Affinché racconterai alle orecchie di tuo figlio e del figlio di tuo figlio ciò che ho operato in Egitto e dei miei segni che ho mandato loro“.
Come ci comanda il versetto sopra citato, il fondamento dell’uscita dall’Egitto è la narrazione alle generazioni future di ciò che è la storia.
Se il libro Shemot è chiamato “sefer ha gheullà – il libro della redenzione“, questa parashà è la parte fondante di essa.
Per essere liberi non basta non essere schiavi fisicamente, ma serve invece mantenere saldi alcuni concetti: l’emunà – la fiducia in D-o e in sé stessi ad avere la forza per guardare avanti, anche nei momenti più difficili e la garanzia di trasmettere alle generazioni future le esperienze dei tempi passati.
La mizvà comandataci dalla Torà è quella di leggere la haggadà in cui viene narrata la miracolosa uscita dall’Egitto.
Non ci può essere narrazione se non c’è la fede, poiché è solo per la volontà divina che si riesce a sopravvivere a momenti difficili, come quelli che il nostro popolo ha subito e superato nel corso dei millenni.
L’altra mizvà comandata è quella dei Tefillin. Due dei quattro brani che si trovano scritte nei tefillin, si trovano proprio in questa parashà.
La mizvà di indossare i tefillin simboleggia il forte legame che noi abbiamo con D-o, ed è una di quelle mizvot dove la materialità del precetto – l’azione, è fortemente legata al ricordo e alla trasmissione. I tefillin simboleggiano la fede in D-o e il forte legame al mantenimento delle Sue regole.
Per mantenere la nostra libertà è fondamentale ricordare con il cuore e con la mente: essi vanno legati al braccio sinistro, in corrispondenza del cuore e intorno alla testa, in corrispondenza del cervello, esattamente come Rashi commenta in un altro brano:
Zakhor – ricorda con la bocca, attraverso l’insegnamento ai posteri e la narrazione degli eventi; Al tishkach – Non dimenticare con il cuore, attraverso il mantenimento di ciò
che fu nel nostro intimo per far sì che ciò che avvenne non possa più ripetersi.
Shabbat shalom