La parashah di Beshallach si chiude con la prima guerra che il popolo ebraico ha affrontato, una volta uscito dall’Egitto, la guerra contro ‘Amaleq. Questo conflitto ha delle caratteristiche molto differenti dagli episodi che hanno accompagnato l’apertura del Mar Rosso, nel quale il Signore ha combattuto per il popolo ebraico (Shemot 14,14) “il Signore combatterà per voi, e voi rimanete in attesa fiduciosa”, e gli stessi egiziani hanno avuto la medesima impressione, affermandolo esplicitamente (14,25) “Fuggiamo davanti ad Israele, perché è evidente che il Signore combatte per loro contro l’Egitto”.
Nella guerra contro ‘Amaleq assistiamo all’esatto contrario: durante lo scontro il Nome divino non compare nemmeno un volta. Lo stesso Mosheh non chiede questa volta, al contrario delle precedenti, alcuna indicazione ad H. Non una invocazione, non una preghiera, ma la preparazione immediata allo scontro militare. E’ singolare anche che Mosheh non guidi le operazioni in prima persona, come avrebbe fatto in altre occasioni, ma affidi il comando a Yehoshua’. Altra stranezza nel brano riguarda le mani di Mosheh, che di lì a poco avrebbero sostenuto il notevole peso delle tavole della Legge, e questa volta non riescono a sostenersi da sole, tanto che Aharon e Chur devono reggerle. Terminata la guerra, H. si rivolge a Mosheh, ordinandogli di scrivere della guerra appena conclusa.
La chiave per comprendere la dinamica è il verso che precede il brano (Shemot 17,7): “E quel luogo si chiamò Massà e Merivà a causa della querela dei figli d’Israele e perché avevano tentato il Signore dicendo: Vedremo se il Signore è con noi o no”. Il Midrash paragona questo episodio ad un bambino sulle spalle del padre. Incontrato un amico del padre, il bambino gli dice: hai visto papà? Il papà risponde: sei sulle mie spalle e chiedi di me? Il Signore aveva portato il popolo ebraico sulle nubi di gloria, e chiedete ancora se il Signore è fra di voi?
In cuor suo Mosheh era consapevole del fatto che H. non avrebbe abbandonato il popolo ebraico, e, in attesa di un segnale, invia Yehoshua’. Mosheh, attraverso le proprie braccia, vuole indicare al popolo che, quando volgeranno il proprio sguardo al cielo, e confideranno nell’aiuto divino, questo arriverà, come affermerà la Mishnah nel trattato di Rosh ha-shanah (3,8).
Le braccia di Mosheh hanno contribuito a tanti miracoli nell’uscita dall’Egitto. Perché il popolo non avrebbe dovuto pensare che anche questa volta sarebbe stato così? Perché Mosheh in alcuni frangenti della battaglia abbassa le braccia? Questa volta il centro è il popolo ebraico. Attraverso le proprie braccia Mosheh rappresentava la fiducia del popolo ebraico in H.
In un famoso brano della ghemarà Issi ben Yehudah afferma che ci sono cinque termini nella Torah sui quali si è in dubbio se legarli all’espressione precedente o a quella successiva. Uno di questi è nel brano della guerra contro Amaleq, machar (domani). “Mosè disse a Giosuè: Scegliti alcuni bravi guerrieri e va a combattere ‘Amalec – domani – io mi metterò sulla sommità della collina”. Mosheh dice a Yehoshua’ di combattere domani, e domani lui salirà sulla collina, come sembrerebbe più logico, o dice a Yehoshua’ di combattere oggi e lui domani salirà? La seconda ipotesi sembra più remota. Perché lasciare Yehoshua’ a combattere da solo?
Il discorso di Mosheh richiama quello di Ester, che dopo aver invitato Achashwerosh ed Haman, discendente di ‘Amaleq, di fronte alla domanda del re di esprimere la propria richiesta dice: “Se ho trovato grazia agli occhi del re e se al re piace di accogliere la mia domanda e di esaudire la mia richiesta, venga il re con Haman al banchetto che preparerò per loro, e domani agirò secondo il comando del re (Ester 5,8). La ghemarà fornisce almeno 12 spiegazioni possibili dell’atteggiamento di Ester e della sua tattica. Forse voleva tranquillizzare Haman e fargli abbassare la guardia, forse voleva mettere apprensione ad Achashwerosh e togliergli il sonno. Di fatto Ester fa una prima mossa oggi e prepara il campo, conscia del fatto che la guerra vera e propria sarà solo domani. Anche nella Meghillat Ester, come nella guerra contro ‘Amaleq, il nome divino non compare. Allo stesso modo, entrambe le storie si chiudono con la scrittura della storia in un libro.
Una delle chiavi di lettura del libro di Shemot è l’alternanza dei nomi divini utilizzati. Nelle dieci piaghe viene usato il Tetragramma, denotando un intervento divino soprannaturale. Nella parashah di Beshallach, una volta usciti dall’Egitto, sin dall’inizio del brano viene usato sempre con più frequenza Eloqim, facendo riferimento alla dimensione naturale, alle leggi di natura.
A cosa somiglia questa alternanza? Ad un padre che insegna al figlioletto a nuotare. Inizialmente il genitore dovrà sostenerlo in tutti i suoi movimenti, perché altrimenti affogherebbe, ma poco a poco lo lascerà senza sostegno, per periodi sempre più lunghi, sino a quando il figlio non sarà indipendente e non avrà più bisogno di aiuto.
Dopo i miracoli manifesti dell’uscita dall’Egitto, viene il momento in cui il popolo ebraico deve riconoscere H. anche se rimane apparentemente solo. Questo momento porterà inizialmente terrore e senso di smarrimento, ma condurrà ad un tipo di fede differente, più matura di quella che dipende dai miracoli manifesti.