Con la parashà di Shemot inizia il secondo libro della Torà, nel quale si narra la schiavitù del Popolo di Israele in Egitto, profetizzata da D-o ad Abramo e durata quattrocento anni.
Il libro di Shemot, tradotto dai Settanta con il termine Esodo, racconta la nascita del Popolo di Israele, dalla schiavitù egizia fino all’uscita e all’attraversamento del Mar Rosso e della donazione del Decalogo.
Viene anche narrato l’episodio del “vitello d’oro” e del conseguente perdono di quanti si erano resi conto della grave colpa di idolatria commessa e di Mosè, dopo aver rotto le Tavole della Legge intercede per salvare il popolo dalla totale distruzione.
Vengono inoltre dettate le regole minuziose per la costruzione del Mishka – il Tabernacolo mobile del deserto e delle prime regole per i Sacerdoti che dovevano amministrare il culto nel Tempio.
Il libro si conclude con il reso conto che Mosè fa a tutto il popolo, di tutto ciò che è servito alla costruzione del Mishkan, sia dal punto di vista economico che da quello legislativo.
Come già detto, la Torà con il libro di Shemot, ci presenta colui che è considerato il più grande dei Profeti del popolo di Israele: Mosè.
Alla fine del Deuteronomio, troviamo scritto di lui:
“..non sorse altro profeta in mezzo a Israele come Mosè, il quale conobbe D-o faccia a faccia” ossia ebbe un rapporto diretto e continuo come solitamente avviene tra due esseri umani.
Eppure Mosè, considerato il più grande fra i Maestri di Israele, è sempre visto dal testo biblico come un uomo ed in ogni occasione si vuole rimarcare la sua natura umana destinata a commettere errori.
Già dall’inizio della sua vita famigliare, con la nascita dei figli, egli dimentica di circonciderli e, se non fosse stato per sua moglie Zipporà (fra l’altro non appartenente alla tradizione di Giacobbe ma figlia di un sacerdote pagano), che li circoncise al suo posto, egli sarebbe stato punito con la morte.
Nell’episodio famosissimo, in cui il popolo stava morendo di sete, il Signore gli comanda di parlare alla roccia, da cui sarebbe scaturita l’acqua. Egli, invece, piuttosto che parlare come gli era stato comandato, batté la roccia e per questo venne severamente punito, al punto che gli fu vietato l’ingresso in Israele.
Per quale motivo vengono messi così in risalto i difetti di costui, definito invece il più grande dei Maestri del popolo ebraico?
Se così non fosse, spiegano i commentatori del testo biblico, si sarebbe potuto considerare Mosè, un personaggio particolare, con atteggiamenti divinizzanti.
Secondo altre correnti religiose, lo si sarebbe potuto considerare un “santo” e quindi venerato come tale; ma la Torà e tutta la tradizione ebraica, si oppongono al fatto che un essere umano possa essere considerato con doti particolari e quindi venerato come un “santo”.
E’ per ciò che più volte troviamo scritto “…ve ha ish Moshè” “…e l’uomo Mosè”.
Shabbat Shalom