Il quarto libro della Torà, che inizieremo a leggere questo shabbat, racconta gli episodi avvenuti nel deserto (be midbar) durante i quaranta anni di permanenza del popolo, prima che questo entrasse nella Terra di Israele.
La permanenza nel deserto ha avuto lo scopo di trasformare i figli d’Israele sfiniti, e senza un ordinamento giuridico, dopo quattro secoli di schiavitù in Egitto, in un vero e proprio popolo, disciplinato da leggi e regolamenti.
Se l’uscita dall’Egitto simboleggia la libertà e l’autonomia fisica, il deserto simboleggia la formazione giuridica e spirituale.
Sostengono alcuni commentatori, che il deserto è il simbolo del calore; il caldo ha contribuito a forgiare un mucchio di persone in un vero e proprio popolo.
La parola MIDBAR è composta dal prefisso MI (dal – dalla) e DBAR (vocalizzato diventa DAVAR – PAROLA, COSA); questo significa che nel deserto il popolo è stato influenzato ed è stato forgiato dalla”Parola “.
Non è un caso che la parashà di Be midbar venga letta lo shabbat che precede la festa di Shavuot, che ricorda la donazione degli “ASERET HA DIBBEROT – LE DIECI PAROLE”.
Il deserto è il luogo del silenzio, quel luogo, dove solitamente non passa gente.
Ebbene in quel luogo, una mattina di primavera, un gruppo di ex schiavi, riceve la parola di D-o che li consacra tutti, come “mamlekhet kohanim ve goi kadosh – Reame di sacerdoti e popolo santo”.
La parola di D-o si è rivelata agli uomini, nell’unico posto in cui c’è solitamente silenzio e non appartiene a nessun popolo: il midbar – il deserto.
Tutto ciò per insegnarci che D-o a differenza degli uomini, non ha bisogno di palazzi reali dove abitare, né di troni per poter governare.
Basta che ci sia qualcuno che ascolti le Sue parole.
Noi ebrei ci sottomettiamo ad ascoltarle, attraverso l’osservanza.
La mattina di Shavuot, ci disporremo ad ascoltarle e a rinnovare quel patto, come fecero i nostri padri nel deserto, con l’affermativo:
“Naasè ve nishmà – faremo e ascolteremo!”.
Shabbat shalom e Moadim le simchà