Antisemitismo geopolitico
Il Cremlino vuole chiudere un’Agenzia no-profit che assiste gli emigrati nello Stato ebraico: con questa mossa l’autocrate di Mosca vuole compiacere l’Iran e danneggiare gli alleati del mondo occidentale
La settimana scorsa il ministero della Giustizia russo ha chiesto la liquidazione della filiale dell’Agenzia Ebraica per Israele presente sul suo territorio. L’ente finito nel mirino del Cremlino è un’organizzazione no-profit con sede a Gerusalemme che da quasi un secolo lavora per portare gli ebrei in Israele: è la più grande organizzazione ebraica senza scopo di lucro al mondo, fondata nei primi del Novecento. La sua mission, come da statuto, è «assicurare che ogni persona ebrea senta un legame indissolubile l’una con l’altra e con Israele, indipendentemente da dove vivano nel mondo, in modo che possano continuare a svolgere il loro ruolo fondamentale nella nostra storia ebraica in corso».
Fermare le attività dell’agenzia in Russia avrebbe dirette e pesanti conseguenze: per gli ebrei russi diventerà quasi impossibile fare domanda per trasferirsi o viaggiare nello Stato ebraico. È vero che possono ancora comprare un biglietto per un aeroporto israeliano, perché al momento non sono richiesti documenti particolari, ma le reti di supporto per facilitare il processo spariranno, insieme a tutto il lavoro che l’agenzia stava facendo per gestire scuole ebraiche e rafforzare un certo senso di comunità ebraica sul territorio russo.
Il vero problema è che tutto questo sforzo extra necessario per emigrare creerà inevitabilmente dei sospetti su coloro che ci provano, restituendo l’apparenza di un atto illecito, di slealtà: l’operazione del Cremlino rischia di creare un’aria di illegalità attorno a molti ebrei in Russia.
Dall’inizio della guerra gli ebrei stavano lasciando la Russia con ritmi decisamente maggiori rispetto agli ultimi anni – conseguenza piuttosto ovvia, come d’altronde hanno già fatto moltissime persone. Circa 16mila cittadini russi si sono registrati in Israele come nuovi immigrati da febbraio, il triplo rispetto allo scorso anno. Altri 34mila si sono presentati nel Paese come turisti, forse per restare. Tra loro ci sono cittadini come Elena Bunina, che era l’amministratore delegato di Yandex, una società che la Russia considerava la sua risposta a Google.
Ma Mosca prova a difendersi: le autorità russe temono una fuga di cervelli, che sembra, almeno alla sua classe dirigente, una buona ragione per fare fondo alla repressione.
«L’azione punitiva sorprende per il carattere tempistiche e immediatezza», scrive Gal Beckerman sull’Atlantic. «Per anni, le relazioni tra Israele e Russia sono state in ripresa e Israele ha assunto una posizione particolarmente neutrale quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina».
Ma il tono è cambiato negli ultimi tempi: il ministro degli Esteri israeliano, Yair Lapid, ha parlato espressamente di crimini di guerra per descrivere il comportamento della Russia in Ucraina. Recentemente diventato primo ministro ad interim dello Stato ebraico, e non è un caso che da quel momento è iniziata una raffica di reati russi, a cominciare dall’affermazione che il governo ucraino, guidato da un presidente ebreo, è in realtà neonazista e include le riflessioni ad alta voce del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov a maggio sulla questione se forse Hitler «avesse sangue ebreo».
In tutto questo, Vladimir Putin sta muovendo i fili della sua diplomazia per giocare anche contro Israele. Il recente incontro con la Turchia per discutere del grano ucraino è avvenuto in Iran, Paese nemico numero 1 di Israele. Dopo il viaggio di Putin, il leader supremo iraniano, l’Ayatollah Khamenei ha twittato: «Le recenti posizioni assunte dal presidente della Russia contro i sionisti sono lodevoli».
Il riferimento è ovviamente all’Agenzia Ebraica per Israele. L’Atlantic nel suo articolo ripercorre la storia dell’istituzione nel corso del Novecento. «L’Agenzia fu bandita dall’Unione Sovietica, ma iniziò a operare nella regione alla fine degli anni ’80 e aiutò circa un milione di ebrei a raggiungere Israele negli anni ’90. Da questo esodo di massa, il ruolo dell’agenzia è stato quello di mantenere la vita comunitaria ebraica per i circa 150mila ebrei che è rimasto, oltre a sostenere chiunque voglia emigrare in Israele. La mossa di Putin deve essere vista come un atto di aggressione, inteso a rendere più difficile la partenza degli ebrei».
La settimana scorsa, commentando la notizia della decisione del Cremlino, l’ex presidente dell’Agenzia Ebraica Natan Sharansky ha detto: «È il momento di essere pragmatici, ma allo stesso tempo non è il momento di mostrare le debolezze. Hai qui una superpotenza che vuole intensificare le cose e finora non stanno cercando una soluzione: siamo in una fase storica che sembra riportarci indietro di mezzo secolo».
Forse il riferimento temporale non è casuale. Negli anni ‘70 ci fu uno dei più grandi esodi di ebrei dall’Unione Sovietica – anche se la data storica è il 1979, non proprio cinquant’anni fa. In quell’anno ci fu la più grande emigrazione dalla fine degli anni ’60: 50mila ebrei sovietici iniziarono a chiedere il diritto di andarsene. Quasi tutte le richieste furono respinte con perdite.
«Per i sovietici l’emigrazione degli ebrei era un’arma, o meglio, un rubinetto da aprire e chiudere a piacimento per compiacere o punire l’Occidente», si legge sull’Atlantic. E oggi l’idea di Putin di chiudere l’Agenzia Ebraica è la dimostrazione che la Russia consideri ancora gli ebrei delle semplici pedine, merce di scambio senza volto da usare come leva geopolitica per i suoi interessi.
«Solo un Paese preoccupato di essere diventato un posto indesiderabile in cui vivere – è la conclusione di Beckerman nel suo articolo – reagisce in questo modo. Ma se uno Stato limita e manipola il suo popolo, costringendolo perfino a supplicare per i suoi diritti fondamentali, allora la parola più accurata per descriverlo è “totalitario”».
https://www.linkiesta.it/2022/08/russia-putin-ebrei-israele/