte all’anno tutto il popolo in quel Luogo (Gerusalemme) scelto da D-o già dai tempi dell’akedat Izchak.
Da quando non esiste più il bet ha mikdash, la cosa che accomuna tutti gli ebrei della golà è la lingua, che viene usata almeno per la recitazione delle tefillot e per la lettura e lo studio della Torà.
È per questo motivo che tutti i tentativi di intromissione di altre lingue all’interno della liturgia sinagogale, vengono contrastate dal mondo ebraico ortodosso.
Qualcuno ha sentenziato dicendo che, se nell’antichità era il bet ha mikdash a riunire tutto il popolo, oggi quella funzione è affidata alla lingua.
Shabbat shalom