Da una derashà di Rav Sacks
Si trattava della classica lotta per il potere. L’unica cosa che la differenziava dai soliti drammi che si consumano nelle stanze del potere è che i protagonisti si trovavano in Olanda ed erano degli scimpanzé. Un maschio alfa si trovò sfidato da un giovane contendente. Quest’ultimo non poteva riuscire ad avere la meglio da solo, e si alleò con un altro giovane contendente. Alla fine riuscì a deporre il maschio alfa. Il giovane aveva successo nel suo nuovo compito, riusciva a mantenere la pace all’interno del gruppo, aveva difeso il perdente ed aveva acquisito il rispetto degli altri.
Il vecchio non aveva ormai nulla da guadagnare opponendosi a lui. era troppo anziano per tornare in carica, ma una notte, nonostante tutto, sorprese il giovane o lo uccise. Così ebbe la sua vendetta. Questa storia ricorda la massima di Hillel nel Pirqè Avot (2,6), il quale, vedendo fluttuare un teschio sull’acqua disse: poiché annegavi gli altri, sei annegato, e quelli che ti hanno affogato saranno annegati a loro volta. Qorach apparteneva a questa scuola machiavellica. Aveva ben compreso le regole fondamentali della politica. Anzitutto bisogna essere dei populisti. Giocare sul malumore delle persone e sembrare di essere dalla loro parte nella lotta contro il potere costituito. Tutta la comunità è santa! Perché voi, Mosheh e Aharon, vi ponete al di sopra dell’assemblea del Signore? Secondo punto: trova degli alleati. Qorach stesso era un levita. La sua lamentela dipendeva dalla nomina di Aharon come sacerdote. Evidentemente, in quanto cugino di Mosheh, figlio di Ytzhar, fratello di ‘Amram, padre di Mosheh, sentiva che quella posizione sarebbe dovuta spettare a lui. Non era giusto che due ruoli dirigenziali fossero concentrati in un’unica famiglia nella tribù. Gli altri leviti tuttavia non lo avrebbero appoggiato. Non avevano nulla da guadagnare deponendo Aharon. Trovò invece altri alleati fra gli scontenti, i discendenti di Reuven, Datan e Aviram, e 250 potentati, sconvolti perché, in seguito al peccato del vitello d’oro, la leadership era passata dai primogeniti ai Leviti.
Si trattava di un’alleanza strampalata, perché ciascuno perseguiva degli obiettivi differenti, ed era impossibile che tutti avessero soddisfazione. Ma questo non ha mai fermato gli uomini dallo stringere alleanze del genere. Chi porta rancore è più interessato a deporre il leader attuale che ad attuare un piano di azione costruttivo. L’odio ha la meglio sulla razionalità. L’orgoglio ferito, la sensazione che avrebbero dovuto onorare te, ha sempre condotto gli uomini all’azione distruttiva e autodistruttiva. Terzo punto: si deve trovare il momento adatto, quando chi vuoi colpire è vulnerabile. Ramban nota come la rivolta di Qorach segua l’episodio degli esploratori, e il conseguente decreto divino, per cui il popolo non sarebbe entrato in terra d’Israele e avrebbe vagato per quarant’anni nel deserto. Fino a che il popolo aveva la percezione di procedere verso la propria destinazione, non esisteva la possibilità di scatenare la rivolta popolare. Ora, nel momento in cui ci si rende conto che non si sarebbe entrati in Israele, la rivolta diviene possibile. Le persone non avevano più nulla da perdere. La tradizione ebraica ha capito che l’uomo è un mix di anima razionale e animale. Non siamo solo mente. Abbiamo desideri fisici, che risiedono nei nostri geni. Gli scienziati parlano di tre sistemi che convivono: il cervello-rettile, che produce le risposte di lotta o di fuga, il cervello-scimmia, che è sociale, emotivo, e sensibile alla gerarchia, e infine il cervello umano, la corteccia prefrontale, che è lenta, riflessiva, e capace di pensare considerando le conseguenze di percorsi di azione alternativi. La storia umana si svolge nel confronto e nell’interazione di questi cervelli. Gli scimpanzé ad esempio sono ossessionati dalla gerarchia. Anche noi siamo così? Non si tratta di una domanda da poco. Dalla risposta dipende il futuro dell’umanità. I primi esseri umani avevano una concezione egalitaria della società. Ciascuno aveva un ruolo nel gruppo. I compiti principali erano rimanere vivi, trovare il cibo ed evitare i predatori.
Non esisteva l’accumulo di ricchezza. Fu solo con lo sviluppo dell’agricoltura, delle città e del commercio che venne introdotta l’idea di gerarchia. C’è un leader, e tutti gli altri sono pedine nel processo produttivo, o soldati nell’esercito imperiale. L’ebraismo critica fortemente questa struttura. Lo vediamo già nel primo capitolo della Torah, quando D. crea l’uomo a propria immagine e somiglianza. Tutti abbiamo una medesima origine, cosicché nessuno è autorizzato a dire che i miei antenati sono più grandi dei tuoi. Dice Moshe a Yehoshua, nel libro di Bemidbar: magari fossero tutti profeti! Tuttavia, come molti degli ideali della Torah, come il vegetarianesimo, l’abolizione della schiavitù, la monogamia, l’ideale dell’uguaglianza non emerge da un momento all’altro. Richiede secoli, millenni, e ancora oggi non è realtà. Le strutture gerarchiche nel Tanakh nascono da momenti di crisi, la monarchia dal fallimento dei Giudici, il sacerdozio dal peccato del vitello d’oro. Entrambi ingenerano tensione e divisione. La monarchia unita in Israele durò solo tre generazioni, poi si spaccò. Il sacerdozio, ai tempi del secondo tempio, fu il principale fattore di divisione, portando alla nascita di agguerrite fazioni all’interno del popolo ebraico. Qorach ci spiega perché.
Dove c’è gerarchia, c’è competizione per il potere. Deve essere necessariamente così? Secondo Maimonide sì, per Abravanel no. In alcuni passaggi quest’ultimo sembra essere un anarchico utopista. I rabbini non concentrarono la loro attenzione sulla regalità o sul sacerdozio, ma sulla terza corona, quella della Torah, che è disponibile per tutti coloro che la cercano. Questa competizione è positiva, perché genera saggezza. La storia di Qorach è sempre tristemente attuale. L’antidoto è l’immersione nella competizione per lo studio della Torah, che cerca la verità e non l’accumulo di potere, una competizione in cui tutti hanno voce in una conversazione sacra.