Rav Shlomo Riskin – Efrat, Israele – 5763 (2002-2003) – Tradotto da Dany e Giulio Barki
Una delle questioni più difficili che devono essere affrontate in una guerra contro il terrore – come quella dell’America contro i Talebani in Afghanistan e di Israele contro l’autorità palestinese (Hamas) – è quello “dei danni collaterali”: per “prendere” i terroristi, spesso non c’è scelta se non quella di bombardare una zona franca in cui ci possono essere nei dintorni famiglie innocenti. È preferibile operare un bombardamento aereo indiscriminato o condurre una ricerca specifica degli obiettivi casa per casa, cosa, quest’ultima, che spesso ha messo i nostri soldati in pericolo (come è accaduto quando 13 israeliani sono stati uccisi a Jenin)? Qual’è il il modo più etico per condurre una guerra?
Un’esplorazione attenta del più difficile confronto fra la famiglia di Giacobbe e la gente di Shechem fornirà la risposta. Una rapida lettura della questione (Genesi, capitolo 34) può portare alla conclusione che Shimon e Levi, figli di Giaccobbe, siano stati i terroristi del racconto. “Shechem, figlio di Hamor l’Ivita, principe della terra, vide, rapì, violentò e afflisse” Dina, la figlia di Giacobbe. Shechem si innamora della sua vittima ed indice una riunione fra le famiglie per discutere le possibili nozze. I figli di Giacobbe esprimono il loro consenso all’unione; si innestano le richieste sociali e economiche a condizione che tutta la popolazione maschile di Shechem venisse circoncisa. Gli uomini di Shechem accettano la condizione – ma al terzo giorno dalla circoncisione, “quando stavano soffrendo, due dei figli di Giacobbe, Shimon e Levi, i fratelli del Dina, presero le loro spade, giunsero alla città ignara e uccisero ogni maschio.” Senza dubbio parrebbe che Shimon e Levi abbiano assassinato gente innocente!
C’è, tuttavia, un certo numero di domande riguardo al testo alle quali è bene dare risposte. In primo luogo, quando i figli di Giacobbe pongono la loro condizione sulla circoncisione, la Bibbia introduce l’argomento con le parole, “ed i figli di Giacobbe risposero a Shechem e a suo padre Hamor con inganno…” (Genesi 34:13). Perché non è direttamente il padre Giacobbe a suggerire la circoncisione, e perchè tutti i figli stanno parlando con l’inganno?
In secondo luogo, la reazione di Giacobbe all’atto di Shimon e Levi non solleva una questione morale ma meramente tattica: “Mi avete infangato, per indurmi ad essere odiato dagli abitanti della terra; siamo pochi e si raccoglieranno contro di me, mi combatteranno e distruggeranno me e la mia famiglia” (Genesi 34:31). Ed in maniera abbastanza interessante, la preoccupazione di Giacobbe non era fondata: “E (la famiglia di Giacobbe) viaggiò; e un terrore di D-o era sulle città che erano intorno a loro, e non hanno perseguitato i figli di Giacobbe” (Genesi 35:5).
Infine, le ultime parole del capitolo – e dell’avvenimento – sono pronunciate da Shimon e Levi: “dobbiamo permettere loro di fare di nostra sorella una meretrice?” (Genesi 34:31). Da ciò sembrerebbe di che la Bibbia accetti questa considerazione Shimon e Levi! E, per concludere, le benedizioni dedicate a Levi lo rendono l’antenato delle linee Sacerdotali e Levitiche dei ministri del Santo Tempio, mentre Shimon sarà il padre degli educatori e degli insegnanti di Torah! Apparentemente, la storia Ebraica decide che questi figli siano degni di rappresentare l’inizio della leadership religiosa Ebraica!
Credo che le azioni Shimon e Levi diventino comprensibili – e forse persino giustificabili – quando scopriamo il luogo in cui si trovava Dina durante il corso di questa “riunione del mahatonim” per pianificare le nozze. Dina era ancora tenuta prigioniera a Shechem! Ciò è chiaro dal testo Biblico quando i fratelli dichiarano come parte del programma da loro proposto, “e se non vi farete circoncidere, prenderemo nostra figlia e ce ne andremo” (Genesi 34:17), ed il risultato della strage dei maschi è che “hanno preso Dina dalla casa di Shechem e se ne sono andati” (Genesi 34:26). Risulta chiaro che l’obiettivo della questione è salvare Dina; i fratelli apparentemente pianificano di liberarla nel momento in cui la gente di Shechem era troppo debole per impedire loro di farlo, e Shimon e Levi hanno considerato – e attuato – il principio che una nazione terrorista deve essere punita.
Effettivamente, il filosofo – legalista, Maimonide sostiene totalmente Shimon e Levi. Maimonide spiega che nel momento in cui a Mosè era stato comandato di insegnare i 613 precetti soltanto al popolo di Israele, gli era stato analogamente comandato di fare rispettare le sette leggi della moralità di Noè- in particolare “il divieto di omicidio” – ad ogni non ebreo; “E chiunque non le accetti, deve essere ucciso” (Leggi dei Re 8,10). Evidentemente questo allievo di Aristotele ha creduto che chiunque non accettasse le leggi della moralità di Noè appartenesse alla categoria (almeno potenzialmente) di “uno che sta per assassinare un innocente deve essere ucciso prima che lo faccia.” Questo è particolarmente verosimile oggi, nel nostro panorama globale con la potenzialità del nucleare.
Continua poi ad argomentare che la settima regola dei figli di Noè è quella di istituire tribunali per punire i trasgressori delle altre sei. “Ed è per questo motivo che tutti i residenti di Shechem erano passibili della punizione capitale. Dopo tutto, Shechem prende (e rapisce) Dina; lo hanno visto, e lo hanno saputo e non lo hanno giudicato” (Re 9:14).
Maimonide sta discutendo sul fatto che quella malvagità, quei regimi totalitari, non governano in un vuoto; sono aiutati ed incoraggiati dalla gente che li mette in condizione di governare in quel determinato modo – in maniera attiva, proteggendoli, o passiva, consentendo loro le malvagità. Se il popolo tedesco fosse incalzato il 10 novembre 1938 dopo Krystalnacht e avesse gridato che tali azioni inumane sono inaccettabili richiedendo la punizione dei perpetratori nazisti, alcuni di loro sarebbero sicuramente stati assassinati a loro volta, ma la Shoà sarebbe stata interrotta in partenza. L’unica possibilità che la malvagità possa essere evitata sta nelle mani dei cittadini “degli imperi diabolici” che si prendono le responsabilità e non permettono che tali crudeltà continuino. Se rimangono silenziosi di fronte alle malvagità, diventano soci nel crimine e devono condividere sia la responsabilità che la colpa!
Un esercito etico quale quello israeliano deve tuttavia tentare di indirizzare i propri colpi contro i perpetratori attivi del terrore, minimizzando “il danno collaterale” dei collaboratori passivi. Ma le vite dei nostri soldati e l’estirpazione del terrore che causa scompiglio sulle vite innocenti devono avere la precedenza sulla protezione delle vite di quegli individui colpevoli che stanno permettendo al terrorismo di fiorire col loro silenzio.
Shabbat Shalom