La Parashah odierna si divide nettamente in due parti. Nella prima si affrontano problematiche meramente comunitarie o beyn adàm la-chaverò: sono ormai trascorsi i 40 nel deserto, Moshe si appresta a rimettere l’incarico nelle mani del S.B., dispone l’ultimo censimento dei figli d’Israele in vista del loro ingresso in Eretz Israel e tratta questioni di distribuzione della terra, come l’eredità delle figlie di Tzelofchad (cap. 27). La seconda parte è interamente inerente a relazioni “verticali” o beyn adàm la-maqom: i sacrifici quotidiani e festivi (cap. 28). Sappiamo che la Torah non giustappone mai due argomenti senza che vi scorga fra essi un legame per quanto lontano. Qual è il nesso fra le due parti?
Al centro della Parashat Pinechas vi è la richiesta che Moshe rivolse a D. di nominargli un successore. Il Midrash e Rashì sottolineano che Moshe sollevò il problema dopo aver udito l’interrogazione delle cinque figlie di Tzelofchad in merito alla propria eredità. Il Midrash Bemidbar Rabbà (21,2; cfr. anche Rashì a Bemidbar 28,2) nota parimenti che Moshe espresse la sua richiesta in tono perentorio: “Nomini H. D. degli spiriti di ogni carne un uomo a (capo della) Comunità” (Bemidbar 27,16). D. apparentemente non gradì il tono. “La situazione può essere paragonata a un re che prese moglie e la moglie aveva un amico sensale. Tutte le volte che il re se la prendeva con la moglie, il sensale mediava e il re si rappacificava. Ma quando il sensale si trovò in punto di morte fu quest’ultimo a chiedere al re: “Per favore, abbi riguardo di tua moglie”. Il re gli rispose: “Tu mi rivolgi dei comandi relativi a mia moglie? Comanda piuttosto a mia moglie di avere riguardo di me!” Fuor di metafora: il S.B. rispose a Moshe: “Invece di dare ordini a me riguardo al popolo, ordina piuttosto al popolo di essere sollecito nei miei riguardi”. Ecco perché subito dopo è scritto: “H. parlò a Moshe dicendo: ‘Comanda ai Figli d’Israele i sacrifici per me'”.
L’insegnamento che il Midrash ci dà è duplice. Sul piano della coscienza individuale si vuole sottolineare come l’unico in grado di dare ordini sia il S.B. Noi non possiamo pensare di fare altrettanto con Lui. Egli è il nostro Amico e Confidente per eccellenza, senz’altro, ma è anche e soprattutto il nostro Creatore. Non possiamo attenderci da Lui quella reciprocità che ci aspettiamo da qualunque altro amico. E’ l’errore degli amici di Giobbe, che hanno pensato di considerare D. un essere di pari livello da dover giustificare e soprattutto poter questionare. Ed è anche il motivo per cui le pratiche magiche sono così aborrite nella Torah: avendo lo scopo di imbrigliare in un modo o nell’altro la Divinità, la magia si trova agli antipodi del messaggio del D. d’Israele, pronto ad assisterci nel momento in cui ci sottomettiamo a Lui e riconosciamo la Sua superiorità. E’ quanto molti esponenti della nuova generazione faticano oggi a recepire nella relazione con i genitori. Pensano che genitori e figli, condividendo la stessa casa e molte esperienze, siano sullo stesso piano. Come un genitore ha diritto di redarguire il figlio, così il figlio ha diritto di redarguire il genitore. Per il bene del mondo, è evidente che così non può essere. E’ necessaria una gerarchia nella società, che tenga sì conto di sentimenti e affetti, ma anche delle differenze fra le persone coivolte. L’età e la generazione sono differenze oggettive.
C’è però un secondo risvolto nel Midrash che abbiamo portato relativo alla Comunità e credo non sia indifferente. Il Midrash mi ricorda in qualche modo la frase del Presidente Kennedy: “Non insistete nel domandarvi quanto l’America debba fare per voi: domandatevi piuttosto quanto voi potete fare per l’America”. Dio conosce i nostri bisogni e certamente sarà sollecito nell’esaudirli: ‘Od hem medabberim wa-anì eshma’, diceva il Profeta Yesha’yahu: “mentre essi stanno ancora pregando Io già ascolto”. Il nostro problema non è farci udire da D. Il nostro problema è che cosa noi possiamo fare per D. La stessa cosa vale per la Comunità Ebraica, nella misura in cui essa è l’istituzione che rappresenta D. in terra. Questo comporta una grande responsabilità da parte di tutti: gli amministratori e gli amministrati. Questi ultimi dovrebbero domandarsi: “Cosa possiamo fare noi per sostenere l’istituzione comunitaria? Che cosa possiamo fare noi per incrementare le presenze nel Bet ha-Kenesset?” E così via per tutto il resto.
Il Midrash continua a questo punto affermando che esiste una differenza essenziale fra noi e D.. Mentre Questi quando dà, lo fa con tutta la Sua forza, quello che pretende da noi lo commisura invece alle nostre forze. Nel caso dei sacrifici, dieci sono le classi di quadrupedi puri esistenti al mondo, ma Egli esige i sacrifici solo dalle tre specie domestiche più vicine all’uomo: bovini, ovini e caprini. Il sacrificio sull’altare diviene metafora dell’impegno che ciascuno di noi è chiamato a dare per il bene della collettività ebraica. Dobbiamo verificare le nostre forze. Una volta condotto l’accertamento è giusto agire in conformità. Non oltrepassando le nostre forze, per carità. Ma neanche standone troppo al di sotto. Le-fum tza’arà agrà, “in base allo sforzo sarà data la ricompensa” (Avot 5). H. tiene conto dei nostri sforzi prima ancora dei risultati e quanto più ci saremo sforzati, tanto più saremo rimeritati.