Ya’aqov, il terzo Patriarca, è simbolo della verità. Il versetto dice infatti: “Darai la verità a Ya’aqov” (Mikhah 7,20)! .Alcuni si stupiscono del fatto che nella Parashat Wayetzè Ya’aqov sia descritto in tutt’altra veste. Quando si trattò di ottenere dallo suocero una ricompensa per gli anni di pastorizia che Ya’aqov gli aveva prestato, quest’ultimo non si peritò di ingannare Lavan e di lasciare casa sua con le mogli e il bestiame all’improvviso senza avvertirlo.
Il verso scrive chiaramente che “Ya’aqov rubò il cuore di Lavan l’arameo” (Bereshit 31,20): cioè lo ingannò! La risposta è nei Tehillim: “Con il furbo, fa’ il furbo” (2Shem. 22,27, cfr. Meghillah 13b). L’integrità non deve cioè essere sinonimo di ingenuità. Comportati onestamente con le persone oneste, ma non lasciarti imbrogliare da chi, come Lavan, era noto da tempo per i suoi sotterfugi (v.7)!
Una forma di furto particolare di cui si parla nelle nostre fonti è proprio la ghenevat da’at, lett. “sottrazione della mente altrui” o circonvenzione. Il divieto consiste nel far credere all’altro di avergli fatto un favore, quando non è così. “Qualsiasi azione, qualsiasi parola tramite le quali suscitiamo negli altri un’opinione di noi stessi più elevata di quella che realmente meritiamo, o ci guadagniamo più gratitudine di quella che veramente ci spetta, rientra nel divieto di ghenevat da’at” (Sh. R. Hirsch).
“Non è concesso a nessun individuo di limitare la corretta capacità di valutazione di altre persone sia nel business che nelle relazioni interpersonali… Nel Talmud (Chullin 94a-b)… “afferma Shemuel: è vietato rubare la mente di qualsiasi individuo, sia esso ebreo o non ebreo”… Una persona non potrebbe invitare a un pasto un’altra sapendo da principio che quest’ultima rifiuterà;… è altresì fatto divieto di aprire una bottiglia di vino davanti ad una persona facendole credere di averla aperta appositamente per lei quando in realtà la bottiglia andava già aperta per altri motivi. Il Talmud ammette solo una deroga ai precedenti casi: vale a dire allorquando le reali intenzioni consistano nel conferire onore all’ospite.
“La ghenevat da’at trova applicazione, quindi, non solamente qualora l’inganno causi una perdita economica nella controparte, ma in tutti i casi in cui si generano false impressioni nel prossimo. Risulta interessante notare come, tra gli obblighi che ricadono sul venditore, non vi sia il fornire tutte le notizie in possesso ma solo quelle che, se non trasmesse, distorcerebbero la realtà. Viene riportato nel Talmud l’esempio di un macellaio il quale vende della carne non-kasher (e quindi non consumabile da parte di un ebreo) a un non-ebreo. Il suddetto cliente si rifornisce dal macellaio in questione principalmente perché vende kasher. La vendita in questione avviene quindi in un modo diverso da quello che si aspetta il cliente: egli si aspetta di acquistare carne kasher e invece, a sua insaputa, gli viene fornito un prodotto diverso. L’acquirente non-ebreo non viene in realtà danneggiato da tale acquisto (in quanto non ha comunque l’obbligo di mangiare cibo kasher come invece avrebbe un ebreo); inoltre non subisce danno o perdita economica acquistando della carne non kasher pur credendola kasher. Nonostante ciò, il semplice fatto che il macellaio non fornisca le informazioni necessarie e crei quindi delle false aspettative nel cliente (convinto di aver acquistato carne kasher) rientra nella regola della ghenevat da’at” (Gheula Canarutto, “Responsabilità sociale ed etica ebraica”, Egea, Milano, 2006, p. 19).
Se la trasparenza è richiesta per i difetti di una merce in vendita, tanto più sarà fondamentale non celare i difetti di una persona che potrebbe arrecare seri danni al prossimo. Rav ‘Ovadyah Yossef viene interpellato sul caso di una persona in procinto di sostenere l’esame di guida. Sappiamo peraltro che essa è affetta da una malattia pregiudicante che gli esami clinici di routine non sono in grado di evidenziare. E’ autorizzato il suo medico personale o chiunque altro ne sia al corrente ad avvertire gli uffici della motorizzazione con l’effetto di bloccarle il rilascio della patente onde evitare che l’interessato al volante provochi incidenti e vittime? La risposta è affermativa: non solo il medico ha il permesso ma ha anche la Mitzwah di farlo, nonostante il suo segreto professionale (Resp. Yechawweh Da’at 4,60).
Sotto il profilo halakhico la questione si configura come un contrasto fra due Mitzwòt di cui si parla nel medesimo versetto: “Non andare sparlando nel tuo popolo, ma non stare inerte di fronte al sangue del tuo prossimo, assistendo alla sua morte se sei in grado di salvarlo” (Wayqrà 19,16 e Rashì ad loc. sulla base di Sanhedrin 73). Da un lato vi è il divieto della maldicenza (leshon ha-ra’) nel quale si incorre ogni volta che parliamo male del prossimo pur raccontando la verità. Altra cosa è invece fornire informazioni necessarie alla collettività per il bene di tutti. Se io so che qualcuno ha rubato e non metto in guardia gli altri dal pericolo che corrono agirei male. In tal caso il divieto della maldicenza “arretra” a fronte di un danno peggiore.
R. Israel Meir ha-Kohen (m. 1933) nella sua opera Chafetz Chayim sulla maldicenza si sofferma sulla situazione di chi è in grado di fornire referenze di estrema importanza in casi delicati: p. es. chi vede un amico mettersi in società d’affari con una terza persona moralmente inaffidabile o fidanzarsi con una ragazza affetta da un male pregiudicante, ovviamente senza saperlo. Egli scrive che la persona in questione è tenuta a comunicare, ma enumera cinque regole da tenere presenti:
- Non esagerare o drammatizzare la situazione che stai riferendo.
- Pesa le tue parole attentamente, verificando che ciò che riporti è un fatto reale e non una semplice sensazione o un giudizio personale.
- Verifica che lo scopo della tua rivelazione sia puramente quella di prevenire un danno o una perdita a chi riceve la notizia e non, per esempio, vendicarsi del colpevole. Se tuttavia sai a priori che chi riceve la notizia non ne farà tesoro, occorre astenersi dal riferirla.
- Verifica di essere l’unica persona in grado di fornire l’informazione. Se il beneficiario la può conoscere da altre fonti, astieniti dal riportarla.
- Sincerati che riportare la notizia a seconda persona non danneggi la terza parte, ovvero la persona di cui parli (P.es.: Se A sta considerando di entrare in società d’affari con B, io posso informare A che B era stato già condannato per falso solo se ciò annulla ulteriori vantaggi che deriverebbero a B dall’entrare in società con A; se invece così facendo non mi limito a prevenire la promozione di B, ma provoco anche il suo licenziamento, farei a B un danno maggiore di quello da cui proteggo A e devo mantenere il silenzio).